[….segue pagina antecedente]
Osserva la ricorrente che nell’impugnata sentenza risultano violati i principi in materia di rapporti tra legge generale e legge speciale e di interpretazione della legge, laddove si sostiene che l’ipotesi oggetto di causa si porrebbe prima e al di fuori della casistica della L. n. 300 del 1970, articolo 18 poiche’, pur sussistendo il fatto e gli estremi della giusta causa, sarebbe tuttavia venuto meno il diritto di recesso datoriale in conseguenza di un fatto negoziale di natura abdicativa, rappresentato dal trascorrere del tempo utile per esercitare il relativo potere, unitamente a comportamenti concludenti della stessa datrice di lavoro che aveva adibito il dipendente (OMISSIS) a mansioni di rilevante fiducia pur dopo la scoperta dei fatti oggetto di addebito disciplinare. Si obietta sul punto che la disciplina di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18 come novellato all’indomani della L. n. 92 del 2012, si incarica di individuare in maniera analitica ed esaustiva tutti i possibili vizi del recesso datoriale ed i conseguenti rimedi spettanti al lavoratore, per cui rimane preclusa all’interprete la possibilita’ di sostenere che un’ipotesi di nullita’ o illegittimita’ del recesso datoriale debba invece trovare disciplina fuori dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18.
2. Non condivisibile, prosegue la ricorrente, e’ poi l’affermazione della Corte d’appello di Firenze secondo cui la tardiva contestazione, come quella in oggetto, non sia sempre suscettibile di integrare un vizio procedimentale del recesso. Invero, la semplice lettura della L. n. 300 del 1970, articolo 7 rende evidente, per la difesa della Banca, che e’ proprio questa disposizione a regolamentare il procedimento che, dalla contestazione disciplinare, conduce all’irrogazione del licenziamento, con la conseguenza che il ritardo nell’espletamento di questa procedura costituisce un vizio della stessa e trova la propria regolamentazione all’interno del nuovo articolo 18, comma 6 che, in caso di accertata violazione a carattere procedurale, prevede la risoluzione del rapporto di lavoro con riconoscimento al dipendente di una mera indennita’ risarcitoria determinata, in relazione alla gravita’ della violazione procedurale, tra un minimo di sei ed un massimo di dodici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto. Quindi, considerato che non puo’ esservi alcun dubbio sul fatto che l’intempestivita’ della contestazione si configuri come vizio procedimentale, secondo la ricorrente si perviene ad una conclusione analoga anche alla luce delle norme di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c., quali referenti normativi della regola di tempestivita’ della contestazione. Anche tale disposizione sancisce regole di condotta e, dunque, di procedura, con la conseguenza che la loro ipotetica violazione resta ascritta al genus delle violazioni procedimentali suscettibili della sola tutela indennitaria di cui al citato L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 6. Regole di condotta la cui trasgressione non puo’ mai condurre, secondo il presente assunto difensivo, all’invalidazione di un atto, ma solo al risarcimento del danno.
3. Inoltre, secondo la ricorrente, la tesi della nullita’ del licenziamento, cosi’ come sostenuta nella sentenza impugnata, si espone a critica sotto un ulteriore profilo, in quanto non ricorre nella specie alcuna delle ipotesi integranti un vizio di nullita’ alla luce degli articoli 1418 e 1325 c.c. (difetto strutturale della fattispecie, contrarieta’ a norma imperativa, esistenza di un interesse illecito), applicabili ex articolo 1324 c.c. anche agli atti unilaterali tra vivi con contenuto patrimoniale. Erronea e’ ancora, secondo la ricorrente, la sentenza d’appello nel punto in cui si ritiene che l’inerzia della datrice di lavoro, accompagnata dal comportamento concludente – consistente nell’aver adibito Cimino a mansioni di rilevante fiducia – possa integrare un fatto negoziale di rinuncia al diritto di recesso e dare luogo alla nullita’ di quest’ultimo. Inoltre, si ritiene non essere conferente il richiamo al precedente n. 9929/2004 della Suprema Corte che fa riferimento all’esigenza di tutela dell’affidamento creatosi nel lavoratore in ordine al fatto che il diritto di recesso datoriale non sia piu’ esercitato, in quanto la valutazione secondo buona fede della condotta del datore di lavoro non puo’ condurre ad una qualificazione di nullita’ del recesso. Diversamente, si ammetterebbe l’ingresso nel nostro ordinamento della ipotesi dell’estinzione di una situazione giuridica soggettiva che puo’ essere fatta dipendere da un’inerzia del titolare quand’anche non si protragga per il tempo necessario alla maturazione della prescrizione, vanificandosi l’esigenza di certezza alla quale e’ funzionale tale istituto.
