Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 8 maggio 2017, n.22194

Ai fini della individuazione dell’evento cambiamento delle abitudini di vita, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

SENTENZA 8 maggio 2017, n.22194

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 10 marzo 2016 la Corte d’appello di Torino ha confermato la pronunzia di primo grado emessa dal Tribunale della stessa città, con la quale B.D. era stato condannato per i reati di atti persecutori (capo a) e di furto aggravato di un furgone (capo c), commesso – secondo l’ipotesi accusatoria – al fine di realizzare il reato di cui all’art. 612 bis cod. pen..

Nell’imputazione di cui al capo a) era stato contestato al B. di aver cagionato a S.C. un perdurante e grave stato di ansia e timore per la sua incolumità e per quella dei suoi prossimi congiunti con lei conviventi, inviandole numerosi SMS ingiuriosi, aggredendola sia fisicamente che verbalmente, presentandosi presso la sua abitazione nottetempo, suonando insistentemente al citofono.

L’imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, ha proposto ricorso articolato in cinque motivi, con i quali si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in ordine alla:

ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato di atti persecutori;

ritenuta ricorrenza dell’elemento oggettivo di tale reato, con particolare riferimento alla idoneità delle condotte ascritte all’imputato e alla sussistenza degli eventi contestati nel capo di imputazione;

alla eccezione di illegittimità dell’ordinanza ammissiva della parte civile SEA s.r.l., parte offesa del delitto di furto;

alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. in relazione al reato di furto.

Considerato in diritto

Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

Infondati sono il primo e il secondo motivo, con i quali il ricorrente contesta la sussistenza degli elementi costitutivi dell’art. 612 bis cod. pen..

Giova in proposito premettere, in via generale, che con l’introduzione della fattispecie di cui all’art. 612 bis cod. pen. il legislatore ha voluto, prendendo spunto dalla disciplina di altri ordinamenti, colmare un vuoto di tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorché non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima.

Il legislatore ha preso atto però che la violenza (declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale) spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria; pertanto, mediante l’incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità fisio-psichica attraverso l’incriminazione di condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive e, dunque, non sussumibili in alcuna fattispecie penalmente rilevante o in fattispecie per così dire minori, quali la minaccia o la molestia alle persone.

È peraltro utile ricordare come, per il consolidato insegnamento di questa Corte, integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte tra quelle descritte dall’art. 612 bis cod.pen., come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (ex multis Sez. 5, n. 46331 del 5 giugno 2013, D. V., Rv. 257560). Invece, un solo episodio, per quanto grave e da solo anche capace, in linea teorica, di determinare il grave e persistente stato d’ansia e di paura che è indicato come l’evento naturalistico del reato, non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma in esame, potendolo essere, invece, alla stregua di precetti diversi: e ciò in aderenza alla volontà del legislatore il quale, infatti, non ha lasciato spazio alla configurazione di una fattispecie solo ‘eventualmente’ abituale (Sez. 5, n. 48391 del 24/09/2014, C, Rv. 261024).

Il delitto, inoltre, è configurabile anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice. (Sez. 5, n. 33563 del 16/06/2015, B, Rv. 264356).

Trattandosi di reato abituale è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tal senso l’essenza dell’incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo.

È dunque l’atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l’appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato in più occasioni e a seguito della consumazione di singoli atti persecutori è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è finalizzata, giacché alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell’art. 612 bis cod. pen..

Indubbiamente l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice. (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T, Rv. 262636).

Va detto, peraltro, che, ai fini della individuazione dell’evento cambiamento delle abitudini di vita (che – come si dirà più avanti- si è verificato nel caso in esame), occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate. (Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014, G, Rv. 260580).

Infine si deve precisare che nel delitto di atti persecutori, che – come si è già detto- ha natura di reato abituale di evento, l’elemento soggettivo è integrato dal solo dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte – elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa – potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, P.M. in proc. A, Rv. 265230; Sez. 5, n. 20993 del 27/11/2012, Feola, Rv. 255436).

Fatte le suesposte precisazioni in diritto, risultano non fondate le censure alle sentenze dei giudici di merito che hanno ritenuto integrata la fattispecie di ‘stalking’.

Invero, alla luce della ricostruzione dei fatti come operata dagli stessi giudici di merito (in relazione alla quale è inibito il sindacato di legittimità, se supportata da motivazione approfondita ed immune da vizi), si è accertato che il B. ha posto in essere una serie di condotte moleste, violente ed ingiuriose in danno della ex convivente S.C. ; condotte poste in essere anche notte tempo e che avevano provocato nella donna un perdurante stato di ansia, richiamandole, peraltro, ricordi dell’infanzia, essendo stata vittima di abusi sessuali in famiglia.

Sebbene nel capo di imputazione siano contestati solo due dei suddetti episodi, con una limitazione temporale tra il mese di marzo e il 20 maggio 2014, ciò – come si è detto – è sufficiente a configurare il reato di atti persecutori, giacché integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte tra quelle descritte dall’art. 612 bis cod.pen., come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (ex multis Sez. 5, n. 46331 del 5 giugno 2013, D. V., Rv. 257560).

Si è pure accertato che il B. ha commesso il furto del furgone per utilizzarlo in una delle sue condotte moleste ovvero per raggiungere nottetempo l’abitazione della S. . È evidente allora la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen..

La connessione del reato di atti persecutori con quello di furto aggravato lo rende procedibile d’ufficio.

Né può venire in contestazione la sussistenza della aggravante della esposizione alla pubblica fede nel reato di furto, perché si è accertato che il B. si sia impossessato del furgone mentre era parcheggiato sulla pubblica via.

Nessuna rilevanza ha a tal fine la circostanza che era stato lasciato dal proprietario con gli sportelli non chiusi a chiave e con queste ultime inserite nel cruscotto (Sez. 3, n. 35872 del 08/05/2007, Alia, Rv. 23728601; Sez. 2, n. 164 del 09/11/1988, CORRENTE, Rv. 18300701).

Manifestamente infondata è l’eccezione di illegittimità dell’ordinanza ammissiva della costituzione della parte civile SEA s.r.l., parte offesa del delitto di furto.

La questione è stata proposta con uno dei motivi di appello e la Corte territoriale ha correttamente evidenziato che la procura speciale era stata rilasciata in favore di un difensore e che l’avvocato comparso in udienza si era limitato a curarne il deposito, non nella qualità di sostituto ma nella veste di soggetto espressamente delegato a presentare l’atto di costituzione di parte civile.

Va qui ricordato che il soggetto al quale il danneggiato dal reato abbia conferito procura speciale per la costituzione di parte civile può delegare tale attività, a condizione che la procura preveda espressamente una simile facoltà (Sez. 5, n. 11954 del 08/02/2005, Marino, Rv. 23171301).

Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

Si impone l’applicazione dell’art. 52 d.lgs 195/03.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 195/03 in quanto disposto d’ufficio.

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