Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 3 novembre 2017, n. 26206. La parte adempiente di un contratto preliminare di compravendita, che abbia ricevuto una caparra confirmatoria e si sia avvalsa della facoltà di provocare la risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere, può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso

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Trattasi di descrizione chiaramente coerente solo con la destinazione abitativa delle stanze (addirittura una indicata come soggiorno – pranzo), destinazione che e’ stata considerata decisiva dalla Corte di appello.
Si rileva inoltre che la motivazione e’ stata anche fornita con il rilievo dato al provvedimento sindacale di, demolizione, inflitto per costruzione in difformita’ alla concessione: questa circostanza attesta che la unita’ immobiliare promessa in vendita non era stata edificata con le caratteristiche proprie di un sottotetto non abitabile, come vorrebbe il ricorso, ma come un vero e proprio appartamento, al punto da provocare l’intervento repressivo dell’ente locale.
Ne’ il ricorso, che neppure prospetta eventuali errori ex articolo 1362 c.c. e ss. nell’interpretazione del contratto, e’ stato in grado di indicare alcuna risultanza dalla quale desumere che parte promissaria avesse conosciuto e accettato la insanabile condizione irregolare del bene.
4) Il secondo motivo lamenta vizi di motivazione nonche’ violazione e falsa applicazione degli articoli 1324, 1392, 1373 e 1385 c.c..
Con esso la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ravvisato nella comunicazione di controparte una manifestazione della volonta’ di recedere dal contratto preliminare. Afferma che per contro la lettera raccomandata del 10.5.2001 non recava alcuna dichiarazione di recesso, bensi’ una diffida ad adempiere (al rilascio del certificato di abitabilita’) seguita dalla richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento dei danni.
Rileva inoltre che la diffida era da considerare priva di “efficacia”, in quanto proveniente da avvocato privo di procura speciale rilasciata per iscritto.
Anche questo motivo e’ infondato.
Quanto al primo profilo, relativo all’individuazione della volonta’ di recesso nella lettera inviata prima di instaurare il giudizio, va osservato che la Corte di appello nel valorizzare la legittimita’ della scelta di domandare il recesso non si e’ soffermata sul contenuto della lettera, ma ha fatto riferimento alla “…relativa domanda, tenuto conto che non vi era alcun dubbio circa l’opzione esercitata dalla parte attrice (Cass….) la quale in tal modo ha contenuto la richiesta risarcitoria nei limiti della caparra convenuta e raddoppiata”.
Essa ha quindi considerato la scelta di domandare in giudizio il recesso, scelta che e’ legittima anche quando in precedenza sia stata prospettata stragiudizialmente la volonta’ di risolvere il contratto.
Cass. n. 16221 del 18/11/2002 (Rv. 558568) insegna infatti che la parte adempiente di un contratto preliminare di compravendita, che abbia ricevuto una caparra confirmatoria e si sia avvalsa della facolta’ di provocare la risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere (articolo 1454 c.c.), puo’ agire in giudizio esercitando il diritto di recesso (articolo 1385 c.c., comma 2) e, in quest’ultimo caso, ha diritto di ritenere definitivamente la caparra confirmatoria, non anche il diritto di ottenere il risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso (conf. Cass. 387/05).
Ovviamente nel caso, come quello in esame, in cui sia inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, e’ l’altra che puo’ esercitare il recesso per ricevere la restituzione e il pagamento del doppio della caparra.
5) Il secondo profilo del motivo (relativo alla eccezione di nullita’ dell’atto stragiudiziale di recesso per mancanza di forma scritta) risulta a questo punto superato.
Mette conto tuttavia riferire che di esso parte resistente aveva rilevato l’inammissibilita’ per tardivo rilievo della questione e l’infondatezza di essa per intervenuta ratifica dell’atto di recesso.
Quest’ultima controeccezione di parte resistente coglie nel segno, perche’ con l’atto di citazione sottoscritto dalla parte nel rilasciare il mandato al proprio difensore, l’operato precedente di quest’ultimo e’ stato ratificato, come la giurisprudenza delle sezioni semplici ha da tempo affermato (Cass. n. 21229 del 14/10/2010; Cass. n. 16221/2002 – Rv. 558567; 1609/94), senza trovare smentita dalle Sezioni Unite, che in sentenza n. 14292 del 2010 (cfr in motivazione, passaggi finali) non hanno avuto modo di occuparsene.
6) Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia e alla nota spese che indica in Euro 6,45 (sei,45) le spese vive di cui viene chiesto e accordato il ristoro.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 5.000 per compenso e spese vive, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali (15%).

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