Nel caso di associazione professionale, è disciplinarmente responsabile soltanto l’avvocato o gli avvocati a cui si riferiscano i fatti specifici commessi
Sanzione disciplinare legittima per gli avvocati che, di loro iniziativa, e senza chiedere il placet del cliente abbiano (tra le varie contestazioni) richiesto per conto del medesimo cliente una pluralità di ingiunzioni per ragioni creditorie in tutto analoghe fra loro, riferita a crediti maturati in ristretto lasso di tempo.
Suprema Corte di Cassazione
sezioni unite civili
sentenza 17 gennaio 2017, n. 961
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente di Sezione
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione
Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sezione
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere
Dott. BIELLI Stefano – Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere
Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11685/2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), per delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SIENA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), per delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 34/2016 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 07/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/11/2016 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;
uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. A seguito di segnalazioni di anomalie e disfunzioni nelle esecuzioni mobiliari trattate dinanzi al tribunale di Siena – e particolarmente nelle procedure di pignoramento presso il (OMISSIS) e contro la ASL/(OMISSIS) – l’Ordine forense senese apri’ procedimento disciplinare contro gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), titolari dell’omonimo studio associato corrente in (OMISSIS), e degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), domiciliatari senesi, formulando il seguente capo d’incolpazione:
“Violazione dell’articolo 49 del codice deontologico, per avere nelle loro rispettive qualita’ di difensore e/o procuratore domiciliatario e/o sostituto di udienza, con riferimento e limitatamente all’attivita’ professionale da ciascuno compiuta, anche in concorso tra di loro, aggravata la posizione debitoria della ASL n.(OMISSIS), assumendo iniziative giudiziarie nella procedura esecutiva n. 651/2008/RE (Caputo Giuseppe e altri / ASL n. 2 Salerno / Monte dei Paschi di Siena / terzo pignorato) nei procedimenti presso il tribunale di Siena nei confronti del (OMISSIS), senza che ricorressero effettive ragioni di tutela della parte assistita e consistenti nel:
a) richiedere per conto del medesimo cliente una pluralita’ di ingiunzioni per ragioni creditorie in tutto analoghe tra loro, riferita a crediti maturati in ristretto lasso di tempo;
b) procedere alla redazione-intimazione di separati atti di precetto per la sorte capitale ed onorari, dichiarandosi antistatario e in questo modo obiettivamente aumentando ingiustificatamente il complesso delle spese legali dovute con riferimento a ciascun titolo esecutivo;
c) procedere per conto dello stesso cliente a plurimi atti di intervento per fatture autenticate emesse in arco temporale ristrettissimo, ovvero per decreti ingiuntivi ottenuti contestualmente o in breve arco temporale, ottenendo per ciascuno di essi la liquidazione delle spese consequenziali;
d) pervenire a plurime liquidazioni e distribuzioni amichevoli delle somme ricavate, operando in sede di assegnazione ulteriori frazionamenti del credito apparentemente ingiustificati;
e) patrocinare le regioni creditorie di cui sopra in sede esecutiva mantenendo e procrastinando l’ingiustificato frazionamento dei crediti sopra descritti.
In (OMISSIS)”.
2. All’esito della fase amministrativa il COA prosciolse da tutti gli addebiti loro ascritti gli avvocati domiciliatari (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ dal solo addebito di cui al capo b) della rubrica gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS); ritenne questi ultimi, invece, responsabili degli illeciti disciplinari ascritti ai capi a) – c) – d) – e), applicando loro la sospensione rispettivamente per tre e quattro mesi.
Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero ricorso al CNF che, esclusa la fondatezza dell’addebito sub capo a), confermo’ gli addebiti di cui ai capi c) – d) – e); consequenzialmente ridusse l’entita’ della sospensione inflitta a due mesi per il primo professionista e a tre mesi per l’altro. La decisione affermo’ che i comportamenti di cui ai capi c) – d) – e) erano adeguatamente provati, onde era anche dimostrato l’aggravamento della posizione debitoria della controparte, che da quegli ingiustificati comportamenti era derivato. Il CNF aggiunse che i motivi di ricorso proposti dagli interessati avverso i provvedimenti disciplinari in questione, oltre ad essere infondati nel merito, difettavano della narrazione dei fatti che avevano formato oggetto del procedimento di primo grado, onde non apparivano rispettosi del disposto dell’articolo 342 c.p.c., e del principio di autosufficienza, integrando cio’ una ragione d’inammissibilita’ dell’atto in parte qua.
