Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 19 dicembre 2017, n. 30528. Le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime

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Tuttavia, una clausola del regolamento condominiale, quale quella in esame, che, per le modifiche esterne ed interne delle proprieta’ individuali incidenti sulle facciate dell’edificio, richieda il benestare scritto dell’architetto progettista del fabbricato, ovvero di altro architetto da nominare, non costituisce deroga agli articoli 1120 e 1122 c.c., dando luogo, piuttosto, a vincoli di carattere reale tipici delle servitu’ prediali (e non a limitazioni di portata meramente obbligatoria), nel senso di specificare i limiti di carattere sostanziale delle innovazioni (cfr. Cass. Sez. 2, 16/10/1999, n. 11688), mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, espressione di autonomia privata, che pone nell’interesse comune una peculiare modalita’ di definizione dell’indice del decoro architettonico.
E’ poi costante l’orientamento di questa Corte ad avviso del quale la disciplina dettata dall’articolo 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute non trova applicazione in ambito condominiale (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14096; anche Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1989).
Piu’ in generale, nell’applicare in materia di condominio le norme sulle distanze legali (nella specie con riferimento al diritto di veduta), spetta al giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimita’ se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tener conto in concreto della struttura dell’edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facolta’ spettanti ai singoli condomini, verificando, nel singolo caso, come fatto dalla Corte di Milano, la compatibilita’ dei rispettivi diritti dei condomini (Cass. Sez. 2, 11/11/2005, n. 22838).
Cosi’ come la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprieta’ esclusiva (nella specie, realizzazione di una serra) in aderenza alla facciata dell’edificio quale pertinenza del rispettivo appartamento, ai fini dell’utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonche’ a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; ma l’accertamento se l’opera del singolo condomino, mirante ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, sia conforme o meno alla destinazione della cosa comune, e’ compito del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato (e la Corte d’Appello ha ben spiegato a pagina 4 della sentenza le ragioni per cui la realizzazione della serra potesse essere considerata esplicazione del normale uso della cosa comune).
Il ricorrente, nel terzo motivo, deduce che la sentenza impugnata “nulla dice in merito al posizionamento dei manufatti all’interno del giardino”, ma cosi’ introduce censura che attiene non alla ipotizzata violazione o falsa applicazione della astratte fattispecie di legge invocate (articoli 907 e 1120 c.c.), quanto all’erronea ricostruzione della fattispecie concreta mediante valutazione delle risultanze probatorie. Tale vizio andava allora comunque introdotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dimostrando, nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di quale “fatto storico” fosse stato omesso l’esame, da quale atto o documento dei pregressi gradi di merito esso risultasse esistente, e che si trattasse di un fatto “decisivo” ai fini della controversia, ovvero idoneo a dimostrare da se’ solo che il manufatto ledesse il diritto del ricorrente di esercitare dalle proprie aperture la veduta, tenuto peraltro conto, trattandosi di rapporti correnti fra unita’ immobiliari comprese in un condominio edilizio, della concreta struttura del fabbricato.
A proposito del quarto motivo di ricorso, la Corte di Milano ha invece affermato che l’articolo 27 del Regolamento edilizio del Comune di Milano non trovasse applicazione al caso in esame, trattandosi comunque di nuova costruzione avvenuta all’interno di un edificio condominiale, con cio’ facendo ancora una volta applicazione del principio giurisprudenziale per il quale le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioe’ quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilita’ della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, e’ in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprieta’ contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Cass. Sez. 2, 18/03/2010, n. 6546). Il ricorso va percio’ rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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