Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza  5 dicembre 2017, n.54692. In tema di bancarotta fraudolenta documentale

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1.2. Ciò posto si osserva che non si ravvisa il denunciato vizio di motivazione in relazione all’effettiva esistenza degli acquisti delle merci distratte, in quanto risultati soltanto annotati nel Registro Iva degli acquisti. Si osserva infatti, che è corretta, logica e non contraddittoria la motivazione offerta dai giudici di merito che fondano la prova delle operazioni, attribuendo rilievo non solo alla deposizione del curatore, ma alla riscontrata annotazione delle fatture passive nel Registro Iva degli acquisti, nel periodo in cui S. era amministratore, nonchè ad ulteriori documenti (oltre al libro giornale fino al 31 dicembre 2005) in particolare alle fatture il cui elenco dettagliato viene indicato, dal giudice del gravame, come rinvenibile in allegato al verbale di dichiarazioni rese dal liquidatore al curatore. Si tratta di elementi nel complesso idonei a dimostrare, in uno alle risultanze dell’annotazione, la corrispondenza di questa al reale andamento degli affari e delle dinamiche della società. E’ principio consolidato di questa Corte regolatrice infatti, quello secondo il quale la qualificazione in termini di prova ex art. 2710 c.c., della risultanza contabile, deve essere valutata ai fini della sua intrinseca attendibilità ai sensi dell’art. 192 c.p.p., secondo i consueti parametri di scrutinio, di cui deve essere fornita motivazione. Ciò significa che le scritture contabili del fallito, possono costituire prova della presenza, in una determinata epoca, di beni all’interno dell’impresa, negata dal fallito, ove siano valutate anche alla luce delle ulteriori risultanze istruttorie, quale l’acquisizione di documentazione contabile (fatture, come nel caso di specie), al fine verificarne la corrispondenza al reale andamento degli affari e delle dinamiche aziendali (Sez. 5, n. 52219 del 30/10/2014, Ragosa, Rv. 262197; Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, Buttitta, Rv. 249715).

Non risulta la denunciata contraddittorietà della motivazione della Corte territoriale, rispetto alle dichiarazioni rese, ex art. 391 bis c.p.p., dalla dipendente della società fallita. Si tratta di dichiarazioni acquisite dalla Corte territoriale su accordo delle parti, da questa valutate e reputate non decisive rispetto alle ulteriori risultanze dell’istruttorie, con una motivazione, seppure essenziale, che non presenta alcun profilo censurabile in questa sede. Nè i rilievi mossi con il ricorso appaiono decisivi posto che si prospetta l’assenza di un preciso ricordo, riferito dalla dichiarante, circa i pagamenti relativi all’acquisto di macchinari di cui si discute e la successiva rivendita degli stessi alla (OMISSIS) s.p.a., non anche l’esclusione in radice dell’effettività delle operazioni annotate.

Quanto al lamentato travisamento delle emergenze probatorie, si osserva che si tratta di vizio che il ricorrente indica come devoluto anche in sede di gravame, deducendo che la Corte territoriale non aveva fornito sul punto motivazione. La questione posta è, quindi, inammissibile in sede di legittimità, tenuto conto della qualità della decisione adottata dalla Corte territoriale. Si ritiene infatti, che conformemente all’indirizzo di questa Suprema Corte (Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 2, n. 47035 del 3710/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438) nel caso di cosiddetta ‘doppia conforme’, il vizio di omessa valutazione di una prova indicata come decisiva, possa essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Inoltre il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la decisiva forza dimostrativa del dato probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di ‘doppia conforme’ e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 6, Sentenza n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774).

Detta decisività non emerge nella specie, a fronte di un ragionamento dei giudici di merito immune da vizi, che ha reputato insormontabile il convergente dato contabile e documentale sopra delineato, rispetto al quale alcun rilievo decisivo assumerebbero le pur incerte dichiarazioni dei concorrenti nel reato (precedente amministratore e liquidatore) relative alla successiva destinazione dei beni acquistati, alla (OMISSIS) s.p.a., nonchè all’assenza di controlli da parte del curatore sulla consistenza dei conti correnti societari, sui versamenti Iva o sugli avvisi di accertamento, derivanti da eventuale omesso versamento.

Nè, infine, è contraddittoria la motivazione dei giudici di merito che descrive un’interposizione alla base delle operazioni commerciali sospette compiute, stante il descritto collegamento, dal punto di vista dei titolari e dell’oggetto sociale, tra tutti gli enti intervenuti nelle operazioni di acquisto e rivendita dei macchinari. Del resto il giudice di primo grado ha motivato diffusamente circa la fuoriuscita dal patrimonio sociale della fallita dei macchinari in epoca immediatamente prossima agli acquisti, condotta già in sè idonea ad integrare la distrazione, dei beni o, comunque, del corrispondente valore, a prescindere dalla successiva rivendita alla (OMISSIS) s.p.a..

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