Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 24 ottobre 2017, n. 25113. La responsabilità professionale del notaio nel caso in cui la demolizione in via amministrativa di un’opera edilizia, realizzata su un terreno gravato da vincolo archeologico non rilevato dal notaio rogante la compravendita

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Passando al piano dell’individuazione del danno risarcibile, invece, occorre distinguere fra concause naturali e fattori dipendenti dal danneggiato o da terzi. Infatti, qualora si tratti di fattori naturali, se gli stessi non sono in grado di elidere in toto il nesso di collegamento fra la condotta dell’inadempiente e l’evento dannoso, l’autore del comportamento imputabile va ritenuto responsabile per intero di tutte le conseguenze scaturenti, secondo normalita’, dalla sua condotta. Infatti, una comparazione del grado di incidenza eziologica di piu’ cause concorrenti puo’ instaurarsi soltanto tra una pluralita’ di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile e una concausa naturale, ovviamente non imputabile (Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011, Rv. 618881; Sez. 3, Sentenza n. 2335 del 16/02/2001, Rv. 543924).
Invece, nel concorso fra cause concorrenti imputabili al medesimo fattore umano, e’ possibile operare una riduzione proporzionale del quantum del risarcimento in ragione della efficienza causale della condotta (colpevole) di ciascuno degli autori del danno.
1.6 Facendo applicazione di tali principi nel caso di specie si ha che:
– l’omessa rilevazione, da parte del notaio, del vincolo archeologico gravante sull’immobile ha avuto indubbia efficacia causale nella verificazione dell’evento dannoso; infatti, secondo il criterio della preponderanza dell’evidenza, deve affermarsi la indubitabile probabilita’ logica che la (OMISSIS) s.r.l. non avrebbe acquistato l’immobile se avesse conosciuto della sua inedificabilita’ assoluta, ancorche’ limitata a solo parte della superficie;
– la verificazione del danno conseguente era certamente non irragionevole, anzi del tutto prevedibile, secondo il criterio della regolarita’ causale, poiche’ rientrano nell’ambito della “normalita’” sia che l’acquirente di un terreno edificabile lo usi, per l’appunto, per scopi edificatori, sia che l’esistenza di un vincolo archeologico possa comportare l’ordine di demolizione dei lavori compiuti e l’acquisizione dell’area al demanio;
– l’incidenza di fattori umani (l’omessa acquisizione del parere di cui alla L. n. 1497 del 1939, articolo 7 e la difformita’ urbanistica che ha comportato un eccesso di cubatura, entrambe addebitabili alla stessa societa’ danneggiata) quali concause del fatt di danno (l’ordine di demolizione e l’acquisizione della proprieta’ del fondo al demanio) non determina l’interruzione della serie causale, poiche’, in applicazione del criterio di cui all’articolo 41 c.p., la (OMISSIS) s.r.l. non avrebbe acquistato il fondo e sullo stesso non avrebbe intrapreso alcuna attivita’ edilizia, se avesse conosciuto per tempo dell’esistenza del vincolo archeologico;
trattandosi di concorso di cause concorrenti imputabili, la loro incidenza si coglie solamente sul piano dell’individuazione della “quota” di danno addebitabile al notaio, in proporzione al contributo eziologico dell’autore di ciascuna delle condotte che hanno concorso alla verificazione dell’evento.
1.7 Le censure in esame devono essere quindi accolte e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, formulando i seguenti principi di diritto:
“In tema di responsabilita’ professionale dei notai, l’omessa indicazione dell’esistenza di un vincolo (nella specie, di natura archeologica) su un bene immobile oggetto di compravendita permuta determina, secondo i criteri della preponderanza dell’evidenza del “piu’ probabile che e della regolarita’ causale, l’addebito al professionista dell’evento dannoso consistito nella successiva adozione, da parte del Comune, della revoca in autotutela della concessione edilizia e dell’ordine di demolizione delle opere nel frattempo realizzate, nonche’ nell’acquisizione dell’area al patrimonio demaniale”.
