Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 29 novembre 2017, n. 28632. La costituzione di una servitu’ pubblica per effetto della c.d. “dicatio ad patriam”

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Nella specie, avendo la societa’ (OMISSIS) dedotto la demanialita’ della stradella o – alternativamente – l’esistenza di una servitu’ di uso pubblico gravante su di essa quali fatti ostativi all’accoglimento della domanda attorea (per sopravvenuta carenza di interesse), esattamente la Corte territoriale ha ritenuto di non potersi esimere dal compiere tale accertamento.
2. – Col terzo motivo, si deduce la nullita’ della sentenza impugnata (ex articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la Corte di Appello omesso di spiegare le ragioni poste a fondamento della ritenuta sussistenza del carattere pubblico della stradella. Si deduce ancora che la sussistenza di una servitu’ di uso pubblico, in quanto incidente su proprieta’ privata, non escluderebbe il perdurante interesse delle parti contraenti al rispetto degli accordi di cui alla scrittura stipulata inter partes.
Unitamente a tale censura, va esaminato – in ragione della stretta connessione – il quinto motivo di ricorso, col quale si deduce la nullita’ della sentenza impugnata (ex articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la Corte di Appello considerato estinti i diritti e gli obblighi nascenti dalla scrittura per il solo fatto della sussistenza di una servitu’ di uso pubblico sulla stradella.
Entrambe le censure sono fondate.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, una strada privata puo’ essere ritenuta soggetta a servitu’ di uso pubblico solo in presenza di convenzione tra il proprietario e l’ente pubblico ovvero nel caso in cui l’uso pubblico (per la cui configurazione non e’ sufficiente l’utilizzazione di fatto da parte di soggetti diversi dal proprietario per raggiungere i terreni limitrofi, ma e’ necessario che essa sia al servizio della generalita’ dei cittadini e che la collettivita’ ne faccia autonomamente uso per la circolazione) si sia protratto per il tempo necessario ai fini dell’acquisto per usucapione (Cass., Sez. 2, n. 6401 del 24/03/2005; Sez. 2, n. 9077 del 16/04/2007; Sez. 2, n. 5113 del 26/05/1999).
In particolare, questa Suprema Corte ha precisato che la costituzione di una servitu’ pubblica per effetto della c.d. “dicatio ad patriam” (consistente nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuita’ e non precariamente, un proprio bene a disposizione della collettivita’) non puo’ essere desunta dal solo fatto che il proprietario abbia consentito il passaggio pubblico su parte del proprio fondo (Cass., Sez. 2, n. 4597 del 22/03/2012); un’area privata, infatti, puo’ ritenersi assoggettata a servitu’ pubblica di passaggio, acquistata per usucapione, solo allorche’ concorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: 1) l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettivita’ indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione “uti singuli”, cioe’ finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il piu’ agevole accesso ad un determinato immobile di proprieta’ privata; 2) l’oggettiva idoneita’ del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitu’; 3) il protrarsi per il tempo necessario all’usucapione (Cass., Sez. 2, n. 10772 del 09/07/2003).
Questa Corte ha ancora affermato che, ai fini dell’assoggettamento per usucapione di un’area privata ad una servitu’ di uso pubblico, e’ necessario che l’uso risponda alla necessita’ ed utilita’ di un insieme di persone, agenti come componenti della collettivita’, e che sia stato esercitato continuativamente per oltre un ventennio con l’intenzione di agire “uti cives” e disconoscendo il diritto del proprietario (Cass., Sez. 2, n. 11346 del 17/06/2004); ed ha precisato che le servitu’ di uso pubblico possono essere acquistate mediante il possesso protrattosi per il tempo necessario all’usucapione anche se manchino opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, essendo il requisito dell’apparenza prescritto dall’articolo 1061 c.c., soltanto per le servitu’ prediali (Cass., Sez. Un., n. 20138 del 03/10/2011).
Orbene, posti questi principi di diritto, va rilevato come la Corte di Bari, nel ritenere la sussistenza di una servitu’ di uso pubblico sulla stradella per cui e’ causa, abbia eluso il suo dovere di verificare la ricorrenza dei presupposti normativi per poterne ritenere l’avvenuta costituzione.
Invero, in assenza di una convenzione tra i proprietari dell’area e l’ente comunale, i giudici di appello avrebbero dovuto verificare attentamente la sussistenza dei presupposti necessari per la costituzione della servitu’ di uso pubblico per usucapione; avrebbero dovuto verificare, non solo l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettivita’ indeterminata di individui considerati uti cives e l’idoneita’ del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse, ma anche l’avvenuto decorso del tempo necessario alla maturazione dell’usucapione.
Nella specie, al contrario, la Corte barese nessun cenno ha fatto al decorso del ventennio dal momento in cui la strada – secondo la prospettazione della societa’ (OMISSIS) – sarebbe stata aperta all’uso pubblico.
Ma vi e’ di piu’.

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