Corte di Cassazione, sezione V penale, ordinanza 28 giugno 2017, n. 31677

Non è possibile configurare la distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda oggetto dell’impresa successivamente fallita se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quanto meno quei fattori aziendali in grado di generare l’avviamento. Ciò, tuttavia, non esclude la possibilità che l’avviamento possa costituire l’oggetto materiale della bancarotta fraudolenta patrimoniale, sotto il profilo della distruzione, intesa come annullamento del valore economico di uno degli elementi del patrimonio dell’imprenditore, attuata mediante l’intenzionale dispersione, da parte dell’imprenditore, proprio dell’avviamento commerciale

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

ORDINANZA 28 giugno 2017, n.31677 

 

Ritenuto in fatto

1.Con il provvedimento impugnato il Tribunale del Riesame di Palermo rigettava il ricorso ex art. 309 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo con cui, in data 24/11/2016, era stata applicata ad A.A. la misura degli arresti domiciliari per i delitti: 1) di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, comma primo, n. 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267/1942, per avere, in concorso con Am.An. , nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale dichiarata fallita dal Tribunale di Palermo con sentenza n. 90/15, e lo stesso Am.An. nella qualità di partecipe all’impresa, pur a fronte di debiti per oltre Euro 1.381.563,88 ed un attivo inesistente, dissipato il valore di avviamento dell’impresa distraendolo verso la A. Edilizia s.r.l., società a loro stessi riconducibile, compresi i seguenti beni: n. 228 barattoli di vernice marca gdm della Giuseppe di Maria s.p.a.; rapporti contrattuali con i fornitori (in particolare la Sicilgesso s.p.a. e la Kerakoll s.p.a.); rapporti contrattuali con i lavoratori dipendenti C.A. , Cu.Ca. , P.G. , Pr.Vi. , G.A. ); con l’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, legge fallimentare, avendo commesso più fatti di bancarotta fraudolenta; 2) di cui all’art. 216, comma 1, n. 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267/1942, perché, quale titolare dell’omonima ditta individuale, dichiarata fallita dal Tribunale di Palermo con sentenza n. 90/15, avente debiti per oltre Euro 1.381.563,88 ed attivo inesistente, distraeva i seguenti beni: la somma di Euro 4.600,00 prelevata il 03/02/2015 dal conto corrente n. (omissis) , aperto presso la filiale di (OMISSIS) della Banca Popolare Sant’Angelo; le somme di Euro 950,00 ed Euro 980,00, versate, rispettivamente il 16/03/2015 ed il 09/04/2015 dal predetto conto corrente in favore di At.Ra.Lu. ; la somma di Euro 1.000,00 prelevata dal predetto conto corrente in data 08/05/2015; il terreno ricadente sul territorio di (omissis) , donato nel maggio 2005 alla predetta At. ; la somma di Euro 12.000,00, bonificata sul conto corrente acceso presso l’Istituto di Credito Siciliano s.p.a. ed intestato al medesimo A.A. ; con l’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, legge fallimentare, avendo commesso più fatti di bancarotta fraudolenta; in (…), sentenza dichiarativa di fallimento del 12/06/2015.

A.A. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Roberto D’Agostino, per:

2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 273, comma primo, 292, comma secondo, lett. c bis), cod. proc. pen., risultando la motivazione dell’impugnata ordinanza carente sotto il profilo dell’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza offerti dalla pubblica accusa, avendo il Tribunale del Riesame, altresì, omesso di esaminare il materiale probatorio prodotto dalla difesa in sede di discussione; in particolare, in relazione a detto materiale, la motivazione risulterebbe apparente, non avendo il Tribunale del Riesame tenuto conto del fatto che il difensore, nell’ambito delle investigazioni difensive, debba cercare prove a discarico, per cui apparirebbe privo di senso affermare che le dichiarazioni dei testi della difesa abbiano contenuto negativo, così come apparirebbe privo di senso affermare che esse siano numericamente inferiori a quelle dell’accusa, non essendo quello quantitativo un criterio di valutazione della prova, e quindi ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sulle indagini difensive. Sul punto la difesa ha illustrato analiticamente il contenuto delle dichiarazioni dei soggetti escussi in sede di indagini difensive, al fine di dimostrare come essi avessero escluso qualsivoglia continuità tra la ditta individuale A.A. , dichiarata fallita, e la s.r.l. facente capo al figlio Am.An. , nonché al fine di dimostrare che le dichiarazioni dei predetti soggetti avesse anche un contenuto positivo circa la ricostruzione della vicenda; inoltre, l’ordinanza avrebbe del tutto taciuto in ordine alle dichiarazioni favorevoli all’indagato rese da alcune persone informate sui fatti ed escusse dalla P.G. su delega del pubblico ministero, ossia il curatore fallimentare, il dipendente della Kerkoll s.p.a., Co.Fr.Pa. , e gli investigatori privati assunti dalla Sicilgesso s.p.a., ed avrebbe, altresì, errato nella valutazione di alcune risultanze investigative, con particolare riferimento alle movimentazioni di denaro illustrate in ricorso ed alle stesse deduzioni degli organi investigativi, come compendiate nelle relazioni di servizio; parimenti sarebbe stata omessa qualsivoglia motivazione in ordine alla documentazione offerta dal ricorrente in sede di riesame, idonea a smentire le dichiarazioni di alcuni testi della pubblica accusa, come analiticamente illustrato in ricorso. Inoltre, gli elementi evidenziati nell’ordinanza impugnata apparirebbero inidonei a fondare un serio compendio indiziario anche alla luce della giurisprudenza di legittimità circa la distrazione dell’avviamento commerciale dell’impresa, possibile solo in presenza di determinate condizioni, insussistenti nel caso in esame, alla luce della motivazione dell’impugnata ordinanza, non essendo in alcun modo possibile comprendere quale fosse il valore dell’avviamento commerciale dell’impresa nel caso in esame. Quanto ai barattoli di vernice – che comunque non sembrerebbero aver nulla a che fare con l’avviamento commerciale – l’ordinanza avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine alle deduzioni difensive, secondo le quali non sussisteva alcun elemento idoneo a dimostrare l’appartenenza dei detti barattoli alla ditta individuale A.A. , e che, comunque, trattandosi di beni risalenti a circa dieci anni orsono, gli stessi erano del tutto privi di valore economico;

2.2. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 274 cod. proc. pen., in quanto la motivazione circa il pericolo di inquinamento probatorio e quello di reiterazione dei reati sarebbe meramente apparente ed in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sul punto, oltre che con la circostanza rappresentata dall’avere il ricorrente già consegnato al curatore fallimentare tutta la documentazione necessaria a ricostruire la situazione contabile dell’azienda.

Considerato in diritto

Il ricorso è parzialmente fondato, per le ragioni di seguito specificate.

Quanto al primo motivo, va premesso che, come più volte ribadito da questa Corte di legittimità, in tema di impugnazione di misure cautelari personali, il giudice del riesame, sia pure con motivazione sintetica, deve dare ad ogni deduzione difensiva puntuale risposta, incorrendo in caso contrario, nel vizio, rilevabile in sede di legittimità, di violazione di legge per carenza di motivazione (Sez. 6, sentenza n. 31362 del 08/07/2015, Carbonari, Rv. 264938; Sez. 5, sentenza n. 45520 del 15/07/2014, Musto, Rv. 260765).

Alla luce del principio espresso, quindi, non appare sufficiente la motivazione dell’impugnata ordinanza, nella parte in cui è stato affermato genericamente che le dichiarazioni acquisite in sede di indagini difensive sarebbero settoriali e generiche anche in quanto a contenuto negativo, oltre che numericamente inferiori a quelle offerte dalla pubblica accusa. Si tratta, all’evidenza, di motivazione apodittica e generica, che non dà affatto conto, seppure sinteticamente, della valutazione delle dichiarazioni acquisite in sede di indagini difensive.

Nel resto appare evidente come esuli del tutto dal perimetro del giudizio di legittimità l’analisi del contenuto delle dichiarazioni rese dai soggetti escussi a s.i.t. nella fase delle indagini preliminari, nonché di quelli escussi in sede di indagini difensive, non potendosi richiedere a questa Corte una valutazione del detto materiale indiziario che investa profili riservati al solo giudice del merito.

