cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 24 marzo 2015, n. 12514

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MILO Nicola – Presidente

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere

Dott. DI STEFANO Pierlui – Consigliere

Dott. BASSI A. – rel. Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedet – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 4303/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del 31/07/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;

sentite le conclusioni del PG Dott. Roberto Aniello che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 31 luglio 2014, il Tribunale, sezione del riesame, di Napoli ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 310 cod. proc. pen. e, per l’effetto, ha confermato le impugnate ordinanze del 3 e 26 giugno 2014 con le quali il Gip presso lo stesso Tribunale aveva rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicata con ordinanza del 12 ottobre 2013.

Il Tribunale ha, in primo luogo, rilevato che i fatti oggetto dell’ordinanza coercitiva emessa nel novembre 2008 (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74) sono diversi da quelli oggetto del titolo cautelare emesso il 12 ottobre 2013 (ex articolo 416-bis cod. pen.) e che, per giurisprudenza costante, le due associazioni per delinquere possono concorrere; che, in ogni caso, ai fini della integrazione della condotta di partecipazione all’associazione camorristica che abbia fra i propri fini criminali anche quello della gestione del traffico di sostanze stupefacenti non basta la prova pura e semplice di aver gestito il traffico medesimo; che fa comunque difetto il requisito della “desumibilita’ dagli atti”, atteso che una parte significativa degli elementi di prova posti a base dell’accusa ai sensi dell’ articolo 416-bis cod. pen. e’ stata acquisita in un’epoca successiva alla data della richiesta di rinvio a giudizio, essendo state assunte le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a partire dal maggio 2010; che, quanto alla dedotta violazione del principio di specialita’ essendo stato (OMISSIS) consegnato dall’A.G. straniera per un fatto diverso rispetto a quello oggetto del provvedimento coercitivo in discussione, cio’ che rileva e’ se i fatti per i quali interviene il titolo cautelare per un diverso reato siano anteriori rispetto momento della consegna, laddove il reato associativo contestato allo (OMISSIS) ha continuato a consumarsi anche successivamente all’emissione della misura cautelare, in quanto la data dell’arresto non segna necessariamente la cessazione della permanenza del reato associativo.

2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso ex articolo 311 cod. proc. pen. l’Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’articolo 299 c.p.p. e articolo 273 c.p.p., comma 2, per avere il Tribunale denegato la sussistenza della preclusione da bis in idem, stante l’identita’ storica dei fatti oggetto del provvedimento cautelare in oggetto e di quello adottato nei confronti dello (OMISSIS) in data 28 novembre 2008. D’altra parte, l’ulteriore reato di riciclaggio di cui all’articolo 648-ter cod. pen. aggravato ai sensi della Legge n. 203 del 1991, articolo 7 sub capo LLL), alla luce delle evidenze probatorie assunte (dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) e il colloquio telefonico intercettato in data 3 ottobre 2008), risulta avere ad oggetto somme che costituiscono il reimpiego del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, e non anche di quello di cui all’articolo 416-bis cod. pen., sicche’ si tratta di fatto reato non perseguibile per il privilegio di immunita’ del cosiddetto auto riciclaggio.

2.2. Violazione di legge penale in relazione alla Legge n. 69 del 2005, articoli 32 e 26 e articolo 416-bis cod. pen., per avere il Tribunale rigettato l’eccezione con la quale si era eccepita la violazione del principio di specialita’. Evidenzia il ricorrente che (OMISSIS), non avendo rinunciato al principio di specialita’, non avrebbe potuto essere assoggettato al provvedimento coercitivo di cui si discute in quanto esso si fonda su elementi acquisiti in epoca antecedente all’arresto e la restrizione in carcere comporta fisiologicamente la cessazione del vincolo associativo salvo dimostrazione di un’ulteriore permanenza del sodalizio criminale, insussistente nella specie.

3. Il Procuratore generale Dott. Roberto Aniello ha chiesto che il ricorso sia rigettato. L’Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato sotto entrambi i profili dedotti.

2. Quanto al primo motivo di doglianza, mette conto rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi (Cass. Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, Magistris, Rv. 241883; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso e altri Rv. 258163).

Tanto premesso quanto al configurabilita’ del concorso fra le due fattispecie, ritiene il Collegio che correttamente il Tribunale partenopeo abbia ritenuto insussistenti i presupposti della dedotta inefficacia sopravvenuta della misura cautelare per retrodatazione ai sensi dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, cioe’ in virtu’ della cd. contestazione a catena.

