Corte di Cassazione, sezione VI penale,sentenza 5 aprile 2017, n. 17061

Ai fini della configurabilità dell’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5, del Dpr n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare, secondo una visione unitaria e globale, tutti gli elementi normativamente indicati. Quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli attinenti all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa) come manifestatisi nel peculiare caso di specie, senza nessun automatismo o preclusione derivante dalla natura delle sostanze, anche se eterogenea, né dalle modalità organizzate della condotta, potendo escludere il riconoscimento della fattispecie attenuata in ragione del mero dato quantitativo ovvero dei soli connotati dell’azione soltanto qualora possano ritenersi dimostrativi di una significativa, concreta e non virtuale potenzialità offensiva e, dunque, di un pericolo non circoscritto di diffusività della sostanza, incompatibile con la fattispecie incriminatrice in questione

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 5 aprile 2017, n. 17061

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Giovanni – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 27/06/2016 della Corte d’appello di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata limitatamente all’articolo 337 cod. pen. e che il ricorso sia rigettato nel resto;

udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza dell’11 febbraio 2016, con la quale il Tribunale di Messina ha condannato alle pene di legge, all’esito del giudizio abbreviato, (OMISSIS) in ordine ai reati di detenzione a fine di spaccio di 266,70 grammi di canapa indiana e di resistenza a pubblico ufficiale.

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

2.1. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, per avere la Corte d’appello confermato il giudizio di penale responsabilita’ sebbene, come specificamente rilevato nell’atto d’impugnazione, manchi la prova, sotto entrambi i profili oggettivo e soggettivo, della destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale;

2.2. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, per avere la Corte escluso la configurabilita’ dell’ipotesi lieve, sebbene il dato quantitativo dello stupefacente non sia rilevante e la somma di denaro rinvenuta nella disponibilita’ del ricorrente sia modesta;

2.3. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’articolo 377 cod. pen., per avere la Corte ritenuto erroneamente integrato il reato di resistenza a pubblico ufficiale sebbene l’imputato si sia limitato a darsi alta fuga e dunque a tenere un comportamento meramente passivo;

2.4. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’articolo 133 cod. pen., per avere la Corte confermato la pena irrogata in primo grado omettendo di indicare le ragioni per le era quali essa stata commisurata al di sopra del minimo edittale;

2.5. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’articolo 133 cod. pen., per avere la Corte escluso l’applicabilita’ delle circostanze attenuanti generiche, argomentando del tutto genericamente in merito al presunto “collegamento del ricorrente con ambienti criminali di sicuro spessore”, senza in effetti circostanziare l’assunto, ne’ motivare in ordine alle specifiche deduzioni mosse nell’atto d’appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato con limitato riguardo alla deduzione concernente il reato di resistenza a pubblico ufficiale, mentre deve essere dichiarato inammissibile con riferimento alle restanti censure.

2. Oltre a replicare i rilievi gia’ mossi in appello senza confrontarsi con la risposta data dal Collegio del gravame (il che gia’ riverbera in termini di inammissibilita’ dei motivi, v. Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838), il primo ed il secondo motivo sono volti a sollecitare una rilettura delle emergenze probatorie con specifico riguardo alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale ed alla integrazione dell’ipotesi c.d. lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5.

2.1. D’altronde, l’argomentare in risposta al primo motivo e’ scevro da illogicita’ manifeste, la’ dove la Corte territoriale ha escluso la finalizzazione all’uso personale della sostanza detenuta dal (OMISSIS) valorizzando: a) la disponibilita’ in capo al (OMISSIS) di un quantitativo di stupefacente ampiamente eccedente il ragionevole fabbisogno per il consumo personale; b) la circostanza che il compendio fosse sequestrato fuori dall’abitazione, in un contesto non compatibile con l’immediata destinazione al consumo; c) il fatto che lo stesso imputato non abbia dato una spiegazione alternativa delle ragioni per le quali avrebbe acquistato il consistente quantitativo di droga sequestratogli affrontando un significativo esborso economico per una sostanza vegetale destinata a perdere rapidamente le qualita’ stupefacenti e, dunque, prima del tempo necessario per essere consumato da una sola persona; d) la disponibilita’ nell’abitazione di un ulteriore quantitativo di canapa indiana gia’ frazionato. Il Collegio del gravame ha dunque operato una valutazione unitaria e ragionata di una pluralita’ di dati sintomatici, traendone conclusioni conformi a ragionevolezza ed a condivise massime d’esperienza, non sindacabile nella sede di legittimita’.

