Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 5 aprile 2017, n. 17099

Il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, previsto dall’art. 474 cod. pen. richiede, per la sua configurabilità, la riproduzione degli elementi essenziali del marchio registrato nella loro interezza, laddove per l’integrazione del reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci ex art. 517 cod. pen. è sufficiente invece la mera imitazione del marchio, anche non registrato, purchè idonea a trarre in inganno l’acquirente

Suprema Corte di Cassazione

sezione II penale

sentenza 5 aprile 2017, n. 17099

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo – Presidente

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 518/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del 15/01/2016;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/03/2017 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pietro Gaeta che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) che insisteva per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Lecce confermava la sentenza che aveva condannato l’imputato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 300 di multa per i reati previsti dagli articoli 474 e 648 cod. pen..

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che deduceva:

2.1. vizio di motivazione: non sarebbe stato dimostrato ne’ che gli oggetti rinvenuti nella disponibilita’ dell’imputato fossero destinati alla vendita, ne’ in che modo gli stessi fossero stati contraffatti; inoltre: la contraffazione sarebbe grossolana ed fatto contestato avrebbe dovuto essere inquadrato nella piu’ lieve fattispecie prevista dall’articolo 517 cod. pen.;

2.2. vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dell’elemento soggettivo della ricettazione che poteva essere individuato esclusivamente sulla base del silenzio dell’imputato;

2.3. vizio di legge e di motivazione in relazione alla definizione del trattamento sanzionatorio: non sarebbe stata fornita adeguata in ordine al diniego della attenuante prevista dall’articolo 62. n. 4);

2.4. vizio di legge e di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis cod. pen. in relazione al reato previsto dall’articolo 474 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.

In materia di diagnosi differenziale tra il reato previsto dall’articolo 474 cod. pen. ed il reato previsto dall’articolo 517 cod. pen. il collegio ribadisce che il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi richiede, per la sua configurabilita’, la riproduzione degli elementi essenziali del marchio registrato nella loro interezza, laddove per l’integrazione del reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci e’ sufficiente la mera imitazione del marchio, anche non registrato, purche’ idonea a trarre in inganno l’acquirente. (Cass. sez. 5 n. 13322 del 23/01/2009, Rv. 243937; Cass. sez. 5 n. 9389 del 04/02/2013, Rv. 255227).

Peraltro, la fattispecie prevista dall’articolo 517 cod. pen. si profila come residuale, essendo prevista dalla norma una specifica clausola di riserva, sicche’ all’inquadramento della condotta nella fattispecie prevista dall’articolo 517 cod. pen. osta la motivata riconduzione del fatto in altra fattispecie. Nel caso di specie, la Corte territoriale rilevava che i marchi “non presentavano caratteristiche tali da consentire di coglierne ad un loro esame superficiale la non originalita’” (pag. 3 della sentenza impugnata).

Tale valutazione di merito basata sulla valutazione delle emergenze processuali e, segnatamente, sulla valutazione della credibilita’ della testimonianza del finanziere che aveva effettato il controllo ed il sequestro della merce e’ idonea sia ad escludere la grossolanita’ del falso, che a sostenere l’inquadramento del fatto nella fattispecie prevista dall’articolo 474 cod. pen..

Anche la destinazione degli oggetti alla vendita risulta giustificata sulla base di un attento scrutinio delle prove e, segnatamente, delle modalita’ di rinvenimento della merce (pag. 2 della sentenza impugnata).

Si tratta di una motivazione priva di vizi logici manifesti e decisivi, aderente sia alle emergenze processuali che alle indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di legittimita’, che non risulta incisa dalle censure difensive, e che, pertanto, si sottrae ad ogni censura in questa sede.

2. Il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.

Il collegio, in materia di elemento soggettivo del reato di ricettazione ribadisce che:

– ai fini della configurabilita’ del delitto di ricettazione, la mancata, o inverosimile giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della sua illecita provenienza (Cass. Sez. 2, n. 41423 del 27/10/2010, Rv. 248718; nello stesso senso Cass. Sez. 2, n. 2804 del 05/07/1991, dep. 1992 Rv. 189396);

– per la configurabilita’ del delitto di ricettazione e’ necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, e la prova dell’elemento soggettivo del reato puo’ trarsi anche da fattori indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede: in tal senso, la consapevolezza della provenienza illecita puo’ desumersi anche dalla qualita’ delle cose, nonche’ dagli altri elementi considerati dall’articolo 712 in tema di incauto acquisto, purche’ i sospetti sulla “res” siano cosi’ gravi e univoci da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza che non possa trattarsi di cose legittimamente detenute da chi le offre (Cass. sez. 4 n. 4170 del 12.12.06, dep 2007, Rv. 235897);

– in tema di ricettazione, ricorre il dolo nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (Cass. sez. 2, n 41002 del 20/09/2013, Rv. 257237).

In coerenza con tali indicazioni, La Corte territoriale confermando il giudizio del Tribunale, evidenziava la mancata allegazione di giustificazioni circa la provenienza della merce e riteneva, conseguentemente, perfezionata la prova in ordine all’esistenza dell’elemento soggettivo (pag. 5 della sentenza impugnata).

3. Il motivo che deduce li’ illegittimita’ della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’articolo 62 cod. pen., n. 4 e’ manifestamente infondato.

In materia il collegio ribadisce che ai fini della valutazione della configurabilita’ della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 cod. pen., comma 1, n. 4, il giudice deve avere riguardo soltanto al “danno patrimoniale” (nel quale rientra anche quello fisico o morale procurato dalla condotta illecita alla persona offesa), e non puo’ quindi attribuire rilievo ostativo agli elementi indicati dall’articolo 133 cod. pen., ed, in particolare, alla capacita’ a delinquere (Cass. sez. 2, n. 13575 del 20/12/2013, dep 2014 Rv. 259701).

Con valutazione di merito insindacabile in questa sede i giudici di merito escludevano che la merce rinvenuta nella disponibilita’ dell’imputato avesse valore irrisorio ritenendo, conseguentemente, non concedibile l’attenuante invocata.

4. Il motivo che invoca il riconoscimento della causa di esclusione della punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis cod. pen. in relazione all’articolo 474 cod. pen. e’ inammissibile.

In materia il collegio ribadisce che la questione dell’applicabilita’ dell’articolo 131-bis cod. pen. non puo’ essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’articolo 609 cod. proc. pen., comma 3, se il predetto articolo era gia’ in vigore alla data della deliberazione della sentenza d’appello, dato che l’applicazione del beneficio poteva essere richiesta al giudice procedente al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione almeno come sollecitazione in sede di conclusioni del giudizio di secondo grado (Cass. sez. 6 n. 20270 del 27/04/2016, Rv. 266678).

Nel caso di specie l’applicazione dell’articolo 131 bis cod. pen. e veniva per la prima volta in cassazione con rottura della catena devolutiva e conseguente inammissibilita’ della doglianza.

2. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PUBBLICAZIONE

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