[….segue pagina antecedente]
Ebbene, anche in tali ipotesi di giustificato motivo oggettivo del licenziamento, cosi’ come nella previsione normativa di cui al citato articolo 18, commi 1 e 4 si e’ in presenza di fattispecie prefigurate dal legislatore ai fini dell’applicabilita’ della tutela reale depotenziata.
In definitiva, la insussistenza o la manifesta insussistenza che legittima l’accesso alla tutela reintegratoria attenuata non puo’ non riguardare il difetto – nel medesimo fatto – di elementi essenziali della giusta causa o del giustificato motivo, tanto piu’ che la riforma in esame di cui alla L. n. 92 del 2012 non ha modificato, per quel che qui interessa, le norme sui licenziamenti individuali, di cui alla L. n. 604 del 1966, laddove stabiliscono che il licenziamento del prestatore non puo’ avvenire che per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 c.c. o per giustificato motivo.
Quindi, nelle ipotesi (come quella oggetto di causa) in cui sia, invece, accertata la sussistenza dell’illecito disciplinare posto a base del licenziamento, ma questo non sia stato preceduto da tempest-iva contestazione, si e’ fuori dalla previsione di applicazione della tutela reale nella forma attenuata di cui al novellato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, comma 4 (estesa anche all’ipotesi di cui al comma 7 concernente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo) che e’, invece, contemplata per il caso di licenziamento ritenuto gravemente infondato in considerazione dell’accertata insussistenza (o manifesta insussistenza per l’ipotesi di cui al citato comma 7) del fatto.
9. Cosi’ escluso che la tardivita’ della contestazione dell’illecito disciplinare possa essere sanzionata attraverso il rimedio della tutela reale piena o depotenziata di cui all’articolo 18 – nel testo vigente a seguito della riforma introdotta dalla L. n. 92 del 2012 – resta il problema di stabilire a quale forma di tutela indennitaria far ricorso, se cioe’ a quella forte, di cui al comma 5, o a quella debole, di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 6.
La soluzione del problema discende sostanzialmente dalla valenza che si intende attribuire al principio della tempestivita’ della contestazione dell’illecito disciplinare, nel senso che se, per un verso, e’ certo che l’obbligo della contestazione tempestiva dell’addebito rientra nel procedimento disciplinare di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 7 d’altro canto, e’ pur vero che cio’ non implica automaticamente che la violazione del principio della tempestivita’ della contestazione disciplinare, cosi’ come elaborato dalla giurisprudenza, debba essere sempre sanzionata attraverso il meccanismo della indennita’ attenuata, di cui al citato articolo 18, comma 6 per il solo fatto che tale norma contempla, tra le ipotesi di applicazione di tale piu’ lieve sanzione, quelle derivanti dalla violazione delle procedure di cui alla stessa L. n. 300 del 1970, articolo 7 e della L. 15 luglio 1966, n. 604, articolo 7 unitamente alla violazione del requisito della motivazione.
Invero, il principio della tempestivita’ della contestazione lo si desume dal contesto della lettura della norma di cui alla L. n. 300 del 1970, 7 dal momento che questa non lo enunzia in maniera espressa, limitandosi solo a prevedere quanto segue: “Il datore di lavoro non puo’ adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.”
Egualmente la L. n. 604 del 1966, articolo 7, comma 1, anch’esso richiamato nella L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 6 si limita a stabilire che ferma l’applicabilita’, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, della L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7 il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui della L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, comma 8, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.
Cio’ autorizza a ritenere che il principio della tempestivita’ della contestazione puo’ risiedere anche in esigenze piu’ importanti del semplice rispetto delle regole, pur esse essenziali, di natura procedimentale, vale a dire nella necessita’ di garantire al lavoratore una difesa effettiva e di sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare. Si e’, infatti, affermato che, in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettivita’, cosi’ da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare piu’ efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformita’ ai canoni della buona fede sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile. Inoltre, tra l’interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obbiettiva ragione e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, non puo’ non prevalere la posizione di quest’ultimo, tutelata “ex lege”, senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessita’ dell’organizzazione aziendale (v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 13167 dell’8.6.2009).
[…segue pagina successiva]
Leave a Reply