3. Per la cassazione di tale decisione gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero ricorso accolto dalle sezioni unite che, con sentenza n. 15122 del 2013, annullarono con rinvio la sentenza del CNF. Ritennero, infatti, che al ricorso proposto innanzi al CNF non si applicasse ne’ l’articolo 342 c.p.c., sull’atto di appello, ne’ il principio dell’autosufficienza del ricorso, introducendo esso un giudizio non limitato alla verifica della legittimita’ del provvedimento amministrativo disciplinare, bensi’ esteso anche al merito. Aggiunsero che il CNF, unitamente alla statuizione d’inammissibilita’ con la quale si era spogliato della potestas iudicandi, avesse impropriamente inserito anche argomentazioni sul merito della controversia, affermandone l’infondatezza; sicche’ tali enunciazioni erano prive di ogni giuridica rilevanza.
4. A seguito di riassunzione il CNF, pronunziando quale giudice di rinvio, ha dato atto del giudicato interno formatosi per mancata impugnazione dell’esclusione dell’addebito sub capo a), ha confermato gli addebiti di cui ai capi c) – d) e) ed ha applicato agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) rispettivamente le sanzioni della censura e della sospensione per mesi tre.
Ha motivato la decisione ritenendo che la nuova valutazione dei fatti e il riesame delle prove acquisite portasse “a conclusioni non dissimili rispetto alle quali pervenne la sentenza cassata”. Ha osservato come fosse documentalmente provata la pluralita’ d’interventi posti in essere dai due professionisti nella procedura esecutiva n. 651/08 e nel corso della stessa udienza del 26 maggio 2008, ovverosia: dieci interventi per la (OMISSIS), cinque per la soc. (OMISSIS), quattro per il (OMISSIS), quattro per la (OMISSIS), tre per la ditta (OMISSIS), tre per il dott. (OMISSIS), diciannove per l’avv. (OMISSIS) in proprio (ma per crediti riferibili a crediti degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS)). Ha stigmatizzato negativamente l’avvalersi di plurimi atti d’intervento che ben avrebbero potuto, per ciascun creditore, essere compendiati in unico atto e con unica liquidazione di compensi, senza aggravare ingiustificatamente la posizione della P.A. debitrice e incorrere nell’illecito deontologico dell’articolo 49.
Indi tenuto conto del diverso apporto illecito dei due professionisti incolpati, ha applicato all’avv. (OMISSIS) tre mesi di sospensione e all’avv. (OMISSIS) la sola censura, atteso che egli rispondeva unicamente quale associato professionalmente al primo e quindi tenuto alla “dovuta cura e diligenza” nella ripartizione dei compiti all’interno dell’associazione professionale.
5. Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) affidandosi a sei motivi. Il COA di Siena resiste con controricorso. I ricorrenti replicano con memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
0. Preliminarmente devono essere disattese le eccezioni d’inammissibilita’ del controricorso. Innanzitutto e’ da escludere il denunciato difetto di procura speciale in capo al difensore del COA di Siena, che, invece, ha depositato controricorso ove risulta a margine regolare procura speciale con autenticazione della firma del conferente da parte del difensore incaricato. Inoltre dev’essere escluso che il controricorso difetti dei requisiti formali per la stesura degli atti processuali e lo svolgimento delle difese. Nel concreto l’autosufficienza e i requisiti formali minimi sono assicurati dal chiaro riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 5, n. 13140 del 2010), a prescindere da ogni altra considerazione sull’invocato protocollo d’intesa tra Corte di cassazione e CNF del dicembre 2015.
1. Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione del codice deontologico (articolo 49) e di norme di diritto (articoli 88, 99, 104, 499, 525, 526, 529 e 530 c.p.c.; articolo 2907 c.c.; articoli 2, 3, 24 e 111 Cost.), i ricorrenti censurano la sentenza del giudice di rinvio laddove ritiene che l’effettuazione di plurimi atti d’intervento per altrettanti distinti crediti del medesimo soggetto creditore configuri un illecito aggravio della posizione dell’esecutato.
Rilevano che l’articolo 499 c.p.c., in particolare impone l’indicazione del singolo credito e del singolo titolo per il quale si spiega la domanda d’intervento che, nella specie, e’ stata fatta a verbale per ognuno solo nel verbale di udienza senza che potesse il difensore ivi riportare un unico “maxi credito” senza corrispondenza cartolare. Ne’ l’agire cosi’ avrebbe portato alcun aggravio atteso che la liquidazione delle spese spetta al G.E. (il quale puo’ provvedervi con le riduzioni previste dalla tariffa professionale) e che il riparto delle somme sarebbe avvenuto con progetto amichevole.
