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La censure del ricorrente non sono meritevoli di accoglimento.
L’imputato, a prescindere dalla possibilita’ di documentare contabilmente la destinazione dei beni a finalita’ sociali – lo stesso e’ stato comunque in grado di documentare pagamenti, attraverso assegni, effettuati nel lontano 1999 (vedi allegato 7) – non ha neppure assolto ad un seppur minimo onere di allegazione in ordine alla destinazione delle cospicue somme di denaro prelevate dai conti correnti sociali in concomitanza con l’accredito delle somme ricevute dal Ministero dello Sviluppo a titolo di contributi pubblici a norma della L. n. 488 del 1992.
Proprio in quanto non corrisponde alla normale prassi commerciale, all’id quoad plerumque accidit, pagare le forniture di merci con denaro contante, salvo che la societa’ non si trovi in stato di sostanziale insolvenza tale che i propri fornitori non accettino altre forme di pagamento, il ricorrente, quale amministratore responsabile della gestione nonche’ della conservazione del patrimonio sociale, avrebbe quantomeno dovuto allegare in modo specifico la destinazione del denaro prelevato dalla societa’, indicando a quale titolo e nei confronti di chi i versamenti erano stati effettuati.
Essendosi il ricorrente limitato a dedurre di aver pagato con quel denaro imprecisate merci, le sue censure si appalesano generiche e come tali inammissibili.
2. Il secondo ed il quarto motivo, che per comodita’ espositiva possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati e vanno pertanto rigettati.
Il ricorrente deduce che le contestate distrazioni sono molto risalenti nel tempo e relative ad un periodo in cui non era ravvisabile alcuna difficolta’ economica della societa’, la quale, ancora nell’esercizio chiuso al 31.12.2005, presentava una certa solidita’ patrimoniale (segnatamente un patrimonio netto di segno positivo). Lamenta, altresi’, il travisamento della prova, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la fallita non aveva mai effettivamente operato nonche’ affermato che “nonostante l’intervallo temporale i prelievi effettuati dal (OMISSIS) avevano determinato la situazione di dissesto della societa’ sostanzialmente svuotata di ogni utile e rimasta inattiva nel periodo successivo”.
Va preliminarmente riaffermato il principio di diritto dell’irrilevanza, ai fini della configurabilita’ della bancarotta fraudolenta patrimoniale, della mera risalenza nel tempo degli atti distrattivi.
Come recentemente ribadito dalla sentenza di questa Sezione n. 37932/2017, rv 270763, Sgaramella, gli atti distrattivi, pur se risalenti nel tempo, rilevano, anche in una prospettiva del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo concreto, allorquando “pur cronologicamente lontana dalla sentenza dichiarativa di fallimento, la sottrazione di ricchezza si ripercosse nel tempo direttamente sull’impoverimento dell’asse patrimoniale, con diretto danno per la massa dei creditori “(sez 5 n. 523/07 del 22.11.06, Rv. 235694), ovvero quando la diminuzione della consistenza patrimoniale determina uno squilibrio tra passivita’ ed attivita’, risultando l’atto depauperativo idoneo a creare un vulnus all’integrita’ della garanzia dei creditori; non sono, infatti, punibili solo quelle operazioni distrattive o dissipative che, anche per l’entita’ minima o particolarmente ridotta, non sono tali da comportare una alterazione sensibile della funzione di garanzia del patrimonio (vedi sez 5 n. 35093 del 4.06.2014, Rv. 261446).
Nel caso di specie, in ragione dell’ingente importo dei prelievi indebiti effettuati dal ricorrente dal conto corrente sociale, puo’ ragionevolmente affermarsi che quegli attivi distrattivi hanno avuto ripercussioni nefaste per la garanzia dei creditori. Ne’ la copiosa documentazione allegata al ricorso dall’imputato nel far valere l’eccezione di travisamento della prova, e’ di significativita’ tale da scardinare il solido impianto probatorio della Pubblica Accusa.
Va, in primo luogo, osservato che l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la societa’ non ha mai effettivamente operato e la sua costituzione “sembra finalizzata esclusivamente alla percezione di un contributo pubblico ai sensi della L. n. 488 del 1992”, non pare avere travisato le emergenze istruttorie risultanti dalla documentazione prodotta dallo stesso ricorrente.
In particolare, dall’esame delle visure camerali, emerge che la societa’ poi fallita, in un breve intervallo temporale di un anno e mezzo collocato tra la fine del secolo scorso e l’inizio di quello attuale, ha aperto e poi successivamente chiuso ben cinque unita’ locali (si ricorda che la societa’ aveva come oggetto sociale la lavorazione e trasformazione di tessuti e capi di abbigliamento in genere e la commercializzazione e distribuzione di tali prodotti).
Dalla relazione L. Fall., ex articolo 33 risulta altresi’ che nel dicembre 2002, e quindi in periodo immediatamente successivo al ricevimento dell’ultima tranche del contributo pubblico, la (OMISSIS) s.r.l. ha ceduto i rami di azienda siti in (OMISSIS) alla (OMISSIS) s.r.l., societa’ di capitale sociale di Euro 10.800,00, nella quale l’odierno ricorrente era titolare della quota pressoche’ unitaria di Euro 10.580,00 (appartenendo la quota di Euro 220,00 alla sig.ra (OMISSIS)) e in cui lo stesso (OMISSIS) ha ricoperto la carica di amministratore unico fino al settembre 2006.
In sostanza, dal periodo successivo al dicembre 2002 non e’ ben chiaro quale attivita’ la societa’ poi fallita abbia effettivamente svolto, essendosi privata dei propri rami d’azienda ed avendo chiuso tutte le proprie unita’ locali.
Ne’ il ricorrente e’ stato in grado di provare l’operativita’ della stessa nel periodo successivo atteso che gli assegni dallo stesso prodotti, tratti sul c/c (OMISSIS) e comprovanti pagamenti a favore di altre ditte, risalgono tutti alla fine degli anni âEuroËœ90 o inizio degli anni duemila.
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