cassazione 7

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V

SENTENZA 30 aprile 2015, n.18208

Ritenuto in fatto

Il Tribunale del riesame di Messina ha confermato la misura degli arresti domiciliari applicata dal Giudice delle indagini preliminari del locale Tribunale a S.P. per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva.

All’origine dell’incolpazione vi è il fallimento della De.Mo.Ter. spa, dichiarato dal Tribunale di Messina Tl-2-2013 dopo che era stata dichiarata inammissibile la domanda di concordato preventivo avanzata dalla società nel corso dell’istruttoria prefallimentare. Secondo l’accusa, condivisa dal giudicante, la De.Mo.Ter spa, di cui era amministratore di diritto B.B. e amministratore di fatto B.C. , quest’ultimo compagno della S. , cedette, a fini distrattivi, nel mese di settembre 2011, alla appena costituita Brick srl, di cui era amministratrice la S. , il ramo d’azienda denominato Italia 1 – costituito da lavori in corso, beni strumentali, crediti e debiti – a fronte del corrispettivo, assolutamente inadeguato, di 51mila Euro, tant’è che l’Agenzia delle entrate di Messina, all’esito del controllo effettuato sul valore dei beni dichiarati nella compravendita, rettificava in data 21 novembre 2012 il valore fiscale dell’azienda ceduta in Euro 5.433.670 (calcolo che teneva espressamente conto delle ingenti poste debitorie), e il Tribunale civile di Messina sottoponeva a sequestro giudiziario – nel 2014 – il ramo suddetto, proprio in considerazione della sproporzione tra la somma indicata in contratto e il valore del ramo ceduto. A conferma della valenza distrattiva dell’operazione viene fatto rilevare che, appena quindici giorni dopo la cessione, la Brick srl – senza alcuna apparente giustificazione economica – si scindeva e conferiva il ramo d’azienda appena acquistato nella Cubo s.p.a. (partecipata al 100% dalla Brick srl), trattenendo le passività (ammontanti a circa sei milioni di Euro). La Cubo spa era amministrata da Cucinotta Gianfranco, già dipendente della Demoter spa.

Le esigenze cautelari che il provvedimento ha inteso soddisfare sono collegate al pericolo di reiterazione delittuosa, non fronteggiabile – ritiene il Tribunale – con misure meno afflittive.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’indagata, l’avv. Alberto Gullino, con censure che riguardano sia la gravità indiziaria che le ritenute esigenze cautelari.

3.1. Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, lamenta che il Tribunale del riesame abbia dato per scontato che la cessione del ramo d’azienda a favore della Brick srl, e da questa alla Cubo spa, integrasse un’ipotesi distrattiva, omettendo di verificare se il distacco dei beni dal patrimonio aziendale fosse assistito da idonee contropartite e se il prezzo di cessione fosse ‘congruo in relazione alle condizioni della DEMOTER in quel particolare momento storico’. Se ciò avesse fatto, aggiunge il ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto concludere per la liceità dell’operazione, considerato che, all’epoca, si erano già manifestati tutti i problemi connessi al coinvolgimento di B.C. in vicende giudiziarie sfociate nell’adozione dell’interdittiva antimafia del settembre 2011.

Lamenta, poi, che anche su altri aspetti il Tribunale abbia omesso ogni forma di motivazione, non avendo spiegato perché siano da considerare fraudolente l’operazione contestata alla S. e quelle altre contestate a B.C. , tutte indicate nella proposta di concordato preventivo avanzata dalla società il 30-12-2011, giacché, per le cessioni, era sempre possibile la revocatoria fallimentare, mentre con l’affitto il bene non fuoriesce dal ‘compendio societario’. In ogni caso, aggiunge, qualsivoglia intenzione distrattiva è esclusa dal fatto che nella proposta di concordato avanzata dalla Demoter srl tutte le società affittuarie o cessionarie (compresa CUBO spa) si fecero garanti dell’adempimento. Lamenta, ancora, che alcun peso sia stato dato alle critiche difensive concernenti la consulenza del C.T. del P.M. e che sia stata indebitamente svalutata, a favore della prevenuta, la norma dell’art. 2560 c.c., che prevede la solidarietà dell’acquirente nei debiti dell’alienante. Infine, che non sia stato sufficientemente indagato l’elemento soggettivo della distrazione.

3.2. Quanto alla misura applicata, censura l’ordinanza nella parte in cui ha affermato l’esistenza di esigenze cautelare fronteggiabili con la misura degli arresti domiciliari, senza tener conto del tempo trascorso dai fatti, della personalità dell’indagata (semplice compagna di vita di B.C. e da questi coinvolta nei fatti per cui è procedimento) e della attualità della pericolosità, venuta meno – deduce – col fallimento della società, con il sequestro dei beni e il mutamento delle condizioni che hanno dato luogo alle operazioni a lei contestate. Soprattutto, lamenta che non sia stato spiegato perché le supposte esigenze cautelari non possano essere soddisfatte con misure meno afflittive.

Considerato in diritto

Il ricorso non merita accoglimento.