Tanto premesso, ferma restando la natura abusiva della parcellizzazione giudiziale del credito (Cass. Sez. U, n. 108 del 2000 e n. 23726 del 2007), il rimedio agli effetti distorsivi del fenomeno puo’ trovare fonte giudiziaria principale negli istituti processuali della riunione e della liquidazione delle spese, da riguardarsi come se il procedimento fosse unico fin dall’origine (Cass. Sez. 3, n. 5491 del 2015).
Nella specie, con insindacabile accertamento di fatto, il CNF ha ritenuto provata la pluralita’ d’interventi posti in essere nella procedura esecutiva n. 651/08 e nel corso della stessa udienza del 26 maggio 2008: dieci per la (OMISSIS), cinque per la soc. (OMISSIS), quattro per il (OMISSIS), quattro per la (OMISSIS), tre per la ditta (OMISSIS), tre per il dott. (OMISSIS), diciannove per l’avv. (OMISSIS) in proprio (ma per crediti riferibili a crediti degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS)).
Indi, ha stigmatizzato negativamente la condotta di avanzare plurimi interventi che ben avrebbero potuto, per ciascun creditore, essere compendiati in unico atto e con unica liquidazione di compensi, senza aggravare ingiustificatamente la posizione della P.A. debitrice e incorrere nell’illecito deontologico dell’articolo 49, laddove “L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando cio’ non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita”.
Analogamente l’articolo 66, del nuovo codice deontologico stabilisce che “L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, quando cio’ non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita” (comma 1) e che “La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura” (comma 2).
Le sezioni unite, nell’affermare che non e’ consentito al creditore frazionare la propria pretesa in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, hanno giustificato tale principio con il richiamo sia a regole di correttezza, buona fede e giusto processo per “inderogabili doveri di solidarieta’” (articolo 2 Cost.) da ritenersi violati quando il creditore aggravi ingiustificatamente la posizione del debitore ed eserciti l’azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltreche’ la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi (Cass. Sez. U, n. 23726 del 2007; conf. Sez. U, n. 26961 del 2009).
Analogamente si e’ affermato che pure il frazionamento soggettivo delle azioni giudiziarie costituisce condotta abusiva perche’ idonea a gravare le parti dell’aumento degli oneri processuali derivanti dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti (Cass. Sez. 1, n. 9488 del 2014). Ed ancora, in ipotesi d’insinuazione al passivo, si e’ ritenuto che la forza espansiva possa superare “l’autonomia dei fatti costitutivi”, qualora il creditore abbia unitaria contezza del coacervo dei crediti maturati e definiti (Cass. Sez. 1, n. 9317 del 2013).
Non e’ questa la sede per delineare i contorni dell’abuso del processo nel caso di frazionamento giudiziale di plurime obbligazioni pecuniarie, ne’ rileva la notazione dottrinaria che la rule against spliting del diritto nordamericano sia regola di substantive law e non di procedure, perche’ cio’ che importa non e’ lo specchio dogmatico del diritto soggettivo o del diritto di azione ma l’osservanza di principi di correttezza e buona fede quali emergenti da una regola deontologica di protezione com’e’ quella dell’articolo 49 cit., dettata in funzione della responsabilita’ sociale dell’avvocato quale fondamentale cerniera tra le persone e l’ordinamento giuridico.
Nella specie il giudice di rinvio, con insindacabile accertamento di fatto, rileva che “nella stessa udienza sono stati depositati plurimi atti di intervento per gli stessi creditori che ben avrebbero potuto essere ricompresi in unico atto”.
Dunque ogni diversa ricostruzione fattuale, prospettata in ricorso, e’ inammissibile perche’ comporta un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, laddove il controllo di legittimita’ non equivale alla revisione del ragionamento decisorio ne’ costituisce occasione per accedere ad un terzo grado ove fare valere la supposta ingiustizia della decisione impugnata (Cass. Sez. U, n. 8053 del 2014 e n. 7931 del 2013).
Mentre nel processo esecutivo la proposizione cumulativa, con unico atto d’intervento per la stessa parte, di pretese creditorie fondate su piu’ titoli, ivi nominativamente indicati, non e’ affatto esclusa, anzi e’ chiaramente consentita dal combinato disposto degli articoli 499 e 104 c.p.c..
