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12. Deve essere a questo punto evidenziata, a ulteriore conforto delle conclusioni interpretative alle quali si perviene, la sempre maggiore importanza che assume la persona offesa nel nostro sistema processuale.
Gia’ nella impostazione originaria del codice di procedura penale la persona offesa era disciplinata nel Titolo VI del Libro I quale autonomo soggetto processuale. La collocazione della persona offesa tra i soggetti costituisce una significativa novita’ del nuovo codice di rito, che supera in tal modo l’impostazione del codice del 1930, nel quale la persona offesa non aveva alcun diritto nel procedimento.
Sebbene alla persona offesa non possa essere attribuita la qualifica di parte processuale (come si argomenta dagli articoli 100 e 101), le veniva riconosciuta una posizione processuale caratterizzata da una serie di diritti e di facolta’, particolarmente incisivi nella fase delle indagini preliminari (articoli 360, 366, 369, 398, 401, 406, 410 e 413 c.p.p.) e che si completava e si sviluppava nei momenti processuali successivi (articoli 419, 429, 451, 456, 458, 465, 519 e 560 c.p.p.) nella prospettiva della costituzione di parte civile, fino a risultare quasi riassorbita nell’attivita’ esperibile da quest’ultima, ma conservando comunque una sia pur limitata autonomia (articolo 572 c.p.p.), con cio’ confermandosi il suo ruolo non caratterizzato in modo esclusivo dalla tutela dell’interesse al risarcimento del danno. Nell’ambito di tale quadro normativo era stata letta la disposizione dell’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), che prevede a pena di nullita’ la citazione a giudizio della persona offesa: essa e’ finalizzata a consentire alla stessa persona offesa quei diritti e quelle facolta’ che sono previsti dal codice di rito.
In considerazione di tale finalita’, si tratta di nullita’ che non puo’ essere eccepita da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata (articolo 182 c.p.p.), diverso essendo l’interesse, facente capo ad altri soggetti processuali, all’esame della persona offesa come teste, interesse tutelato da altre norme (articolo 468 c.p.p.) che e’ onere di quei soggetti utilizzare (Sez. 2, n. 5259 del 13 dicembre 2005, dep. 10 febbraio 2006).
Con riferimento ai successivi interventi normativi in attuazione della direttiva 2012/29/UE (Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, cui ha fatto seguito la sopraggiunta L. 23 giugno 2017, n. 103) e’ stato significativamente osservato che essi hanno contribuito a ridefinire il volto del processo, che presenta, ora, una inedita dimensione triadica, che riconosce alla vittima del reato la figura di soggetto processuale con ampi diritti di partecipazione, di conoscenza dello sviluppo della progressione processuale e di tutela in sede penale dei propri diritti fondamentali; in tal modo si realizza, nell’ambito del processo penale, una significativa convergenza tra l’interesse collettivo al perseguimento degli autori di reato e l’interesse individuale della vittima all’accertamento della responsabilita’.
La testimonianza e’ indubbiamente una forma di partecipazione della persona offesa al processo penale, che si connota, peraltro, di una duplice finalita’, in quanto non solo con essa la persona offesa si serve del processo penale per ottenere giustizia, ma essa serve anche al processo penale per realizzare l’interesse pubblico generale all’accertamento della verita’. Al tempo della riforma del codice di procedura penale si era posto il problema della incompatibilita’ della persona offesa costituita parte civile ad assumere l’ufficio di testimone, in quanto portatore nel processo di un interesse personale, ma tale incompatibilita’ venne esclusa, poiche’ la rinuncia al contributo probatorio della parte civile fu ritenuta “un sacrificio troppo grande nella ricerca della verita’ processuale” (Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale). In tal senso, la Corte costituzionale ha ribadito “la preminenza dell’interesse pubblico all’accertamento dei reati”, pur affermando – affermazione condivisa dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione – che “la deposizione della persona offesa dal reato, costituitasi parte civile, deve essere valutata dal giudice con prudente apprezzamento e spirito critico” (Corte cost. n. 115 del 1992).
13. E’ necessario, peraltro, precisare, analogamente a cio’ che ha ritenuto la sentenza Patalano, che quanto esposto vale tuttavia nei casi in cui si possa effettivamente parlare di differente “valutazione” del significato della prova dichiarativa: non percio’ quando emerga che la lettura della prova sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione.
14. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria, che dovra’ rivalutare totalmente il compendio probatorio facendo applicazione corretta delle regole della logica e, in caso di decisione difforme da quella del primo giudice, facendo applicazione, altresi’, dei principi di diritto sopra esposti in tema di motivazione rafforzata, nonche’ del seguente principio di diritto: l’articolo 603 c.p.p., comma 3, in applicazione dell’articolo 6 CEDU deve essere interpretato nel senso che il giudice di appello per pronunciare sentenza di assoluzione in riforma della condanna del primo giudice deve previamente rinnovare la prova testimoniale della persona offesa, allorche’, costituendo prova decisiva, intenda valutarne diversamente la attendibilita’, a meno che tale prova risulti travisata per omissione, invenzione o falsificazione.
15. Alla regolamentazione delle spese tra le parti private provvedera’ il giudice di rinvio anche per quanto riguarda il presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Raggio Calabria, che provvedera’ al regolamento delle spese tra le parti anche con riferimento al presente grado di giudizio.
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