Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 10 aprile 2015, n. 14842

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIORDANO Umberto – Presidente

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere

Dott. TARDIO Angela – Consigliere

Dott. BONITO F. Maria S. – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) (OMISSIS), nata il (OMISSIS) (parte offesa);

2) (OMISSIS), nato il (OMISSIS) (parte offesa);

Avverso l’ordinanza n. 495/2012 emessa il 12/02/2014 dalla Corte di appello di Firenze;

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Umberto De Augustinis, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 12/02/2014 la Corte di appello di Firenze, dichiarava inammissibili le opposizioni proposte da (OMISSIS) e (OMISSIS).

La (OMISSIS) e il (OMISSIS), in particolare, costituiti parti civili nel processo a carico di (OMISSIS) e altri, condannati con sentenza irrevocabile per il delitto di usura con obbligo di risarcimento dei danni in favore delle parti civili medesime, chiedevano che i beni immobili confiscati nel predetto procedimento penale, ai sensi degli articoli 240 e 644 cod. pen., Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12 sexies fossero destinati prioritariamente al soddisfacimento delle loro legittime pretese risarcitorie.

Tale declaratoria di inammissibilita’, a sua volta, interveniva in conseguenza della trasmissione degli atti disposta da questa Corte, con sentenza emessa il 09/11/2012, sui ricorsi proposti avverso l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Firenze il 15/07/2011, che veniva preliminarmente qualificato come opposizione.

Questa Corte, in particolare, statuiva che, in materia di confisca, l’articolo 676, comma 1, cod. proc. pen., stabilisce che il giudice dell’esecuzione procede con le forme previste dall’articolo 667 c.p.p., comma 4, emettendo provvedimento non direttamente ricorribile ma opponibile davanti allo stesso giudice che lo ha pronunciato. In applicazione del principio generale di conservazione degli effetti degli atti giuridici, di cui e’ espressione il principio di conversione dell’impugnazione stabilito dall’articolo 568 c.p.p., comma 5, il ricorso doveva essere qualificato come opposizione, con conseguente trasmissione degli atti al giudice dell’esecuzione competente (cfr. Sez. 1, n. 3199 del 09/11/2012, dep. 11/12/2012, (OMISSIS) e altro, non mass.).

A seguito di tale qualificazione e della conseguente trasmissione degli atti, la Corte di appello di Firenze emetteva declaratoria di inammissibilita’, ritenendo legittimi e non revocabili i provvedimenti con cui i beni confiscati all’esito del processo celebrato nei confronti di (OMISSIS) e altri imputati, ai sensi degli articoli 240 e 644 cod. pen., Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12 sexies erano stati trasferiti dall’Agenzia del Demanio ai Comuni di (OMISSIS), Legge 31 maggio 1965, n. 575, ex articolo 2 undecies anziche’ essere utilizzati prioritariamente per il soddisfacimento delle pretese risarcitorie delle parti civili costituite.

2. Avverso tale ordinanza (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrevano per cassazione, deducendo la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies e Legge 31 maggio 1965, n. 575, articolo 2 undecies.

Si deduceva, in particolare, l’erronea valutazione dei presupposti normativi sulla base dei quali era stato adottato il provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione, che non teneva conto del fatto che, nel caso di specie, i beni confiscati all’esito del procedimento penale presupposto non potevano essere trasferiti ai Comuni di (OMISSIS), ma dovevano essere utilizzati prioritariamente per il risarcimento delle parti civili costituite nel giudizio celebrato nei confronti di (OMISSIS) e altri imputati, sottoponendo tali beni a esecuzione forzata.

Non corrispondeva, inoltre, al vero quanto affermato nel provvedimento impugnato, secondo cui i ricorrenti avrebbero potuto agire in giudizio, a tutela delle proprie pretese risarcitorie di parti civili costituite, a partire dal momento in cui interveniva la sentenza di primo grado, che veniva emessa nel 2000, in ragione del fatto che la sentenza irrevocabile interveniva soltanto nel 2003, a soli pochi mesi di distanza dall’assegnazione dei beni confiscati al demanio immobiliare.

Per queste ragioni, l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione doveva essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto di (OMISSIS) e (OMISSIS) deve ritenersi infondato.

In via preliminare, deve rilevarsi che la natura giuridica della confisca per equivalente di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies – disposta nel procedimento penale nel quale erano costituite parti civili i ricorrenti – e’ quella di una misura di sicurezza patrimoniale atipica, connotata da finalita’ eminentemente dissuasive, in conseguenza del fatto che si applica a beni dei quali si reputa sospetta l’acquisizione illecita, cosi’ come, da tempo, statuito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. un., n. 920 del 17/12/2003, dep. 19/01/2004, Montella, Rv. 226492).