Le circostanze di fatto circa la liquidazione giudiziale delle spese e la redazione di un piano di riparto amichevole non emergono dalla sentenza del giudice di rinvio, ne’ v’e’ censura per omesso esame ex articolo 360 c.p.c., n. 5.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’articolo 2909 c.c., i ricorrenti censurano la sentenza di rinvio laddove non avrebbe tratto dal giudicato assolutorio sul capo a), relativo l’abusivo frazionamento del credito in sede monitoria, vincolanti conseguenze assolutorie riguardo al capo e), sulla procrastinazione dell’asserito frazionamento in fase esecutiva. Osservano che, una volta negata l’abusivita’ del frazionamento del credito in fase monitoria, ne deriverebbe, per dipendenza logico-giuridica, l’insussistenza del medesimo addebito per la consequenziale esecuzione dei medesimi titoli monitori.
Il motivo non e’ fondato per l’assenza di un nesso di pregiudizialita’ – dipendenza logica e/o giuridica tra la condotta ascritta sub capo a) – “richiedere per conto del medesimo cliente una pluralita’ di ingiunzioni per ragioni creditorie in tutto analoghe tra loro, riferita a crediti maturati in ristretto lasso di tempo” – e quella ascritta sub capo e) – “patrocinare le regioni creditorie di cui sopra in sede esecutiva mantenendo e procrastinando l’ingiustificato frazionamento dei crediti sopra descritti” – atteso che quest’ultimo compendia le condotte riferite alla sola fase esecutiva e ascritte sub capo c) – “procedere per conto dello stesso cliente a plurimi atti di intervento per fatture autenticate emesse in arco temporale ristrettissimo, ovvero per decreti ingiuntivi ottenuti contestualmente o in breve arco temporale, ottenendo per ciascuno di essi la liquidazione delle spese consequenziali” – e sub capo d) – “pervenire a plurime liquidazioni e distribuzioni amichevoli delle somme ricavate, operando in sede di assegnazione ulteriori frazionamenti del credito apparentemente ingiustificati” – il che rende diversi i fatti ivi contestati rispetto a quelli riferiti alla fase monitoria.
3. Con il terzo motivo, denunciando violazione di norme di diritto processuali (Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 56, L. n. 247 del 2012, articolo 36, articolo 115 c.p.c.), i ricorrenti censurano l’operato del giudice di rinvio laddove avrebbe fondato il proprio convincimento sul contenuto della sentenza cassata e su rilievi ivi esposti ad abundantiam.
Il motivo e’ inammissibile perche’ la violazione dell’articolo 115 c.p.c., (e dell’articolo 116 c.p.c.) e’ apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (Cass. Sez. 1, n. 14267 del 2006), ora resi strettissimi dalla novella processuale del 2012 (Cass. Sez. U, n. 8053 del 2014). Mentre detta violazione puo’ essere dedotta come vizio di legittimita’ solo denunciando che il giudice abbia dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (Cass. Sez. U, n. 16598 del 2016, §14; Sez. 3, n. 11892 del 2016). Nulla di tutto cio’ risulta addotto nel caso in esame.
Sotto altro profilo, si osserva che la sentenza, emessa all’esito del giudizio di rinvio contro gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), non si risolve affatto nel mero appiattimento sugli argomenti della prima sentenza cassata. Il CNF procede, in concreto, al riesame degli atti e dei fatti gia’ introdotti nel giudizio di merito giungendo alle medesime precedenti conclusioni, supportate – pur se in modo non prevalente – da idonei spunti critici di ragionamento logico-giuridico propri del giudice di rinvio. Il che risponde a una legittima tecnica decisoria, consentita per ragioni di economia processuale e di semplificazione (Cass. Sez. U, n. 10627 del 2014). Basta, infatti, che le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che al giudice non e’ imposta l’originalita’ ne’ dei contenuti ne’ delle modalita’ espositive (Cass. Sez. U, n. 642 del 2015).
4. Col quarto motivo, denunciando violazione di norme di diritto processuali (Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 56; L. n. 247 del 2012, articolo 36; articoli 384, 394, 115 e 116 c.p.c.), i ricorrenti censurano l’operato del giudice di rinvio laddove avrebbe trascurato il principio di diritto sul riesame delle prove enunciato nella sentenza delle sezioni unite n. 15122 del 2013, omettendo di valutare le prove acquisite agli atti e fondando il proprio convincimento su un argomento di prova contenuto nella sentenza cassata.
Il motivo va disatteso dovendosi richiamare le medesime considerazioni svolte sul terzo motivo.