2. In linea generale, occorre premettere che, a norma dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, gli effetti di un’ordinanza coercitiva devono essere retrodatati alla data di esecuzione o notificazione di una precedente ordinanza emessa nei confronti dello stesso soggetto – con la conseguenza che il dies a quo ai fini della determinazione dei termini di custodia cautelare della seconda ordinanza viene fatto coincidere, con una fictio iuris, con la data di inizio della carcerazione in conseguenza del primo provvedimento coercitivo -, allorche’ si tratti di provvedimenti coercitivi per uno stesso fatto, anche se diversamente qualificato o circostanziato, ovvero di ordinanze cautelari per fatti diversi allorche’ si tratti di fatti: a) commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza; b) connessi tra loro ai sensi dell’articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera b) e lettera c), (cioe’ in concorso formale o avvinti dal vincolo della continuazione o legati da nesso teleologico); c) desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto con il quale sussiste connessione.

2.1. La ratio della disposizione e’ quella di evitare che, attraverso la reiterazione nel tempo nei confronti di uno stesso soggetto di piu’ ordinanze coercitive per uno stesso fatto o per fatti connessi, i termini di custodia cautelare, pur rigorosamente regimentati dall’articolo 303 cod. proc. pen., vengano ad essere indebitamente prolungati. Il legislatore ha cosi’ inteso scongiurare che il pubblico ministero, scaglionando nel tempo le richieste di emissione di piu’ provvedimenti coercitivi per fatti diversi fra loro connessi e gia’ noti al momento dell’emissione della prima ordinanza, possa aggirare il sistema dei termini massimi di custodia e prolungare oltre i limiti di legge il vincolo alla liberta’ personale: si e’ cosi’ voluto garantire che, non appena gli elementi indiziari a fondamento di una determinata imputazione siano conosciuti o conoscibili, anche se emersi in altro procedimento, l’inquirente non indugi nel richiedere l’emissione dell’ordinanza cautelare, e cio’ nella prospettiva di assicurare che la durata della custodia dipenda da un fatto obiettivo (in ossequio ai canoni di uguaglianza e ragionevolezza), quale quello dell’acquisizione di elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari, e non da una imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del “potere cautelare” (C. Cost. n. 408/2005).

2.2. Sin dai primi tempi dell’entrata in vigore nel nuovo codice, l’applicazione della norma, anche a causa di una non felice formulazione, in quanto connotata – come la dottrina non ha mancato di evidenziare – da una “prosa contorta”, ha dato luogo nella prassi, a dubbi e contrasti ermeneutici, risolti nel tempo dal giudice delle leggi e da questa Corte di legittimita’.

2.3. In primo luogo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che l’istituto cd. della contestazione a catena e’ configurabile anche in caso di reati che emergano nell’ambito di procedimenti diversi, pendenti sia innanzi allo stesso giudice sia innanzi a giudici diversi, purche’ sussistano le altre condizioni di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 3 (Cass. Sez. U 25/06/1997, Atene Rv. 208167; Cass. Sez. U 22/03/2005, Rahulia Rv. 231058). La circostanza che l’indagato sia sottoposto a custodia cautelare in forza di titoli cautelari emessi da parte di A.G. diverse non e’ pertanto di ostacolo all’operativita’ dell’istituto in oggetto.

2.4. Indi, la giurisprudenza costituzionale e di legittimita’ sono state chiamate a piu’ riprese a risolvere nodi interpretativi concernenti l’operativita’ dell’istituto in caso di ordinanze emesse nello stesso procedimento o in procedimenti diversi, in relazione a fatti connessi o non connessi.

Cercando di esemplificare i principali approdi della giurisprudenza di legittimita’ e costituzionale in materia (in particolare, ci si riferisce alle sentenze Cass. Sez. U 22/03/2005, Rahulia Rv. 231058, Cass. Sez. U 19 dicembre 2006, Librato Rv. 235909 e Corte Cost. 3 novembre 2005 n. 408), si devono distinguere le situazioni in cui si tratti di fatti per i quali si proceda nell’ambito del medesimo procedimento penale ovvero in procedimenti distinti e, nell’ambito di ciascuno di tali ambiti, se si tratti di fatti connessi ovvero non connessi.

2.5. Nel caso in cui i fatti di un medesimo procedimento siano connessi, la retrodatazione della seconda ordinanza alla data di esecuzione o di notificazione della prima opera a condizione che sussistano due condizioni: 1) che i fatti siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva rispetto alla quale si domanda la retrodatazione; 2) che sussista connessione qualificata (ex articolo 12 c.p.p., lettera b) e c)) fra i fatti di cui alle due ordinanze coercitive.

In altri termini, allorche’ si tratti di fatti connessi per i quali si procede nell’ambito del medesimo procedimento non e’ necessario che ricorra l’ulteriore requisito della desumibilita’ dei fatti di cui alla seconda ordinanza coercitiva dagli atti posti a fondamento della prima ordinanza cautelare (si veda Cass. Sez. U, Rahulia cit.).