2.2. Analoghe considerazioni valgono quanto al secondo motivo, avendo il Giudice d’appello escluso i presupposti dell’ipotesi lieve, correttamente evidenziando il rilevante dato ponderale della sostanza detenuta dal (OMISSIS) (grammi 266,70), seppure di specie c.d. leggera.

Al riguardo occorre invero chiarire che, ai fini del riconoscimento della fattispecie incriminatrice del fatto di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, il giudice e’ tenuto a valutare, secondo una visione unitaria e globale, tutti gli elementi normativamente indicati. Quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalita’ e circostanze della stessa), sia quelli attinenti all’oggetto materiale del reato (quantita’ e qualita’ delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa) come manifestatisi nel peculiare caso di specie, senza nessun automatismo o preclusione derivante dalla natura delle sostanze, anche se eterogenea, ne’ dalle modalita’ organizzate della condotta, potendo escludere il riconoscimento della fattispecie in ragione del mero dato quantitativo ovvero dei soli connotati dell’azione soltanto qualora possano ritenersi dimostrativi di una significativa, concreta e non virtuale potenzialita’ offensiva e, dunque, di un pericolo non circoscritto di diffusivita’ della sostanza, incompatibile con la fattispecie incriminatrice in parola.

A tali indicazioni ermeneutiche si e’ attenuto il Giudice a quo, la’ dove ha rimarcato come la quantita’ di stupefacente oggetto della condotta risulti “considerevole”, cosi’ da rendere evidente la significativa potenzialita’ offensiva del fatto ed il pericolo di diffusivita’ della sostanza e da precludere l’inquadramento della fattispecie concreta nell’invocata ipotesi incriminatrice.

3. Sono inammissibili anche le ultime due deduzioni concernenti la determinazione della pena (non sul minimo edittale) e la denegata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

3.1. Occorre rammentare come la determinazione della pena entro il minimo e il massimo edittale rientri tra i poteri discrezionali del giudice di merito e come sia pertanto insindacabile nella sede di legittimita’ allorche’ non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Cass. Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario Rv. 259142).

Adeguata motivazione che si rinviene nella specie la’ dove i Giudici della cognizione hanno bene argomentato la commisurazione della pena (in anni due e mesi sei di reclusione e 8000 Euro di multa, con aumento per la continuazione di mesi sei di reclusione e 1000 Euro di multa), osservando che il lieve scarto rispetto al minimo edittale e’ ampiamente giustificato dal precedente dell’imputato e dalla condotta tenuta da questo nell’immediatezza del fatto e nel corso del giudizio.

3.2. Ineccepibile e’ anche la motivazione svolta dalla Corte che ha ritenuto insussistenti i presupposti per applicare le circostanze attenuanti generiche in assenza di elementi positivamente valutabili, in linea con la costante giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900).

4. Come anticipato, e’ di contro fondato il terzo motivo concernente la contestazione di resistenza a pubblico ufficiale.

4.1. In via preliminare, mette conto di rilevare come il reato di resistenza a pubblico ufficiale postuli, giusta il chiaro dato normativo, la “violenza” o la “minaccia” per opporsi all’atto d’ufficio o di servizio, il che presuppone – quanto alla prima ipotesi – un vero e proprio impiego di forza da parte dell’agente e quanto alla seconda ipotesi – l’attuazione di un comportamento percepibile come minaccioso, in entrambi i casi volto a contrastare il compimento dell’atto del pubblico ufficiale. Se ne inferisce che il delitto non e’ configurabile nel caso in cui l’agente ponga in essere una condotta di mera resistenza passiva, come nel caso egli si dia semplicemente alla fuga, ovvero (ma si tratta di fattispecie che non viene in rilievo nel caso di specie) quando si limiti a divincolarsi come una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale.

Nondimeno, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, integra l’elemento materiale della violenza del delitto di resistenza a pubblico ufficiale anche la condotta del soggetto che si dia alla fuga alla guida di una autovettura, allorquando egli non si limiti a cercare di sottrarsi all’inseguimento, ma ponga deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l’incolumita’ personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada (Sez. F, n. 40 del 10/09/2013, dep. 2014, E., Rv. 257915).

In tale caso, l’autore del fatto non si limita a tentare un commodus discessus a bordo di un mezzo di locomozione e dunque a sottrarsi all’atto dovuto del pubblico ufficiale, ma tiene un comportamento di guida integrante di per se’ – in considerazione della pericolosita’ delle manovre attuate per seminare gli inseguitori e della messa a repentaglio dell’incolumita’ di essi e degli altri utenti della strada – gli estremi della “violenza” o comunque della “minaccia” rilevanti ai fini della integrazione della fattispecie incriminatrice in parola. Pur allontanandosi dai pubblici ufficiali, l’agente pone, difatti, in atto nei loro riguardi o comunque della collettivita’ (la cui incolumita’ e sicurezza sono tenuti a proteggere gli operanti), una condotta aggressiva o comunque minacciosa seppure attuata mediante il mezzo di locomozione – al fine di indurli a soprassedere dal compimento dell’atto d’ufficio e, dunque, realizza un’intenzionale opposizione ad esso.

