Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 12 settembre 2017, n. 41571. L’articolo del codice di rito (603 comma 3), per essere in linea con l’articolo 6 della Cedu sull’equo processo

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Come sopra e’ gia’ stato posto in rilievo, non si puo’ ritenere che il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio assorba quello della motivazione rafforzata, ma al contrario sia quest’ultimo, alimentato dal principio di immediatezza, che assorbe quel principio. La stessa Corte di Strasburgo conosce e utilizza la regola della prova al di la’ di ogni ragionevole dubbio proprio al fine di stabilire i requisiti minimi dell’obbligo di motivazione delle sentenze che l’equo processo pone in capo ai giudici, in assonanza con il concetto di motivazione rafforzata elaborato dalla giurisprudenza italiana: la portata dell’obbligo dipende dalla natura della decisione e dalle circostanze di ogni singolo caso (v. caso Ajdaric c. Crozia del 13/12/2011). D’altro canto, lo statuto convenzionale della rinnovazione istruttoria in appello non e’ rigido, ma va valutato, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, nel complesso del singolo procedimento: la violazione dell’articolo 6 CEDU non sussiste – come ha riconosciuto la Corte nel recente caso Kashlev c. Estonia, 26 aprile 2016 – quando la rinnovazione non si e’ tenuta ma l’ordinamento comunque assicura adeguate garanzie contro arbitrarie o irragionevoli valutazioni della prova o ricostruzioni dei fatti (§ 50), come l’obbligo per il giudice di appello di esporre una motivazione particolarmente approfondita sulle ragioni del mutato apprezzamento delle risultanze processuali, con l’evidenza degli errori compiuti dal giudice di primo grado, e la previsione di un controllo sul rispetto di quell’obbligo (§ 51) (Sulla necessita’ di valutazione della “complessiva equita’ del processo” si e’ espressa anche la Grande Camera: Schatschaschwili c. Germania del 15 dicembre 2015).
Del resto, a conferma dell’assorbimento della regola “oltre ogni ragionevole dubbio” nell’ambito della motivazione rafforzata raccordata con il principio di immediatezza, deve essere evidenziato che il rispetto del principio della motivazione rafforzata puo’ condurre anche a conseguenze piu’ favorevoli per l’imputato rispetto all’applicazione del principio di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale basato soltanto sul ragionevole dubbio.
Infatti, l’adempimento dell’obbligo da parte del giudice di appello di rinnovare l’istruttoria dibattimentale per assumere nuovamente un prova dichiarativa ritenuta decisiva, non deve indurre alla convinzione che in tal modo lo stesso giudice possa ritenere che la sua sentenza sara’ immune da censure sotto il profilo della necessita’ di motivazione rafforzata. Il controllo della Corte di cassazione rimarra’ comunque fermo, non solo sulla effettiva decisivita’ della prova in tal modo assunta nell’ambito della struttura motivazionale del giudice di appello, ma anche sulla tenuta motivazionale complessiva della sentenza dello stesso giudice rispetto alla motivazione del giudice di primo grado, rimanendo immutato il dovere del secondo giudice “di confutare specificamente i piu’ rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato”. Quanto ora chiarito ha rilevanza in ordine all’esito decisorio del ricorso per cassazione, nel caso di accoglimento del motivo concernente proprio la violazione dell’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva. Infatti la violazione di quell’obbligo dovrebbe condurre all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata al fine di procedere alla rinnovazione imposta dai principi di legalita’ convenzionale, ma la decisione della Corte di cassazione potrebbe essere anche di annullamento senza rinvio, nel caso in cui lo stesso giudice non abbia argomentato su tutti i passaggi motivazionali del primo giudice e su tutti i risultati probatori dallo stesso utilizzati, in modo da rendere inutile un rinvio, non potendo la semplice rinnovazione della prova testimoniale, pur ritenuta decisiva dal secondo giudice, condurre ad un risultato decisorio diverso da quello gia’ adottato dal primo giudice il cui percorso argomentativo non risulterebbe comunque scalfito in maniera determinante (v. in tal senso: Sez. 2, n. 1673 del 18/10/2016 – dep. 13/01/2017, P.G. in proc. Chan Mei Yu e altro, Berlusconi e altri).
