cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 12 maggio 2015, n. 19551

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. VESSICHELLI Maria – rel. Consigliere

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 5028/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 31/05/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/02/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VESSICHELLI MARIA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DELEHAYE Enrico, che ha concluso per l’inammissibilita’.

FATTO E DIRITTO

Propone ricorso per cassazione (OMISSIS), avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze in data 31 maggio 2013 con la quale e’ stata riformata soltanto in punto di trattamento sanzionatorio quella di primo grado, a sua volta di condanna in ordine ai reati di violenza privata e danneggiamento, commessi (OMISSIS).

L’imputata e’ stata ritenuta responsabile di avere, con un comportamento di guida estremamente pericoloso ed aggressivo, costretto gli occupanti di altra vettura, (OMISSIS) e (OMISSIS) (quest’ultima motivo di gelosia per aver instaurato una relazione sentimentale con l’ex convivente dell’imputata), ad effettuare a loro volta manovre pericolose ed, alfine, ad arrestare la marcia della propria macchina sul ciglio della strada; inoltre le e’ stato addebitato il danneggiamento del cellulare della (OMISSIS), aggravato dalla violenza alla persona.

Deduce:

1) la violazione di legge per avere la Corte d’appello risolto con una motivazione apparente, di sole dieci righe, i complessi motivi di impugnazione, riportati nel ricorso stesso, e volti a contestare la valutazione del fatto;

2) l’erronea applicazione della legge penale.

La ricorrente cita giurisprudenza che non ha individuato gli estremi della violenza richiesti dall’articolo 610 c.p. nel comportamento tenuto guidando un veicolo;

3) l’inesistenza della prova specifica del reato di danneggiamento.

Il ricorso e’ inammissibile per genericita’.

Invero tutti i motivi di ricorso sono articolati in maniera estremamente sintetica posto che il loro estensore ha inteso fare riferimento, nel denunciare il vizio della motivazione, al contenuto dei motivi di appello che ha riportato in nota nel ricorso stesso.

Si tratta di una redazione dei motivi di ricorso con la modalita’ “per relationem”, che e’ inidonea a far ritenere rispettato il disposto dell’articolo 581 c.p.p.: una norma che pretende, per l’ammissibilita’ dell’impugnazione, la esposizione di motivi con la indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Nel caso di specie, il fare riferimento a motivi di appello redatti, dunque, con riferimento ad altra sentenza-quella di primo grado-senza peraltro tenere conto in alcun modo della motivazione esibita dal giudice dell’appello, rende il ricorso sanzionabile con l’inammissibilita’. Ed invero non risponde al vero che la motivazione sia apparente, risultando costituita, la stessa, dalla integrazione della descrizione dei particolari della vicenda in punto di fatto e dalla sintesi sulla qualificazione giuridica, dovendosi considerare che la chiarezza del quadro probatorio puo’ rendere superfluo, per il giudice dell’appello, affrontare nel dettaglio i motivi di impugnazione che si limitino a porre in discussione, senza non raggiungere, questioni gia’ esaustivamente affrontate dal giudice di primo grado.

Ebbene la sentenza del giudice dell’appello sostiene esservi la prova della condotta di guida descritta nel capo d’imputazione la quale, essendosi risolta in una azione che ha coartato, con iniziative aggressive, la libera determinazione delle persone offese- azione cui ha fatto seguito dell’avere strappato di mano il cellulare alla (OMISSIS) con rottura del relativo display- ben si inquadra anche nella seconda delle ipotesi criminose contestate.

La giurisprudenza di questa Corte, cui il giudice del merito/mostrato di attenersi, ha infatti affermato che in tema di delitto di violenza privata, integra l’elemento della violenza la condotta che impedisca il libero movimento del soggetto passivo, ponendolo nell’alternativa di non muoversi oppure di muoversi con il pericolo di menomare l’integrita’ di altri, compreso l’agente (Sez. 5 , Sentenza n. 41311 del 15/10/2008 Ud. (dep. 05/11/2008) Rv. 242328). Sulla stessa linea e’ stato anche riconosciuto che integra il reato di violenza privata la condotta del conducente di autoveicolo il quale compia deliberatamente manovre insidiose al fine di interferire con la condotta di guida di altro utente della strada, realizzando cosi’ una privazione della liberta’ di determinazione e di azione della persona offesa, che si viene a trovare nell’impossibilita’ di eseguire una qualsiasi manovra di emergenza – di arresto o deviazione del veicolo – per evitare la collisione (Sez. 1 , Sentenza n. 32001 del 06/09/2002 Cc. (dep. 26/09/2002 ) Rv. 222349).

Infine si ricorda analogo principio giurisprudenziale in base al quali integra il reato di violenza privata la condotta del conducente di un veicolo che, eseguendo una brusca sterzata ovvero affiancando o sorpassando un’altra autovettura, costringa il conducente di quest’ultima a cambiare direzione di marcia per evitare la collisione (Sez. 5 , Sentenza n. 44016 del 17/11/2010 Ud. (dep. 14/12/2010 ) Rv. 249146; conformi: N. 1448 del 1982 Rv. 152221, N. 2545 del 1985 Rv. 168350).

In conclusione, non si apprezza, dal ricorso, quale peculiare aspetto di tale conclusione del giudice del merito meritasse censura per incongruenza con gli accertamenti del fatto o con le caratteristiche delle fattispecie normative evocate.

Alla inammissibilita’ consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000.

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