In questo senso, questa Corte ha avuto modo di affermare che, nel reato di resistenza a pubblico ufficiale, la violenza o minaccia deve consistere in un comportamento idoneo ad opporsi all’atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, in grado di ostacolarne la realizzazione; sicche’, in mancanza di elementi che rendano evidente la messa in pericolo per la pubblica incolumita’ e l’indiretta coartazione psicologica dei pubblici ufficiali, l’agente non deve rispondere di tale reato (nella specie, il soggetto, alla guida di un’autovettura, non si era fermato con il segnale “rosso” ed aveva tentato di sottrarsi all’inseguimento degli agenti, viaggiando ad elevata velocita’) (Sez. 6, n. 35448 del 08/07/2002, dep. 2003, P.M. in proc. De Santi, Rv. 226686).

E’ ovvio che la demarcazione fra una condotta di fuga meramente passiva, non dante luogo al reato de quo, ed una condotta di fuga invece connotata da sia pur minimi tratti di offensivita’ o di messa in pericolo dell’incolumita’ personale di terzi (pubblici ufficiali o estranei), integrante invece la fattispecie, postula un attento e puntuale accertamento delle modalita’ esecutive del comportamento di guida tenuto dall’agente, che potra’ ritenersi sussumibile nell’ipotesi di cui all’articolo 337 cod. pen. soltanto allorquando risulti volto non meramente ad eludere, a sfuggire passivamente, ma ad intralciare attivamente l’atto d’ufficio del pubblico agente, con una condotta violenta o comunque lato sensu intimidatoria, volontaria e diretta a tale scopo.

4.2. In ossequio al principio di diritto teste’ delineato, giudica il Collegio che, nella specie, non possa ritenersi provato – al di la’ di ogni ragionevole dubbio che (OMISSIS) sia fuggito agli operanti tenendo una condotta di guida tale da porre deliberatamente in pericolo l’incolumita’ personale degli agenti inseguitori e della collettivita’ e, dunque, da integrare la contestata resistenza.

Secondo la ricostruzione storico fattuale operata dai Giudici della cognizione, il ricorrente si limito’ a condurre il motociclo in modo imprudente, ma non per questo – almeno per quanto dato genericamente conto negli atti di P.G. utilizzati ai fini della decisione del giudizio abbreviato e compendiati nelle sentenze di merito – tale da integrare gli estremi del reato ex articolo 337 cod. pen.. Ed invero, come si legge nella decisione di primo grado, la responsabilita’ del (OMISSIS) per il reato in oggetto e’ stata argomentata sulla scorta della considerazione, del tutto vaga, che egli poneva “a serio repentaglio l’incolumita’ fisica degli agenti”; nella pronuncia d’appello in verifica, si e’ fatto riferimento, in termini altrettanto approssimativi, ad una condotta “obbiettivamente pericolosa”, “imprudente e non rispettosa delle regole della circolazione stradale” ed al fatto che, abbandonato il motociclo, (OMISSIS) aveva tentato “di proseguire la fuga a piedi”.

Ritiene il Collegio che, tenuto conto dell’evidenziata mancanza di indicazioni specifiche quanto alle manovre in concreto attuate dal (OMISSIS) nel frangente e soprattutto – all’effettiva messa in pericolo dell’incolumita’ personale altrui, anche alla luce del tenore della imputazione elevata nella quale e’ contestato al ricorrente soltanto di essere fuggito “a velocita’ elevata”, non possa ritenersi provato con certezza che l’imputato abbia posto in essere una sia pur minima forma di violenza o di minaccia volta ad impedire l’atto del pubblico ufficiale. Difetto di prova non superabile nell’ambito di un’eventuale giudizio di rinvio, trattandosi di procedimento “allo stato degli atti” e, dunque, basato delle sole emergenze degli atti di P.G. gia’ contenuti nel fascicolo processuale.

4.3. La sentenza deve pertanto essere annullata sul punto senza rinvio. A mente dell’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), alla rideterminazione della pena puo’ direttamente provvedere questa Corte nei termini indicati nel dispositivo, dovendosi soltanto eliminare la pena inflitta quale aumento ex articolo 81 c.p., comma 2, in relazione a tale imputazione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 337 cod. pen. perche’ il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione e 667 Euro di multa.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso

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