11. In definitiva, e’ iniquo l’overturnig che sia basato su compendi probatori “deprivati” rispetto a quelli utilizzati dal primo giudice e tale iniquita’ non ha ragione di escludersi in rapporto ai differenti esiti decisori. Questa interpretazione e’ conforme a quella che la Corte EDU da’ dell’articolo 6 della Convenzione sul giusto processo. Infatti, da ultimo (Ben Moumen c. Italia del 23/06/2016) la stessa Corte ha ricordato che “nell’esaminare un motivo di ricorso relativo all’articolo 6, la Corte deve in sostanza determinare se il procedimento penale abbia rivestito un carattere equo (si veda, tra molte altre, Taxquet c. Belgio (GC), n. 926/05, § 84, CEDU 2010).
Per farlo, essa considera il procedimento nell’insieme e verifica se siano stati rispettati non soltanto i diritti della difesa ma anche l’interesse del pubblico e delle vittime a che gli autori del reato siano debitamente perseguiti (Gafgen c. Germania (GC), n. 22978/05, § 175, CEDU 2010) e, se necessario, dei diritti dei testimoni (si vedano, tra moltissime altre sentenze, Doorson c. Paesi Bassi, 26 marzo 1996, § 70, Recueil des arre’ts et de’cisions 1996-11, e Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito (GC), nn. 26766/05 e 22228/06, § 118, CEDU 2011). La Corte rammenta anche in questo contesto che la ricevibilita’ delle prove e’ regolata dalle norme di diritto interno ed e’ di competenza dei giudici nazionali, e che il suo unico compito consiste nel determinare se il procedimento sia stato equo (GMgen, sopra citata, § 162, con i riferimenti ivi citati)”.
Del resto, nell’ambito delle decisioni della Corte Europea si assiste ad una sempre maggior tutela della parte civile: si veda in particolare la sentenza Alikaj e altri contro Italia del 29/03/2011, relativa ad un caso di dichiarata prescrizione del reato contestato a un membro della polizia che aveva ucciso una persona nel corso di un inseguimento dopo la fuga a seguito di un controllo stradale, la quale ha ritenuto che il sistema penale, cosi’ come era stato applicato nella fattispecie, non poteva generare alcuna forza dissuasiva idonea ad assicurare la prevenzione efficace di atti illeciti come quelli denunciati dai ricorrenti, parti civili nel processo penale, e che l’esito della procedura penale controversa non aveva offerto una adeguata riparazione della offesa arrecata al valore sancito dall’articolo 2 della Convenzione; si vedano ancora le sentenze nei caso Beganovie c. Croazia del 25/06/2009 e Kosteckas c. Lithuania del 13/06/2017, che hanno ritenuto equiparabile ad un trattamento disumano e degradante, con conseguente violazione dell’articolo 3 della Convenzione EDU, il fatto che il sistema giudiziario, pur quando la vittima sia stata risarcita in sede civile, non aveva portato, per prescrizione dell’azione penale, alla punizione in sede penale dei colpevoli dell’atto criminoso. In tal modo, la corte EDU mostra di concepire la costituzione di parte civile non soltanto nell’interesse della parte lesa, ma anche nell’interesse pubblico della difesa sociale preventiva e repressiva contro il delitto e strumento per attenuare l’allarme sociale e soddisfare il desiderio di giustizia delle vittime. E’ stato esattamente osservato in dottrina che non avrebbe senso dar vita ad un “giusto” mezzo per raggiungere un “ingiusto” fine e, quindi, e’ evidente che l’attributo costituzionalmente e convenzionalmente imposto trova una sua chiave di lettura persuasiva solo ove raccordato alla “equita’” della decisione.

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