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Non e’ contrastato il principio generale enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, a mente del quale, in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneita’ esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilita’ dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilita’ strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale piu’ cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative (Sez. U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009; conf. Sez. 2, Sentenza n. 20798 del 10/10/2011).
Trova, invece, applicazione l’orientamento, ormai consolidato, per cui la risoluzione del contratto di diritto per inosservanza del termine essenziale (articolo 1457 c.c.) non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facolta’ di recesso ai sensi dell’articolo 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiche’ dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa; in tal caso, pero’, si puo’ considerare legittimo il recesso solo quando l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del recedente (Sez. 2, Sentenza n. 21838 del 25/10/2010).
Ne consegue che il promissario acquirente di un contratto preliminare di vendita, dopo avere inutilmente formulato, nei confronti del promittente venditore, diffida ad adempiere, ed aver instaurato il conseguente giudizio per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ben puo’, ove non abbia contestualmente avanzato richiesta di risarcimento ai sensi dell’articolo 1453 c.c., instare per il semplice conseguimento del doppio della caparra versata, secondo la previsione dell’articolo 1385 c.c., e sul presupposto della risoluzione di diritto verificatasi ex articolo 1454 stesso codice (Sez. 1, Sentenza n. 319 del 11/01/2001).
Invero, la risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’articolo 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facolta’ di ottenere, secondo il disposto dell’articolo 1385 c.c., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza, non e’ poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell’an e nel quantum debeatur (Sez. 3, Sentenza n. 2999 del 28/02/2012).
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