Diversamente, nel caso in cui i fatti oggetto del medesimo procedimento non siano connessi, oltre al requisito della anteriorita’, e’ necessario anche l’ulteriore condizione della desumibilita’. In tale ipotesi, ai fini della retrodatazione, e’ dunque richiesto che: 1) che i fatti siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva, rispetto alla quale si domanda appunto la retrodatazione; 2) che i fatti fossero desumibili dagli atti prima dell’emissione della prima ordinanza coercitiva (si veda Cass. Sez. U, Rahulia cit., Cass. Sez. U, Librato, cit.).

2.6. Nel caso in cui si tratti di fatti oggetto di procedimenti distinti, occorre distinguere a seconda se si tratti di fatti connessi ovvero non connessi.

Nel caso di fatti connessi, vale la regola codificata nella seconda parte dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, secondo la quale la retrodatazione opera a condizione che: 1) i fatti siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva, rispetto alla quale si domanda la retrodatazione; 2) sussista connessione qualificata (ex articolo 12 c.p.p., lettera b) e c)) fra i fatti di cui alle due ordinanze coercitive; 3) i fatti oggetto del diverso procedimento fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza (netta in tale senso e’ la motivazione della sentenza della Cass. Sez. U, Librato, cit., allorche’ schematizza il dictum della sentenza Cass. Sez. U Rahulia cit.).

Invece, nel caso in cui si tratti di procedimenti diversi per fatti non connessi, la retrodatazione e’ possibile solo a condizione che: 1) i fatti siano stati commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza coercitiva, rispetto alla quale si domanda la retrodatazione; 2) i procedimenti pendano innanzi alla stessa A.G.; 3) la loro separazione sia frutto di una scelta indebita del P.M.; 4) i fatti oggetto del diverso procedimento fossero desumibili dagli atti anteriormente alla prima ordinanza (Corte Cost. 3 novembre 2005 n. 408, Cass. Sez. U, Librato, cit.).

3. Fissate tali coordinate ermeneutiche, occorre ancora precisare che, affinche’ possa ritenersi sussistente il requisito della desumibilita’, non e’ sufficiente che dalle indagini emerga, o comunque sia suscettibile di delinearsi, una notitia criminis, ma e’ necessario, in primo luogo, che il P.M. sia reso edotto delle emergenze delle indagini mediante la formalizzazione di un’informativa al medesimo, in secondo luogo, che tali risultanze investigative siano suscettibili di consentire la valutazione in termini di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, quindi, la formulazione di una richiesta di misura cautelare ai sensi dell’articolo 291 stesso codice.

Ed invero, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, per un verso, i diversi titoli di custodia cautelare devono avere ad oggetto una serie di fatti contemporaneamente conosciuti dal pubblico ministero, di tal che si e’ ritenuto non applicabile la disposizione contenuta nell’articolo 297 c.p.p., comma 3, alla ipotesi di notizia di reato concernente i fatti relativi alla seconda ordinanza completata e portata a conoscenza del pubblico ministero ai fini della contestazione solo successivamente alla adozione del primo titolo custodiale (Cass. Sez. 5, n. 20084 del 21/02/2013, Doci, Rv. 255639). Per altro verso, la nozione di anteriore desumibilita’ delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice “conoscenza” o “conoscibilita’” di determinate evenienze fattuali: la desumibilita’, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 3, deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in se’ una specifica “significanza processuale”; cio’ che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini) del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravita’ delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo – in presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare (Cass. Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, Di Paola, Rv. 253509). Sotto diverso profilo si e’ affermato che, ai fini della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, il momento in cui dagli atti possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza coincide non con la materiale disponibilita’ della informativa di reato, ove questa riassuma i dati investigativi e gli elementi di prova progressivamente acquisiti, ma con quello in cui il suo contenuto possa considerarsi “recepito”, risultante dal tempo obiettivamente occorrente al pubblico ministero per una lettura ponderata del materiale (Cass. Sez. 1, n. 12906 del 17/03/2010 Cava Rv. 246839).

4. Sulla scorta di tali principi di diritto, ritiene il Collegio che, nella fattispecie, non ricorrano le condizioni per applicare l’invocata retrodatazione ex articolo 297 c.p.p., comma 3.

Occorre premettere che, nel caso de quo, la cd. contestazione a catena viene invocata in relazione a fatti oggetto di procedimenti distinti, in ipotesi connessi, di tal che la retrodatazione postula che: 1) i fatti siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva rispetto alla quale si domanda la retrodatazione; 2) sussista connessione qualificata (ex articolo 12 c.p.p., lettera b) e c)) fra i fatti di cui alle due ordinanze coercitive; 3) i fatti oggetto del diverso procedimento fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza.