Quanto alla problematica concernente la possibilità di configurare l’avviamento ed i rapporti di lavoro come oggetto della bancarotta per distrazione, esso è stato affrontato, con una risalente pronuncia, da Sez. 5, sentenza n. 8598 del 24/05/1982, Marcucci, Rv. 155357, che aveva affermato detta possibilità in relazione ai beni indicati, in quanto economicamente apprezzabili. Leggendo la motivazione della sentenza citata – che si occupava di una vicenda distrattiva relativa all’intero compendio aziendale, inclusi i dipendenti e la clientela della società fallita – era stato ribadito il consolidato principio secondo cui ‘l’avviamento, i rapporti di lavoro e la tecnologia, costituiscono beni economicamente apprezzabili e, come tali, possono essere oggetto di distrazione. Nel concetto di beni, di cui all’articolo 216 della legge fallimentare, rientrano infatti tutti gli elementi del patrimonio dell’imprenditore, compresi non soltanto i beni suscettibili di utilizzazione immediata, ma anche i beni strumentali e persino quelli futuri, quando si atteggino come mere aspettative. Invero l’oggetto materiale della bancarotta è costituito da quel complesso di rapporti giuridici, economicamente valutabili (cose materiali e diritti), che fanno capo all’imprenditore e rappresentano la garanzia delle ragioni della massa dei creditori, e sui quali può incidere l’illecita manomissione ai danni di costoro’.

Le sentenze che successivamente hanno affrontato il problema (Sez. 5, sentenza n. 9813 del 08/03/2006, Franceschini, Rv. 234242; Sez. 5, sentenza n. 3817 del 11/12/2012, dep. 24/01/2013, Agostini; Rv. 254474; Sez. 5, sentenza n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260689) hanno escluso la configurabilità del reato nel caso in cui la condotta sia riferita all’avviamento in sé, non essendo automatica la qualificazione come distrazione di ogni trasferimento di valore del patrimonio della società ad altra realtà produttiva, come si verifica nel caso di trasferimento della clientela della società fallita alla società o impresa con la quale il medesimo imprenditore prosegua l’attività produttiva. Ciò in quanto per potersi configurare la distrazione è necessario che si verifichi il depauperamento del patrimonio della società, cosa che appare ontologicamente impossibile nel caso di un bene immateriale come l’avviamento commerciale, che, se considerato in maniera avulsa dai rapporti patrimoniali e contrattuali sottostanti, rappresenta unicamente una potenziale capacità di reddito, ma non un rapporto giuridicamente rilevante ed economicamente valutabile, per cui la sua dispersione oggettiva, per l’autonoma scelta dei clienti di fruire dei prodotti della nuova impresa del medesimo imprenditore, non costituisce un fatto addebitabile a quest’ultimo.

Si è, quindi, precisato che l’impossibilità di distrazione dell’avviamento commerciale va intesa come limitata al caso in cui, contestualmente, non siano stati oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o i fattori aziendali in grado di generare l’avviamento, in tal senso sussistendo un contrasto assolutamente apparente con la prima sentenza citata, in cui, come detto, erano stati trasferiti proprio i fattori aziendali economicamente rilevanti.

Si è pertanto chiarito che il trasferimento della clientela della società fallita, implicando il riferimento a rapporti giuridici solo potenziali, appare contrastante con il concetto di depauperamento come condotta idonea ad incidere su rapporti contrattuali già definiti ed economicamente valutabili.

In particolare la sentenza Sez. 5, n. 3817 del 11/12/012, citata, ha approfondito esaustivamente i concetti di rilevanza economica dell’avviamento e di configurabilità della distrazione dello stesso: nel rilevare l’apparenza del contrasto interpretativo tra le precedenti pronunce, alla luce dell’esame concreto delle fattispecie esaminate, essa ha ribadito che l’avviamento commerciale deve intendersi come la capacità di profitto di un’azienda, ed il suo valore come il plusvalore dell’azienda avviata, per cui esso non rappresenta per l’imprenditore una mera aspettativa di fatto, costituendo, al contrario, un valore dell’azienda che lo incorpora; ciò è dimostrato da molteplici parametri normativi, tra cui, ad esempio, gli artt. 2424 e 2426 cod. civ. che, rispettivamente, considerano l’avviamento ‘derivativo’ una immobilizzazione immateriale, e ne consentono l’appostazione nello stato patrimoniale del bilancio nei limiti del costo sostenuto per la sua acquisizione, dovendosi peraltro chiarire che la mancanza di analoga disposizione per l’avviamento ‘originario’ dipende dalla natura del bilancio – che misura l’utile effettivamente realizzato, mentre la valutazione dell’avviamento originario comporterebbe l’anticipazione di quelli futuri conseguibili in funzione dell’espansione e del consolidamento dei fattori che lo generano – e non significa che quest’ultimo non sia economicamente valutabile, in quanto viene di fatto valutato nel momento in cui l’azienda sia oggetto di cessione o comunque cessi il suo esercizio.