La censure mosse con riguardo ai gravi indizi di colpevolezza sono manifestamente infondate. La ricorrente ripropone, in maniera disorganica, la tesi sostenuta in giudizio, confrontandosi in maniera molto limitata e parziale con gli argomenti del giudicante e limitandosi – il più delle volte – ad affermazioni apodittiche e congetturali e incorrendo in errori di diritto, di cui verrà dato atto nel prosieguo. A S.P. viene contestato di aver cooperato col compagno B.C. nella distrazione di importanti poste attive della società fallita, rappresentate, nello specifico, da un cospicuo ramo d’azienda, prima ceduto alla Brick srl e poi da questa trasferito alla Cubo spa. Sul punto, nessuna pertinente censura è stata sollevata dalla difesa dell’indagata. Peraltro, la valenza distrattiva dell’operazione è in sé e null’altro – oltre all’esposizione del meccanismo distrattivo ideato e mandato ad esecuzione;

– aveva da aggiungere il giudice di merito, posto che non vengono nemmeno contestati i valori esposti nel provvedimento. Né è dato comprendere la pertinenza dell’unica giustificazione fornita dalla ricorrente – evitare la perdita della commessa -, dal momento che l’operazione poteva (e doveva) essere condotta in maniera rispettosa degli interessi della cedente.

1.2. Le censure – di carattere più generale – che si riferiscono alla totalità delle operazioni poste in essere dalla compagine familiare di S. sono anch’esse manifestamente infondate (ci si riferisce, in questo caso, alle censure che toccano da vicino la posizione di S.P. ).

1.2.1. Invero, il fatto che potesse esercitarsi revocatoria fallimentare sulle cessioni passate in rassegna non assume rilevanza alcuna nel discorso che interessa, giacché, in tema di bancarotta fraudolenta, il recupero del bene distratto a seguito di azione revocatoria non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta, il quale – perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore – viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della ‘res’ rappresenta solo un ‘posterius’ – equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto – avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori (Cass. n. 39635 del 23/9/2010).

1.2.2. Non esclude la distrazione la previsione dell’art. 2560, comma 2, cod. civ..

– secondo cui l’acquirente risponde, insieme all’alienante, dei debiti dell’azienda ceduta – giacché tale regola vale per la cessione dell’intera azienda e per i debiti risultanti dalle scritture contabili (e nulla è stato argomentato al riguardo) e perché i beni aziendali sono posti a garanzia della totalità delle obbligazioni dell’impresa, e non solo di quelle relative al ramo di azienda ceduto. Pertanto, la cessione del ramo d’azienda attuata – come nella specie – a condizioni estremamente svantaggiose per la cedente era senz’altro idonea a creare pregiudizio ai creditori della De.Mo.Ter. spa, quale che fosse l’origine del credito facente capo a questi ultimi.

1.2.3. Né la bancarotta è esclusa – sia per i beni ceduti che per quelli affittati – dal fatto che le società cessionarie ed affittuarie si fecero garanti della proposta di concordato avanzata dalla De.Mo.Ter. spa il 30-12-2011, per una molteplicità di motivi: a) perché le condizioni della proposta di concordato risentivano già del distacco dei beni dal patrimonio della proponente (distacco che metteva i creditori di fronte al fatto compiuto); b) perché non sono conosciute – e non sono state illustrate – le condizioni della garanzia (non è affatto detto, quindi, che avesse lo stesso valore economico delle distrazioni perpetrate); c) perché la bancarotta non è ‘sanata’ dal comportamento postumo dei soggetti beneficiari della distrazione, trattandosi di comportamento rimesso al loro sostanziale arbitrio. Rilevante è, sotto questo aspetto, la natura di reato di pericolo concreto riconosciuto dalla giurisprudenza alla bancarotta per distrazione, la quale comporta che ogni condotta idonea – concretamente – a pregiudicare la garanzia dei creditori rientra nel fuoco della norma (in questo senso, ex multis, Cass., n. 40982 del 15/5/2014).

1.3. Quanto all’elemento soggettivo – richiesto, com’è noto, nella forma del dolo generico – valgono le pertinenti osservazioni contenute nel provvedimento impugnato, ove è stato fatto rilevare che la costituzione della Brick srl al fine specifico di rendersi cessionaria del ramo d’azienda e il subitaneo trasferimento dello stesso alla Cubo spa, il tutto tra compagini societarie di impronta prettamente familiare, sono di per sé stessi indicativi dell’intenzionalità – e della consapevolezza – distrattiva in capo in capo ai protagonisti dell’operazione; tra cui, in prima fila, proprio la S. .

Infondato è anche l’ultimo profilo di doglianza. Infatti, quanto alla sussistenza delle ravvisate esigenze cautelari ed all’adeguatezza della misura imposta, i giudici del merito hanno puntualmente e del tutto coerentemente motivato, evocando la ‘facilità con cui la stessa ha messo la propria persona a disposizione del compagno, concorrendo nelle gravi condotte poste in essere da quest’ultimo e ‘risultando incapace di rifiutare ad assumere condotte opache e dalle evidenti finalità strumentali’. Quanto all’adeguatezza della misura (arresti domiciliari con divieto di comunicazione), hanno, anche in questo caso correttamente, evocato la insidiosità della condotta posta in essere e il numero dei soggetti coinvolti, rilevando che la reiterazione delle condotte può avvenire anche per interposta persona, ove venga allentato il regime degli arresti domiciliari. Il ricorso pertanto non può essere accolto, qui ulteriormente osservandosi che il giudizio sulla permanenza delle esigenze cautelari, agli effetti della conservazione della misura applicata, integra un giudizio di fatto che non è censurabile in sede di legittimità tutte le volte in cui, come nella specie, esso sia condotto e sviluppato nel rispetto delle regole che presiedono la logica dell’argomentare, e sia altresì fondato su una serie coerente di ragionevoli letture della realtà, secondo massime di comune esperienza ed in relazione all’id quod plerumque accidit.

In conclusione, essendo infondati o inammissibili tutti i motivi di doglianza, il ricorso va rigettato; ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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