Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 4 maggio 2017, n. 21627

In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la connivenza non punibile è scandita da una condotta meramente passiva e inerte, inidonea a recare un concreto contributo causale alla realizzazione dell’illecito (ancorché se ne conosca la sussistenza), laddove il concorso nel reato è integrato da un consapevole contributo, materiale o soltanto morale, all’altrui condotta criminosa in forme che valgono ad agevolare o rafforzare l’intento criminoso del concorrente.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

SENTENZA 4 maggio 2017, n. 21627

Fatto e diritto

Con sentenza resa il 23 novembre 2012 nelle forme del rito abbreviato il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino ha ritenuto S.R. colpevole di concorso nel reato di illecita detenzione per finalità di vendita di sostanze stupefacenti del tipo marijuana (191 dosi, suddivise in 71 involucri) e cocaina (25 dosi), essendosi adoperata per occultare, su indicazione del convivente correo A.A. (separatamente giudicato ex art. 444 cod. proc. pen.), le predette sostanze e due bilancini di precisione in coincidenza con la perquisizione domiciliare che i carabinieri operanti si accingevano ad effettuare nell’abitazione della donna e dell’A. . Questi, scortato dai militari presso l’abitazione, informava attraverso il citofono dello stabile la convivente sull’imminente accesso domiciliare degli operanti (sentenza, p. 2: ‘A. , dopo aver suonato il citofono, aveva ad alta voce informato la convivente, frattanto affacciatasi sul pianerottolo, di essere scortato dai carabinieri e delle intenzioni dalle quali questi ultimi erano mossi (…) a ciò la donna aveva reagito, facendo precipitosamente rientro all’interno della dimora; lì era stata raggiunta dagli operanti e notata mentre tentava di occultare un borsello in stoffa dietro alcuni utensili collocati nel balcone della cucina’). Per l’effetto, riconosciutale la (allora) attenuante del fatto lieve ex art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, la S. è stata condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e otto mesi di reclusione ed Euro tremila di multa.

Giudicando sull’impugnazione della S. , la Corte di appello di Torino con l’indicata sentenza ha confermato in punto di responsabilità la decisione di primo grado ed ha rideterminato – alla luce delle novelle normative (legge 79/2014) in tema di disciplina penale delle sostanze stupefacenti successive alla nota sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014 – la pena inflitta all’imputata (fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, L.S. divenuta autonoma ipotesi di reato) in misura di otto mesi di reclusione ed Euro 1.600 di multa, con la già concessa sospensione condizionale e con l’ulteriore beneficio della non menzione della condanna.

In particolare, condividendo l’analisi dei fatti sviluppata dal giudice di primo grado, la Corte territoriale ha ritenuto la descritta condotta della donna, pienamente edotta della presenza in casa delle sostanze droganti e del luogo di loro custodia, univoca espressione di un suo contributo partecipativo all’illegale disponibilità, per immanenti finalità di spaccio (desunte dal confezionamento del cospicuo numero di dosi rivenute), della marijuana e della cocaina cadute in sequestro. I giudici di appello hanno escluso in modo specifico, così disattendendo i corrispondenti motivi di gravame della S. , che il peculiare comportamento, tutt’altro che passivo, da costei tenuto nell’imminenza della perquisizione domiciliare della p.g. possa integrare una semplice connivenza non punibile ovvero, in alternativa, una ipotesi di favoreggiamento, personale o reale, parimenti non punibile (almeno il favoreggiamento personale) ai sensi dell’art. 384, comma 1, cod. pen.

Il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per cassazione contro la decisione di appello, deducendo i vizi di legittimità appresso sintetizzati.

3.1. Erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. e difetto di motivazione in ordine alla dedotta connivenza non punibile della ricorrente, non essendo emerso dalle indagini un suo reale contributo morale o fattuale all’attività di detenzione delle droghe per finalità di spaccio riferibile al compagno della donna. Sul punto la sentenza di appello si è limitata a recepire acriticamente le conclusioni del primo giudice, senza sottoporle ad adeguata autonoma valutazione, finendo per delineare una motivazione soltanto apparente.