La natura patrimoniale dell’avviamento, tuttavia, non significa automaticamente che esso sia suscettibile di autonoma disposizione, proprio in quanto inscindibile dall’azienda medesima, con la conseguenza che non è possibile configurare la distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda oggetto dell’impresa successivamente fallita se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quantomeno quei fattori aziendali in grado di generare l’avviamento. Ciò non esclude, comunque, la possibilità che l’avviamento possa costituire l’oggetto materiale della bancarotta fraudolenta patrimoniale, sotto il profilo della distruzione, intesa come annullamento del valore economico di uno degli elementi del patrimonio dell’imprenditore, attuata mediante l’intenzionale dispersione, da parte dell’imprenditore, proprio dell’avviamento commerciale, anche in assenza di alienazione od eterodestinazione dei beni aziendali. Pertanto ‘la mancata conservazione dell’avviamento costituisce certamente una lesione della garanzia patrimoniale, frustrando l’interesse del ceto creditorio alla potenziale realizzazione di quel plusvalore impresso dal medesimo all’azienda all’atto della liquidazione dell’attivo fallimentare’.

Tanto premesso, e chiariti, pertanto, i contenuti dell’orientamento raggiunto sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, va ricordato che nel caso di specie, il Tribunale del Riesame ha riconosciuto, in riferimento alle condotte contestate al capo 1), essere stata consumata la dissipazione dell’avviamento della società fallita attraverso lo sviamento dei fornitori e l’impiego del suo personale nella A. Edilizia s.r.l., oltre che nella distrazione di un certo numero di barattoli di vernice.

Per quanto concerne i rapporti con i fornitori, Sicilgesso s.p.a. e Kerakoll s.p.a., appare evidente l’errore metodologico in cui è incorsa la pronuncia impugnata, in quanto i rapporti con i fornitori certamente non possono essere considerati suscettibili di una condotta depauperativa da parte dell’imprenditore, atteso che, pur essendo rapporti economicamente valutabili, essi certamente non rappresentano una posta attiva del bilancio aziendale, costituendo, al contrario, un debito per l’azienda. Appare quindi, giuridicamente e, prima ancora logicamente, non configurabile la fattispecie contestata nella misura in cui l’attività distrattiva abbia per oggetto rapporti economicamente valutabili che costituiscano una passività per l’azienda, se non nella misura in cui si configuri un depauperamento dell’attività attraverso l’aumento dell’esposizione debitoria per finalità estranee all’azienda. Il che, come detto, non corrisponde al caso in esame, in cui si è configurato lo sviamento dei fornitori, essendo il Tribunale del Riesame incorso in un evidente errore logico-giuridico, nella misura in cui ha confuso il concetto di fornitori con quello di clientela, ritenendo che la continuità tra l’attività della ditta individuale fallita e quella del’A. Edilizia s.r.l. costituisse di per sé condotta distruttiva o dissipativa, come risulta dal passaggio motivazionale in cui si è sottolineato che proprio i responsabili delle ditte fornitrici avessero chiarito che il ricorrente, insieme al figlio Am.An. , aveva affermato che la A. Edilizia s.r.l. avrebbe continuato a rifornirsi presso di loro, trattandosi di attività che proseguiva senza soluzione di continuità rispetto alla ditta fallita.

Quanto alla movimentazione del personale da una società all’altra, ciò può, in astratto, considerarsi atto di disposizione del patrimonio sociale, dovendosi, in proposito, considerare i rapporti obbligatori sottostanti ai contratti di lavoro con i dipendenti, ossia i rapporti giuridici suscettibili di valutazione economica intrattenuti con essi dall’azienda; infatti, solo la cessione di tali rapporti comporta la cessione anche dall’avviamento aziendale, che necessita di adeguata ed autonoma retribuzione. Non è, al contrario, possibile ipotizzare la distrazione dei dipendenti nel senso di ritenere che, se gli stessi decidano di passare ad altra azienda, ciò implichi automaticamente un’attività di dissipazione o distrazione, in assenza, cioè, di elementi che possano delineare una condotta di istigazione del personale alla risoluzione volontaria del rapporto di lavoro, nella prospettiva di una riassunzione presso altra società concorrente.

