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Considerato che:
1. in esito a sollecitazione della memoria del ricorrente, questo Collegio condivide il principio, gia’ reso da Cass. 5371/2017, per cui “il nuovo rito camerale di legittimita’ “non partecipato”, quale tendenziale procedimento ordinario per il contenzioso non connotato da valenza nomofilattica, e’ ispirato ad esigenze di semplificazione, snellimento e deflazione del contenzioso in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo ex articolo 111 Cost. e articolo 6 CEDU, nonche’ di quello di effettivita’ della tutela giurisdizionale.”; cosi’ come “la previsione di una proposta di trattazione camerale da parte del relatore, in ragione della ravvisata esistenza di ipotesi di decisione del ricorso di cui all’articolo 375 c.p.c., – in luogo della relazione (o cd. “opinamento”) depositata in cancelleria, secondo la formulazione del previgente articolo 380 – bis c.p.c., – appartiene anch’essa all’esercizio della discrezionalita’ del legislatore in ambito processuale e non e’ tale da vulnerare il diritto di difesa, giacche’ trattasi di esplicitazione interlocutoria di mera ipotesi di esito decisorio, non affatto vincolante per il Collegio e che, di per se’, ove rimanga confinata nell’alveo del thema decidendum segnato dai motivi di impugnazione, neppure e’ idonea a sollecitare profili attinenti allo stesso principio del contraddittorio” (Cass. 395/2017);
2. la ratio decidendi di Cass. n. 8977/2016 e’ chiaramente nel senso di ammettere all’iniziativa per la dichiarazione di fallimento il P.M. che acquisisca la notitia decoctionis, ai sensi della L.Fall. articolo 7, sia nell’ambito di un procedimento penale, sia comunque nell’esercizio della sua attivita’ istituzionale e, riferendosi, alla prima ipotesi, riconoscendo che la relativa risultanza puo’ provenire anche da una fase successiva delle prime indagini, gia’ concluse dal citato organo con corrispondente richieste al giudice, ben potendo costituirne lo sviluppo, in termini di approfondimento ed in via di connessione;
3. tale principio, ordinatamente riassunto con il richiamo di precedenti di questa Corte ed enunciato in relazione alla vicenda, gia’ di per se’ esclude ogni decisivita’ della circostanza invocata con l’odierno ricorso che, limitandosi ad addurre il fatto che la relazione della Banca d’Italia era successiva a quella del consulente del P.M., trascura che, proprio ed anche con la sentenza ora impugnata, vi era stato gia’, da un lato, un apprezzamento della connessione che collegava la emersione finale della insolvenza allo sviluppo di indagini gia’ appartenenti ad una prima fase, penalistica, dell’iniziativa del P.M., culminata nelle richieste al giudice e, dall’altro, il richiamo ad una generale pertinenza, come detto, della emersione dell’insolvenza alle attivita’ comunque svolte dal P.M. nelle sue funzioni, ne’ potendosi con l’attuale mezzo censurare il riferimento alla situazione societaria comunque gia’ contenuto nella relazione del consulente medesimo ed esaminato;
4. va cosi’ ribadito che “ai sensi dell’articolo 395 c.p.c., comma 1, n. 4, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialita’ e decisivita’ dell’errore revocatorio, non e’ un nesso di causalita’ storica, ma di carattere logico – giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensi’ di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessita’ logico – giuridica.” (Cass. 6038/2016,3935/2009, Cass. s.u. 1666/2009);
5. esattamente la sentenza Cass. n. 8977/2016 da’ infatti conto di elementi di incompletezza, quanto all’emersione dell’insolvenza, gia’ appartenenti alle prime indagini, apparendo conseguentemente estranea ad ogni prospettiva di errore revocatorio ex articolo 395 c.p.c., n. 4. una censura che individui nella citata posteriorita’ un fatto decisivo, mal percepito;
6. infatti nemmeno la distinzione delle indagini penali in senso stretto (con finale richiesta di rinvio a giudizio) da altre attivita’ investigative del P.M. segna il discrimen per l’esercizio della richiesta di fallimento, alla luce del principio – che la stessa sentenza riporta e condivide – di una legittimita’ dell’iniziativa purche’ la notitia decoctionis promani dall’attivita’ istituzionale del citato organo, fermo restando che essa poi si traduce in una circostanza il cui accertamento ricade nell’oggetto di apprezzamento responsabile e finale del solo tribunale, come avvenuto in concreto;
7. non potendo dunque dirsi che la sentenza sia “l’effetto” del prospettato errore di fatto (Cass. 8615/2017), il ricorso e’inammissibile, derivandone la condanna alle spese, secondo le regole della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimita’, liquidate in Euro 8.200 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 – quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 – bis.
Motivazione Semplificata.
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