A tale provvedimento ablativo, secondo quanto stabilito dal Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, comma 4 bis, si applicano le disposizioni in materia di gestione e di destinazione dei beni sequestrati previste dalla Legge 31 maggio 1965, n. 575.

Nel nostro caso, tale normativa si innerva sulla disciplina della confisca per equivalente di cui all’articolo 644 c.p., comma 5, che e’ prevista per i casi in cui non sia possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, a cagione del mancato loro reperimento, consentendo di apprendere utilita’ patrimoniali di valore corrispondente, di cui il reo abbia la materiale disponibilita’. Specularmente, il sequestro preventivo, strumentale alla confisca anzidetta, puo’ riguardare attivita’ per equivalente e beni di cui l’imputato del reato di usura abbia la disponibilita’, anche in modo legittimo, indipendentemente dalla commissione dell’illecito penale a lui contestato nella sede processuale, dove le parti civili si sono eventualmente costituite (cfr. Sez. 1, n. 28999 dell’01/04/2010, dep. 23/07/2010, Giordano, Rv. 248474).

In questo ambito normativo, se e’ vero che la giurisprudenza ha sempre riconosciuto nella confisca disciplinata dal codice penale un’effettiva misura di sicurezza patrimoniale, fondata sulla pericolosita’ derivante dalla disponibilita’ delle cose servite o destinate a commettere il reato ovvero delle cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto, e’ anche vero che progressivamente sono state introdotte ipotesi di confisca obbligatoria dei beni strumentali alla consumazione del reato, che hanno messo in crisi le costruzioni dogmatiche tradizionali, superando i ristretti contini tracciati dalla norma generale di cui all’articolo 240 cod. pen. (cfr. Sez. 5, n. 46500 del 19/09/2011, dep. 14/12/2011, Lampugnani, Rv. 251205).

A conferma della determinazione con cui il legislatore, negli ultimi anni, ha inteso e intende perseguire l’obiettivo di privare l’autore del reato soprattutto del profitto che ne deriva, non va sottaciuta la progressiva moltiplicazione delle ipotesi di confisca per equivalente, che incide, di fronte all’impossibilita’ di aggredire l’oggetto principale, su somme di denaro, beni o altre utilita’ di pertinenza del condannato per un valore corrispondente a quello dello stesso profitto.

In definitiva, con il termine confisca, al di la’ del mero aspetto nominalistico, si identificano misure ablative di natura diversa, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso termine viene utilizzato, al quale occorre di volta in volta riferirsi.

2. In questo stratificato ambito normativo occorre considerare la vicenda sottoposta all’attenzione di questa Corte, che trae origine dalla pretesa dei ricorrenti, (OMISSIS) e (OMISSIS), parti civili costituite in un processo penale definito con sentenza irrevocabile per il delitto di usura, di rivalersi sul bene immobile confiscato all’esito di tale procedimento, chiedendo che fosse destinato prioritariamente al soddisfacimento delle loro pretese risarcitorie.

Nel caso di specie, i ricorrenti deducevano che il diritto al risarcimento dei danni subiti quale vittime del reato di usura di cui all’articolo 644 cod. pen. doveva ritenersi prevalente sulla disciplina normativa di cui alla Legge n. 575 del 1965, al contrario di quanto affermato dalla Corte di appello di Firenze nell’ordinanza impugnata.

Deve, in proposito, rilevarsi che l’assunto dei ricorrenti risulta fondato su un presupposto sistematico erroneo, non tenendo conto del fatto che, a seguito del trasferimento non revocabile dei beni confiscati nel procedimento penale presupposto all’Agenzia del Demanio, la questione sollevata era divenuta di competenza amministrativa e che non vi era alcuno spazio per un intervento del giudice dell’esecuzione penale. Infatti, i beni confiscati nel processo penale nel quale la (OMISSIS) e il (OMISSIS) erano costituiti parti civili, erano stati legittimamente trasferiti all’Agenzia del Demanio, la quale aveva provveduto a trasferirli ai Comuni di (OMISSIS), ai sensi della Legge n. 575 del 1965, articolo 2 undecies, che li avevano, a loro volta, destinati a una funzione pubblica non piu’ reversibile, restando parte integrante del loro patrimonio indisponile.

Ne discende che, laddove i ricorrenti avessero ritenuto di tutelare la propria posizione di terzi creditori avrebbero dovuto, nell’arco temporale compreso tra il 2000 e il 2004, promuovere e trascrivere eventuali azioni reali funzionali a conservare la loro garanzia patrimoniale, impedendo in tal modo l’adozione e la conseguente esecuzione del provvedimento amministrativo con cui i beni confiscati nel procedimento penale presupposto erano stati trasferiti all’Agenzia del Demanio. Tuttavia, una volta disposto il trasferimento dei beni all’Amministrazione, in conseguenza della destinazione pubblica normativamente attribuita dal legislatore, gli immobili confiscati entrano definitivamente a fare parte del patrimonio indisponibile degli enti pubblici beneficiari, i quali sono obbligati ad assegnargli una tale destinazione ai sensi della Legge n. 575 del 1965, articolo 2 undecies, commi 2 e 3.