Orbene, nel caso in oggetto, fanno difetto sia la prima sia la terza condizione, risultando integrata soltanto la seconda condizione, id est la connessione qualificata fra i fatti.

Ed invero, (OMISSIS) e’ stato tratto in arresto in esecuzione della prima ordinanza cautelare del novembre 2008 per il reato di associazione per delinquere finalizzata ad attivita’ di narcotraffico mentre l’attuale titolo coercitivo riguarda l’associazione per delinquere di stampo mafioso protrattasi, a tenor di contestazione, in quanto reato permanente, anche oltre la data di emissione del primo provvedimento custodiale.

Quanto alla terza condizione, il titolo custodiale che viene in rilievo si fonda essenzialmente sulle propalazioni rese da collaboratori di giustizia che hanno reso dichiarazioni nel 2010, dunque in un’epoca successiva al decreto che dispone il giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo.

Conclusivamente, fanno difetto i presupposti per l’applicazione dell’istituto della contestazione a catena e, dunque, per far retroagire l’inizio della limitazione della liberta’ personale per il procedimento in oggetto alla data di esecuzione della prima ordinanza.

3. Infondato e’ anche il secondo motivo di ricorso col quale si e’ eccepita la violazione del principio di specialita’.

3.1. A tale riguardo, giova premettere che, in materia di mandato d’arresto Europeo, la violazione del principio di specialita’, che preclude la sottoposizione della persona consegnata a procedimento penale o a misura privativa della liberta’ personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale la stessa e’ stata concessa, non puo’ essere fatta valere dopo che le autorita’ dello Stato estero hanno prestato assenso all’estensione della consegna per i fatti ulteriori, in quanto per effetto di questa vicenda e’ venuta meno l’attualita’ del vizio (Cass. Sez. 1, n. 3791 del 07/11/2013, Allegro, Rv. 259163).

In una fattispecie in tutto sovrapponibile a quella di specie per associazione per delinquere di tipo mafioso, questo giudice di legittimita’ ha chiarito che il rispetto del principio di specialita’ riguarda esclusivamente i fatti anteriori alla consegna dell’estradato, di tal che, in ipotesi di reato permanente, se il suddetto principio impedisce che l’interessato possa essere assoggettato a misura restrittiva della liberta’ personale per la parte della condotta che riguarda il periodo anteriore alla consegna, il principio medesimo non opera per la parte della stessa condotta successiva a tale consegna, la quale costituisce la protrazione ulteriore del medesimo illecito (Cass. Sez. 6, n. 998 del 19/03/1998, Brugnano C, Rv. 211788).

Ne discende che la violazione del principio di specialita’ non puo’ essere fondatamente invocata nel caso di specie, nel quale il reato associativo posto a base del provvedimento coercitivo si e’ protratto – giusta contestazione provvisoria – oltre la data di arresto e di consegna dell’indagato all’A.G. italiana.

3.2. Ne’, come argomenta il ricorrente, si potrebbe ritenere che l’intervenuto arresto di (OMISSIS) in relazione ai fatti di cui al primo titolo custodiale abbia di per se’ determinato la cessazione della permanenza del reato associativo, di tal che i fatti de quibus devono ritenersi commessi in epoca anteriore alla consegna, con conseguente violazione del delineato principio di specialita’.

A tale riguardo, non puo’ non essere ribadito il consolidato insegnamento di legittimita’ secondo cui, in tema di associazione per delinquere, il sopravvenuto stato detentivo di un soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della partecipazione al sodalizio criminoso di appartenenza, atteso che, in determinati contesti delinquenziali, i periodi di detenzione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualita’ le quali, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo e alla programmazione delle sue attivita’ e, dall’altro, non fanno cessare la disponibilita’ a riassumere un ruolo attivo non appena venga meno il forzato impedimento (Cass. Sez. 4, n.2893 del 07/12/2005, Attolico Rv. 232883). E ancora, in una fattispecie consimile a quella di specie in tema di retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare, ai sensi dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, in fattispecie di associazione di stampo mafioso, questa Corte ha affermato che il sopravvenuto stato detentivo dell’indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato (Cass. Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, Caglioti Rv. 261272).

Legittimamente il giudice a quo ha, dunque, concluso che, in assenza di elementi dimostrativi della intervenuta rescissione del vincolo associativo, la carcerazione non possa di per se’ ritenersi idonea a determinare la cessazione della permanenza del reato associativo.

4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1-ter.

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