Anche sotto detto aspetto la motivazione appare non sufficiente, limitandosi ad evidenziare la continuità tra le attività delle due attività aziendali, quella della ditta individuale fallita e quella della A. Edilizia s.r.l., in tal modo appiattendo la problematica concernente la condotta distrattiva o dissipativa sull’aspetto della continuità aziendale, in sé non sufficiente a configurare la fattispecie di bancarotta penalmente rilevante.

Infine ugualmente carente risulta la motivazione dell’ordinanza impugnata in merito alla distrazione dei barattoli di vernice, non avendo il citato provvedimento chiarito e, conseguentemente, dimostrato se l’utilizzo di tali beni aziendali fosse avvenuto o meno senza corrispettivo, valutando conseguentemente se vi fosse stata una ingiustificata destinazione delle risorse a scopi estranei all’azienda, né avendo spiegato, ancor prima, quale fosse il loro reale valore economico e per quale ragione essi dovessero essere ritenuti sicuramente provenienti dalla fallita ditta individuale, atteso che sul punto l’ordinanza riferisce solo la dichiarazione del curatore fallimentare, il quale aveva affermato che una parte della merce appartenente al fallito, ossia barattoli di vernice marca GDM prodotti dalla ditta Giuseppe Di Maria s.p.a., erano stati distratti in favore della A. Edilizia s.r.l., società che non aveva mai intrattenuto rapporti con la ditta produttrice delle vernici, mancando, sotto detto ultimo aspetto, qualsiasi riferimento motivazionale alle risultanze investigative o documentali che consentissero di verificare che i barattoli di vernice rinvenuti presso la A. Edilizia s.r.l. fossero proprio quelli non rinvenuti presso la ditta individuale fallita. In particolare, non si comprende se il curatore avesse effettuato la verifica in base alle fatture di acquisto della merce da parte della ditta individuale fallita.

Sotto detti aspetti, quindi, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.

Anche relativamente alla sussistenza delle esigenze cautelari, va detto che la motivazione dell’ordinanza appare basata essenzialmente su affermazioni che non soddisfano i criteri normativi, secondo cui devono essere specificamente individuati gli elementi da cui desumere il pericolo concreto ed attuale di inquinamento probatorio – non essendo stata evidenziata alcuna condotta in tal senso attuata dal ricorrente – ed il pericolo di reiterazione – atteso il fallimento della ditta individuale e la mancata indicazione di un concreto coinvolgimento del ricorrente nella A. Edilizia s.r.l., alla quale egli parteciperebbe, in ogni caso, come extraneus.

In ogni caso, alla luce della rivalutazione del compendio indiziante per le ragioni in precedenza individuate, si impone una rivisitazione, in sede di rinvio, della sussistenza delle esigenze cautelari e del criterio di adeguatezza della misura.

Nel resto il ricorso va rigettato.

In particolare, in relazione al capo 2) dell’imputazione provvisoria, va detto che le argomentazioni contenute in ricorso circa la condotta distrattiva del ricorrente, avente ad oggetto somme di danaro e beni immobili, si basano su di una alternativa ricostruzione delle vicende, offrendo una motivazione dei prelevamenti di somme di denaro e della donazione dell’immobile in Lipari che non possono essere valutate in sede di legittimità, laddove non può avere alcuna rilevanza il travisamento del fatto, né, tantomeno una ricostruzione alternativa della vicenda storica; in ogni caso non appare rispettato il principio di autosufficienza del ricorso in relazione ad un eventuale vizio di travisamento della prova, peraltro non specificamente dedotto.

Ne consegue, pertanto, l’annullamento dell’impugnata ordinanza limitatamente al capo 1) dell’imputazione provvisoria ed alle esigenze cautelari, con rinvio per nuovo esame al Tribunale del Riesame di Palermo.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al capo 1) ed alle esigenze cautelari, con rinvio per nuovo esame al Tribunale del Riesame di Palermo. Rigetta nel resto il ricorso.

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