“Qualora la demolizione in via amministrativa di un’opera edilizia realizzata su un terreno gravato da vincolo archeologico non rilevato dal notaio rogante la relativa compravendita (o permuta) – dipenda anche dalla mancanza di talune autorizzazioni amministrative e da difformita’ urbanistiche, questi ultimi fattori, pur imputabili al danneggiato, non valgono ad interrompere la serie causale, poiche’ quest’ultimo, se avesse conosciuto dell’esistenza del vincolo, non avrebbe, secondo un criterio logico-probabilistico, acquistato il terreno e non avrebbe intrapreso alcuna attivita’ edilizia (criterio della preponderanza dell’evidenza). Trattandosi, pero’, di fattori umani, degli stessi e’ possibile tenere conto nella liquidazione del danno, ponendo a raffronto l’efficienza causale della condotta (colpevole) del notaio e quella (altresi’ colpevole) dell’acquirente, che ha costruito in mancanza di alcune delle autorizzazioni necessarie e in difformita’ rispetto al progetto approvato”.
2.1 Con i restanti motivi la curatela deduce che la corte d’appello, dichiarando inammissibile la domanda di accertamento della responsabilita’ professionale separata da quella risarcitoria, sarebbe incorsa in vizio di ultrapetizione in quanto la relativa eccezione, formulata dal convenuto nel primo grado, era stata successivamente abbandonata. La corte, peraltro, affermando il “divieto di scissione” della domanda di accertamento dell’an da quella di determinazione del quantum debeatur, avrebbe imposto in capo all’attore un onere piu’ gravoso di quello che gli sarebbe spettato in caso di espressa opposizione del convenuto alla separazione dei giudizi, in quanto, in quest’ultima ipotesi, l’attore ha l’onere di dimostrare la sussistenza del danno, ma non la sua quantificazione.
2.2 Anche queste censure sono fondate.
2.3 Questa Corte ha ripetutamente chiarito che, in linea generale, la domanda di condanna generica (cioe’ limitata all’an debeatur) e quella integrale (cioe’ estesa ad an e quantum) non possono essere formulate nel medesimo giudizio, quale che sia il nesso logico che lega le due domande: congiunzione, subordinazione o alternativita’ (Sez. 3, Sentenza n. 3366 del 20/02/2015, Rv. 634518; Sez. L, Sentenza n. 7847 del 10/08/1998, Rv. 517920; Sez. Sentenza n. 681 del 14/01/2005, in motivazione).
Infatti, la proposizione congiunta della domanda di condanna integrale e di quella di condanna generica sarebbe ovviamente viziata da nullita’ (da sanare ai sensi dell’articolo 164 c.p.c.), per totale inconciliabilita’.
La proposizione della domanda di condanna integrale in via principale e di quella di condanna generica in via subordinata, renderebbe inammissibile solo quest’ultima. L’esame della domanda subordinata, infatti, presuppone il rigetto di quella principale: ma poiche’ la domanda di condanna integrale formulata in via principale impone al giudice di accertare l’esistenza e l’ammontare del danno, l’eventuale carenza di prova in merito a quest’ultimo ne comporterebbe il rigetto, e la conseguente impossibilita’ che la questione relativa al quantum possa essere esaminata in un nuovo giudizio, ostandovi il divieto di bis in idem.
Anche la formulazione d’una domanda di condanna generica in via alternativa ad una domanda di condanna integrale (vale a dire quando l’attore non istituisce alcun ordine di priorita’ nell’esame delle domande da lui formulate, ma lascia al giudice la facolta’ di esaminarle quomodo libet) e’ inammissibile, per la medesima ragione per cui lo sarebbe la formulazione delle due domande in via subordinata.
2.4 Nel caso di specie, tuttavia, la curatela ha formulato, fin dal principio, solamente una domanda di condanna generica.
Nulla impedisce all’attore di restringere ab origine la propria pretesa alla sola condanna generica sull’an debeatur. La giurisprudenza dapprima citata si basa – come s’e’ visto – sulla sola incompatibilita’ logico-giuridica della domanda di condanna generica formulata contestualmente a quella di condanna integrale, ma non rileva alcuna ragione di inammissibilita’ della sola domanda generica.
Piuttosto, la domanda dell’attore originariamente rivolta unicamente a ottenere una condanna generica costituisce espressione del principio di autonoma disponibilita’ delle forme di tutela offerte dall’ordinamento e risponde a un interesse giuridicamente rilevante dell’attore a forme di tutela cautelare (Sez. U, Sentenza n. 12103 del 23/11/1995, Rv. 494765).
Del resto, l’articolo 278 c.p.c. prevede espressamente la possibilita’ per il giudice di pronunciare una condanna generica, il che consente di affermare, in modo speculare, la possibilita’ per l’attore di formulare una domanda di condanna solamente generica.
2.5 Affermata, dunque, l’ammissibilita’ della domanda limitata dall’inizio alla sola condanna generica del convenuto, si pone il dubbio se questi abbia facolta’ di opporvisi.

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