Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 24 ottobre 2017, n. 25113. La responsabilità professionale del notaio nel caso in cui la demolizione in via amministrativa di un’opera edilizia, realizzata su un terreno gravato da vincolo archeologico non rilevato dal notaio rogante la compravendita

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Sul punto le Sezioni unite, con la sentenza appena citata (n. 12103 del 23/11/1995), hanno chiarito che la tesi affermativa (sostenuta da giurisprudenza risalente:
Cass. 14 maggio 1977 n. 1944; 8 maggio 1981 n. 3037; 26 agosto 1982 n. 4727; 8 agosto 1984 n. 4644) non trova riscontro nella disciplina del processo civile.
In particolare, l’opposizione del convenuto non potrebbe qualificarsi come un mero atto di impulso processuale: una simile definizione si attaglia all’ipotesi in cui, come nella previsione dell’articolo 278 c.p.c., nel corso del giudizio diretto a una pronuncia di condanna specifica, l’attore faccia istanza di sentenza non definitiva di condanna generica; in tale caso l’opposizione del convenuto non fa che mantenere la causa nei limiti e nella linea della domanda originariamente proposta ed e’ collegata al potere giudiziale di valutare l’opportunita’ di pronunciare di una sentenza non definitiva. Ma ne’ il potere di valutazione del giudice, ne’ il relativo potere di sollecitazione del convenuto a una determinazione quantitativa del danno, vengono in gioco quando l’attore abbia fin dall’inizio agito per la sola condanna generica.
Il preteso potere del convenuto di opporsi alla domanda di condanna generica non puo’ trovare giustificazione neppure nel principio di concentrazione processuale che, eccezionalmente derogabile in virtu’ dell’istituto della condanna generica prevista dall’articolo 278 c.p.c., riprenderebbe pienamente il suo vigore per effetto dell’opposizione.
Detto principio, infatti, ha un ambito piu’ ristretto, in quanto limitativo del diverso fenomeno del frazionamento in piu’ sentenze non definitive della decisione sulla, peraltro gia’ dedotta, materia del contendere. Il principio di concentrazione, quindi, ben richiamabile in una situazione regolata dall’articolo 278 c.p.c., esula dalla fattispecie in cui ab origine la materia del contendere sia limitata al solo an debeatur.
Non si perviene a diverse conclusioni neppure richiamando l’articolo 111 Cost., comma 2, in tema di ragionevole durata del processo. Infatti, per un verso, la “ragionevole durata” deve essere riferita al giudizio quale risulta in base alle domande formulate dalle parti e non vale a giustificare l’ampliamento dell’oggetto di una causa, il cui thema decidendum e’ circoscritto al solo accertamento dell’an debeatur, anche al quantum debeatur, per la cui liquidazione non e’ stata proposta alcuna domanda. Per altro verso, ragionando diversamente si finirebbe per appesantire – e quindi, paradossalmente, per allungare la durata- di un giudizio in cui l’interesse dell’attore ad una condanna generica risponde proprio ad esigenze di celerita’ della decisione.
D’altronde, porre il consenso (espresso o tacito) del convenuto come condizione di ammissibilita’ di procedibilita’ della domanda di condanna generica, finirebbe per creare una sorta di anomalo petitum provvisorio, sottoposto a condizione.
Il convenuto, tuttavia, non resta sprovvisto di tutela a fronte di una domanda di condanna generica che, in esito all’accertamento del solo an debeatur, potrebbe poi essere usata nei suoi confronti per ottenere provvedimenti cautelari o interinali.
Occorre considerare, infatti, che la condanna generica implica l’accertamento non solo del diritto leso e della lesione avvenuta, ma anche della sussistenza del danno quindi del diritto al risarcimento), ancorche’ quest’ultima valutazione possa essere fatta con apprezzamento sommario e sulla base di un giudizio di semplice probabilita’.
Consegue che l’esistenza del danno derivante dalla condotta contra legem addebitata al convenuto costituisce gia’ oggetto del giudizio volto alla condanna generica, ancorche’ detta parte del giudizio possa svolgersi con modalita’ sommarie e con valutazione probabilistica.
Di fronte a questa situazione, ben puo’ individuarsi un interesse del convenuto alla negazione dell’esistenza di quel danno che, seppur sommariamente, e’ gia’ oggetto della controversia.
La tutela del convenuto, dunque, si esplica mediante la proposizione di una domanda riconvenzionale di accertamento negativo della sussistenza del danno, su basi di certezza, volta a contrastare una domanda di accertamento positivo su basi probabilistiche.
2.6 In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto:
“Il convenuto non puo’ opporsi a una domanda di condanna generica, ma ha la facolta’ di domandare in via riconvenzionale l’accertamento negativo della sussistenza del danno, con conseguente onere dell’attore, in tal caso, di dare piena prova dell’esistenza del danno e conseguente divieto per il giudice, ai sensi dell’articolo 278 c.p.c., di rimettere la determinazione del quantum ad un separato giudizio” Sez. 3, Sentenza n. 3366 del 20/02/2015, Rv. 634518; cosi’, nella sostanza, anche Sez. 1, Sentenza n. 25510 del 16/12/2010, Rv. 615795, sebbene nella massima ufficiale si faccia riferimento alla “facolta’ di opposizione” del convenuto).
2.7 La sentenza impugnata, riconoscendo “al debitore la legittimazione a dedurre la violazione del divieto di scissione del giudizio sull’an da quello sul quantum, perche’ anche il debitore ha quantomeno diritto, ai sensi dell’articolo 111 Cost., ad evitare sdoppiamenti che possano comportare una dilatazione dei tempi e delle spese del processo”, non si e’ conformata al suesposto principio di diritto.
Le censure sono quindi fondate e la sentenza deve essere cassata anche in parte qua.
3. L’accoglimento del ricorso principale comporta la necessita’ di esaminare il ricorso incidentale condizionato.
Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione delle norme in materia di prescrizione, il cui termine decennale il (OMISSIS) vorrebbe far decorrere dalla data del rogito (17 novembre 1989) e non, come sostiene la corte d’appello, dalla manifestazione del danno.
Il motivo e’ infondato in quanto, in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, posto che essa, sia nel caso di responsabilita’ extracontrattuale che contrattuale, non puo’ iniziare a decorrere prima del verificarsi del danno di cui si chiede il risarcimento, ove il danno consegua all’accoglimento giudiziale di una pretesa altrui, la prescrizione stessa inizia a decorrere soltanto dalla data del passaggio in giudicato di detto accoglimento ovvero dalla data in cui e’ emesso un provvedimento giudiziale suscettibile di essere posto in esecuzione (Sez. 3, Sentenza n. 26020 del 05/12/2011, Rv. 620328).

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