Infine, si afferma che non e’ condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la tardivita’ farebbe venir meno uno degli elementi costitutivi del diritto di recesso e il corrispondente vizio dovrebbe essere verificato d’ufficio dal giudice: orbene, proprio quest’ultima precisazione dimostrerebbe, secondo la difesa della Banca, che la fattispecie cui fanno riferimento i precedenti richiamati contempla l’insussistenza del fatto, situazione, questa, non ricorrente nel caso in esame, cosi’ come accertato dalla stessa Corte territoriale.
4. Con l’ordinanza interlocutoria n. 10159 del 2017 la Sezione Lavoro di questa Corte ha richiamato i due orientamenti contrastanti di legittimita’ che si sono registrati in ordine alla tutela da applicare, alla luce del novellato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nel caso di rilevante tardivita’ della contestazione disciplinare, dopo aver precisato che prima della riforma introdotta dalla L. n. 92 del 2012 la giurisprudenza di legittimita’ era concorde nel ritenere che l’immediatezza del provvedimento espulsivo configurasse un elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la mancanza di tempestivita’ della contestazione o del licenziamento induceva ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro avesse soprasseduto al licenziamento stesso, considerando non grave o non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore (in tal senso v. Cass. sez. lav. n. 2902 del 13.2.2015, n. 20719 del 10.9.2013, n. 1995 del 13.2.2012 e n. 13167 dell’8.6.2009).
5. Tale orientamento e’ stato di recente confermato con la sentenza n. 2513 del 31.1.2017 della Sezione lavoro di questa Corte, in una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio, in relazione ad un licenziamento disciplinare tardivo intimato sotto la vigenza della nuova disciplina introdotta dalla L. n. 92 del 2012, affermandosi che un fatto non tempestivamente contestato dal datore di lavoro non puo’ che essere considerato insussistente ai fini della tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18 del novellato statuto dei lavoratori, trattandosi di violazione radicale che impedisce al giudice di valutare la commissione effettiva dello stesso anche ai fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori. Si e’, in pratica, ritenuto che, dal momento in cui il fatto non e’ stato contestato idoneamente L. n. 300 del 1970, ex articolo 7 lo stesso e’ “tanquam non esset” e, quindi, insussistente ai sensi del novellato articolo 18, in quanto sul piano letterale la norma parla di insussistenza del “fatto contestato” (cioe’ contestato regolarmente) e quindi, a maggior ragione, non puo’ che riguardare anche l’ipotesi in cui il fatto sia stato contestato in aperta violazione del citato articolo 7 a causa del notevole ritardo nella elevazione dell’addebito disciplinare.
6. Osserva la Corte che il terzo motivo del ricorso principale e’ fondato, seppur nei limiti che di qui appresso saranno specificati.
Invero, va tenuto conto del fatto che con la L. n. 92 del 2012 (riforma Fornero) si assiste ad una modifica dell’articolo 18, nel senso che accanto alla tutela reale, la quale rappresenta il massimo livello di protezione per sanzionare un illecito, viene prevista una tutela meramente indennitaria. I regimi di cui si parla nel nuovo articolo 18 sono i seguenti: a) quello della tutela reintegratoria piena (disciplinato dai primi tre commi dell’articolo 18); b) quello della tutela reintegratoria attenuata (comma 4); c) quello della tutela indennitaria forte (comma 5), che varia tra le 12 e le 24 mensilita’; d) quello della tutela indennitaria limitata (comma 6), che oscilla tra le 6 e le 12 mensilita’.
L’odierna formulazione dell’articolo 18 prevede una tutela reale piena, consistente nella reintegrazione e nel risarcimento del danno per l’intero periodo che va dal alla effettiva reintegra, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, nei casi in cui il giudice dichiari la nullita’ del licenziamento perche’ discriminatorio ai sensi della L. 11 maggio 1990, n. 108, articolo 3 ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 codice delle pari opportunita’ tra uomo e donna, di cui al Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’, di cui al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perche’ riconducibile ad altri casi di nullÃÂta’ previsti dalla legge o dovuto ad un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 c.c. (conclusione esclusiva del contratto per un motivo illecito comune ad entrambe le parti) o quando il giudice dichiari inefficace il licenziamento perche’ intimato in forma orale. In caso di tutela reale piena, oltre alla reintegra, e’ previsto anche un risarcimento che non puo’ mai essere inferiore a 5 volte l’ultima retribuzione percepita dal dipendente al momento dell’illegittimo licenziamente, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita’ lavorative.
[…segue pagina successiva]
Leave a Reply