In questi termini, spetta al giudice dell’esecuzione penale l’accertamento dei confini del provvedimento di confisca per equivalente dei beni immobili contestato, determinando i confini di eventuali diritti di terzi; tale potere, a sua volta, risulta correlato all’onere della prova gravante sul terzo in relazione alla titolarita’ di tali diritti e all’assenza di collegamenti con l’attivita’ illecita dell’imputato. Il terzo, dunque, dovra’ dimostrare il proprio affidamento incolpevole, ingenerato da una situazione di apparenza che renda scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza, certamente non riscontabile nel caso di specie, attesa la pendenza di un processo penale nel quale la (OMISSIS) e il (OMISSIS) erano costituiti parti civili, non essendo sufficiente la mera anteriorita’ della trascrizione nei registri immobiliari, del pari non riscontabile.

Da questo punto di vista, non possiamo non rilevare che la giurisprudenza di questa Corte e’ orientata, sia pure limitatamente alla valutazione della posizione dei terzi in relazione ai provvedimenti ablativi esperiti ai sensi della Legge n. 575 del 1965, articolo 2 ter nella direzione ermeneutica richiamata, com’e’ possibile desumere dal seguente principio di diritto: “Il terzo che vanti un diritto reale su un bene sottoposto a confisca ai sensi della Legge 31 maggio 1965, n. 575, articolo 2 ter ha l’onere di provare, nel procedimento di esecuzione avente ad oggetto la confiscabilita’ del medesimo bene, sia la propria titolarita’ dello “ius in re aliena”, il cui titolo deve essere costituito da un atto di data certa anteriore al sequestro di cui al citato articolo 2 ter, sia la mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attivita’ illecita del proposto indiziato di mafia, derivante da condotte di agevolazione o, addirittura, di fiancheggiamento” (cfr. Sez. 1, n. 43715 del 13/11/2008, dep. 21/11/2008, Mancuso, Rv. 242212).

Ne’ potrebbe essere diversamente, atteso che, nel sistema prefigurato dalla Legge n. 575 del 1965, e’ applicabile il principio enunciato in materia di confisca, secondo cui i terzi che vantino diritti reali hanno l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che costoro sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono a integrare le condizioni di appartenenza e di estraneita’ al reato, dalle quali dipende l’operativita’ della situazione di impedimento o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato. Ne deriva che sui terzi grava l’onere della prova sia relativamente alla titolarita’ dello ius in re aliena, il cui titolo deve essere costituito da un atto di data certa anteriore alla confisca, sia relativamente alla mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attivita’ illecita del soggetto passivo del provvedimento ablativo (cfr. Sez. 1, n. 12317 dell’11/02/2005, dep. 31/03/2005, Fuoco e altro, Rv. 232245).

Tali conclusioni sistematiche risultano ulteriormente avvalorate dalla disposizione del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 52, che deve ritenersi applicabile, sotto il profilo della tutela dei diritti dei terzi creditori, alle ipotesi di confisca emessa ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, a condizione che tali diritti risultino da data certa anteriore all’emissione del provvedimento ablativo, muovendosi in una direzione sistematica analoga a quella recepita nell’ordinanza impugnata e richiamata con riferimento alla disposizione ai sensi della Legge n. 575 del 1965, articolo 2 ter (cfr. Sez. 1, n. 26527 del 20/05/2014, dep. 19/06/2014, Italfondiario s.p.a., Rv. 259331).

In buona sostanza, le vicende dei beni confiscati nel procedimento nel quale i ricorrenti erano costituiti parti civili, in assenza di un atto specifico diretto alla conservazione della loro garanzia patrimoniale, antecedente al trasferimento dei beni all’Agenzia del Demanio, che aveva luogo nel 2004, non possono essere rivalutate in sede esecutiva, a seguito della loro legittima assegnazione a ai Comuni di (OMISSIS).

In questi termini, non possono non condividersi le conclusioni alle quali giungeva il giudice dell’esecuzione, laddove a pagina 6 dell’ordinanza impugnata, osservava: “Dal 2004 in poi la questione pertanto e’ divenuta concretamente amministrativa e non vi e’ da quel momento piu’ spazio per l’intervento giurisdizionale in sede esecutiva, sostituito ormai il giudice dell’esecuzione dalle decisioni adottabili di volta in volta dagli enti pubblici sul loro bene sopravvenuta titolarita’”.

3. Per questi motivi, il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS) deve essere rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali

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