Inoltre, quanto all’operato istruttorio, e’ in facolta’ del CNF procedere alle sole indagini ritenute necessarie per l’accertamento dei fatti (Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 63) e l’aver disatteso le sollecitazioni degli interessati incide solo sull’efficacia giustificativa della decisione di merito sul fatto e non sul controllo di legittimita’ della decisione stessa (Cass. Sez. U, n. 9287 del 2016).
Infine, quanto al comportamento processuale (omissivo) dei ricorrenti, stigmatizzato dal giudice di rinvio cosi’ come dal primo giudice, si tratta di un argomento ad abundantiam, come la stessa difesa rileva (ric. pag. 19 e 22), e quindi non decisivo, il che rende inammissibile la censura sul punto. Infatti e’ noto che, in sede di legittimita’, sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta, poiche’ esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (Cass. Sez. L, n. 22380 del 2014).
5. Con il quinto motivo, denunciando violazione o falsa applicazione di norme di diritto (Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 56, L. n. 247 del 2012, articolo 36, comma 6, L. n. 689 del 1981, articolo 1 e segg., L. n. 1815 del 1939, articolo 1) e del codice deontologico (articolo 34), nonche’ correlato eccesso di potere, la difesa censura l’operato del giudice di rinvio per avere esteso gli illeciti deontologici all’avvocato (OMISSIS) per fatti tutti ascrivibili al solo avvocato (OMISSIS) in contrasto col principio della personalita’ disciplinare e sulla scorta, invece, del mero rapporto di associazione professionale tra i due e dei benefici ricavati sul piani economico dai maggiori ricavi associativi.
Premesso che le invocate disposizioni del capo I della L. n. 689 del 1981, “non si applicano alle violazioni disciplinari” (articolo 12), si osserva che dalla lettura della sentenza non emerge alcun eccesso o sviamento di potere (R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 56), ovverosia l’uso della potesta’ disciplinare per un fine diverso da quello per il quale e’ stato conferito (Cass. Sez. U, n. 7103 del 2007 e n. 9287 del 2016).
Tutto ruota, invece, sull’articolo 34 del codice deontologico che, nel testo all’epoca vigente, stabilisce: “Nel caso di associazione professionale, e’ disciplinarmente responsabile soltanto l’avvocato o gli avvocati a cui si riferiscano i fatti specifici commessi”. L’articolo 7 del nuovo codice deontologico, in continuita’ con la precedente disposizione, precisa che “L’avvocato e’ personalmente responsabile per condotte, determinate da suo incarico, ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilita’”.
Sennonche’ con autonomo e insindacabile accertamento di fatto, il giudice di rinvio ha appurato che i diciannove interventi spiegati in proprio dall’avv. (OMISSIS) erano riferibili a crediti degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS). Dunque, “gli stessi hanno altresi’ congiuntamente beneficiato delle assegnazioni delle somme” dopo “che tutti gli atti sono stati compiuti nell’interesse dei due legali”, cosi’ come esattamente osserva la difesa del COA nel controricorso (pag. 23). Ne deriva che – stante la convergenza d’interessi, la comunanza di benefici e il regime di associazione professionale – sussistono concordanti elementi di prova logica e circostanziale che confliggono con la tesi della presunta estraneita’ dell’avvocato (OMISSIS) alla vicenda. Ne’ il ragionamento decisorio del giudice di rinvio, correlato a fatti specifici e ai doveri di cura e diligenza nell’ambito dei rapporti di associazione professionale, risulta censurato sotto il profilo dei parametri legali della prova per presunzioni (Cass. Sez. U, n. 584 del 2008).
6. Con il sesto motivo, denunciando violazione di norme di diritto (Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 56, L. n. 247 del 2012, articolo 36, articoli 384, 394, 115 e 116 c.p.c.), la difesa censura l’operato del giudice di rinvio laddove avrebbe trascurato il principio di diritto sul riesame delle prove enunciato nella sentenza delle sezioni unite, omettendo di valutare le prove acquisite agli atti e dimostrative della estraneita’ dell’avvocato (OMISSIS) ai fatti oggetto d’incolpazione.
Il motivo e’ inammissibile laddove non coglie l’effettiva ratio decidendi costituita dall’affermazione specifica (pag. 14) che “l’avv. (OMISSIS) non ha fornito alcun elemento di prova per contestare la circostanza addebitatagli” (v. Cass. Sez. U, n. 7931 del 2013).
7. Pertanto il ricorso deve essere rigettato; le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti alle spese del presente giudizio di legittimita’, complessivamente liquidate a favore del controricorrente in Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per borsuali), oltre alle spese generali (15%) e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis
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