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11. In sostanza, tirando le somme di quanto fin qui detto, puo’ affermarsi che cio’ che rileva dal punto di vista disciplinare e’ un inadempimento, vale a dire una mancata o inesatta esecuzione della prestazione che abbia arrecato pregiudizio all’interesse del datore di lavoro-creditore e di cui il prestatore di lavoro debba essere ritenuto responsabile. Tuttavia, se da una parte rileva l’interesse del datore di lavoro al funzionamento complessivo dell’impresa, dall’altra anche il datore di lavoro e’ tenuto all’osservanza di quei fondamentali precetti che presiedono all’attuazione dei rapporti obbligatori e contrattuali e che sono scolpiti negli articoli 1175 e 1375 c.c., vale a dire i precetti di correttezza e buona fede, quanto mai importanti nell’esercizio del potere disciplinare atto ad incidere sulle sorti del rapporto e sulle relative conseguenze giuridiche ed economiche, ragion per cui deve essere improntato alla massima trasparenza. Quindi, se il datore di lavoro viola tali doveri, ritardando oltremodo e senza un’apprezzabile giustificazione la contestazione disciplinare, il problema non e’ piu’ quello della violazione dell’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori, quanto piuttosto l’altro della interpretazione secondo buona fede della volonta’ delle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro. Invero, posto che l’obbligazione dedotta in contratto ha lo scopo di soddisfare l’interesse del creditore della prestazione, l’inerzia del datore di lavoro di fronte alla condotta astrattamente inadempiente del lavoratore puo’ essere considerata quale dichiarazione implicita, per facta concludentia, dell’insussistenza in concreto di alcuna lesione del suo interesse. E se e’ vero che ciascun contraente deve restare vincolato agli effetti del significato socialmente attribuibile alle proprie dichiarazioni e ai propri comportamenti, la successiva e tardiva contestazione disciplinare non puo’ che assumere il valore di un inammissibile “venire contra factum proprium”, la cui portata di principio generale e’ stata ormai riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimita’ argomentando proprio sulla scorta della sua contrarieta’ ai principi di buona fede e correttezza di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c.. Con la conseguenza che, sussistendo l’inadempimento posto a base del licenziamento, ma non essendo tale provvedimento preceduto da una tempestiva contestazione disciplinare a causa dell’accertata contrarieta’ del comportamento del datore di lavoro ai canoni di correttezza e buona fede, la conclusione non puo’ essere che l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, comma 5.
Diversamente, qualora le norme di contratto collettivo o la stessa legge dovessero prevedere dei termini per la contestazione dell’addebito disciplinare, la relativa violazione verrebbe attratta, in quanto caratterizzata da contrarieta’ a norma di natura procedimentale, nell’alveo di applicazione del citato articolo 18, comma 6 che, nella sua nuova formulazione, e’ collegato alla violazione delle procedure di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 7 e della L. n. 604 del 1966, articolo 7.
12. In definitiva, il principio di diritto che va affermato nel caso di specie e’ il seguente: “La dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base dello stesso provvedimento di recesso, ricadente “ratione temporis” nella disciplina della L. n. 300 del 1970, articolo 18 cosi’ come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 42 comporta l’applicazione della sanzione dell’indennita’ come prevista dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 5″.
Pertanto, l’impugnata sentenza va cassata in relazione all’accoglimento, nei limiti come sopra specificati, del terzo motivo del ricorso della (OMISSIS) s.p.a., rimanendo, di conseguenza, assorbito l’esame degli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale, per cui la causa va rinviata per la trattazione del merito alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione che, attenendosi al suddetto principio di diritto, provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
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