3.2. Erroneamente la sentenza impugnata ha rigettato il secondo e il terzo motivo di appello con i quali si prospettava l’insussistenza dei presupposti del concorso criminoso della donna, con il prefigurare l’eventuale ravvisabilità nella sua condotta dell’ipotesi del favoreggiamento personale ovvero di quella del favoreggiamento reale.

In assenza di appaganti elementi dimostrativi della consapevolezza da parte della S. dell’illecita attività del convivente e di una sua cosciente agevolazione di siffatta attività, il contegno della donna è maturato in un contesto familiare nel quale è stato l’A. a ‘coinvolgere’ nella sua complessiva condotta la S. . L’imputata ha unicamente cercato di disfarsi dello stupefacente ‘al momento della perquisizione e dunque nell’immediatezza e sotto diretta spinta del marito’ e al di fuori di un previo accordo con il coimputato, che (a tutto concedere) ha solo tentato di ‘aiutare a sottrarsi alla sua responsabilità penale’.

Il ricorso deve essere rigettato per infondatezza delle delineate ragioni di censura, che lambiscono profili di inammissibilità nella parte in cui si traducono in sostanziale replica dei motivi di appello, pur adeguatamente considerati dai giudici di secondo grado.

4.1. Per le descritte connotazioni modali che hanno caratterizzato l’incriminata azione della ricorrente è agevole osservare, in vero, che in nessun modo tale azione può essere ricondotta nell’alveo di una mera connivenza non punibile.

Alla stregua della stabile giurisprudenza di legittimità in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la connivenza non punibile è scandita da una condotta meramente passiva e inerte, inidonea a recare un concreto contributo causale alla realizzazione dell’illecito (ancorché se ne conosca la sussistenza), laddove il concorso nel reato è integrato da un consapevole contributo, materiale o soltanto morale, all’altrui condotta criminosa in forme che valgono ad agevolare o rafforzare l’intento criminoso del concorrente (ex plurimis, tra le decisioni più recenti: Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, Rapushi, Rv. 265167; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Caradonna, Rv. 264454; Sez. 6, n. 44633 del 31/10/2013, Dioum, Rv. 257810).

Su queste basi ermeneutiche deve convenirsi che correttamente i giudici di merito (e in particolare, per quanto rileva in questa sede, la Corte di appello) hanno qualificato il comportamento dell’imputata come palese manifestazione di consapevole concorso nel reato di cui all’art. 73 L.S., essendosi tale comportamento espresso con immediatezza e attraverso una condotta attiva nell’imminenza del sicuro accertamento del reato nonché con il prefigurato volontario obiettivo di offrire un decisivo apporto concorsuale alla realizzazione dell’evento lesivo del reato (detenzione illegale per fini di spaccio), appunto occultando le sostanze stupefacenti ed impedendone il rinvenimento ai carabinieri.

4.2. Altrettanto correttamente, a fronte della ricostruita specifica condotta concorsuale della ricorrente, la Corte territoriale (come già il giudice di primo grado) ha escluso l’alternativa configurabilità (in luogo del concorso nel reato ex art. 73 L.S.) del favoreggiamento personale o reale, evidenziando come tali ipotesi criminose si rivelino incompatibili con un reato presupposto avente natura permanente, quale deve pacificamente considerarsi l’illecita detenzione di sostanza stupefacente per finalità cessorie, fin quando la permanenza non possa reputarsi definitivamente cessata.

A prescindere dalla susseguente eventuale non punibilità dell’ipotesi di favoreggiamento (valevole per il solo favoreggiamento personale, giacché la causa di non punibilità prevista dall’art. 384, comma 1, cod. pen. è riferibile al solo reato di cui all’art. 378 cod. pen. e non anche a quello di cui all’art. 379 cod. pen.), il ragionamento sviluppato dall’impugnata sentenza di appello è in linea con l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte regolatrice. Come statuito dalle Sezioni Unite, infatti, ‘il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve, salvo che non sia diversamente previsto, in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale’ (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253151).

Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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