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1. La doglianza formulata con il primo motivo di ricorso e’ infondata. In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che, come nel caso in disamina, riformi totalmente la decisione di primo grado, sostituendo alla pronuncia di assoluzione quella di condanna dell’imputato, ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu’ rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dimostrandone, in modo rigoroso, l’incompletezza o l’incoerenza (Sez. U., 12-7-2005, Mannino). Il giudice di primo grado aveva posto a base della pronuncia assolutoria l’asserto secondo il quale la detenzione dello stupefacente era finalizzata a scopi terapeutici, essendo l’imputato affetto da infezione da Hiv, epatite cronica ed herpes genitale ricorrente e quindi costretto all’ assunzione abituale di farmaci, i cui effetti collaterali potevano essere attenuati dall’uso di marijuana e di hashish. La Corte d’appello ha analiticamente esaminato le risultanze probatorie in merito a questo specifico profilo, ribaltando l’epilogo decisorio sulla base di un’accurata confutazione delle argomentazioni formulate dal primo giudice. La Corte territoriale ha infatti evidenziato la rilevanza del dato ponderale, trattandosi di ben 416 gr, tra marijuana e hashish, da cui era possibile ricavare 1721 dosi singole medie: quantitativo senz’altro eccedente il fabbisogno di un consumatore di media levatura, che non aveva neppure la necessita’ di assicurarsi una scorta, coltivando personalmente la marijuana. Ed anzi la detenzione di un quantitativo cosi’ cospicuo esponeva la sostanza stessa ad un inaccettabile rischio di deperimento. A cio’ si aggiungano – prosegue il giudice a quo – le modalita’ di confezionamento, essendo la marijuana in parte gia’ suddivisa in dosi, confezionate tutte in sacchetti per fazzoletti di carta aventi lo stesso peso, di cui uno rinvenuto sulla persona dell’imputato, in modo inspiegabile nell’ottica di una destinazione ad uso personale e terapeutico. Si consideri infine la diversa tipologia della sostanza stupefacente detenuta (marijuana ed hashish).
Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l’itinerario concettuale esperito dal giudice di merito. D’altronde, dedurre vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa e’ manifestamente carente di logica e non gia’ opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione dei fatti (Sez. U., 19-6-1996, Di Francesco, Rv. 205621). Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa – e, per il ricorrente, piu’ adeguata – valutazione delle risultanze processuali (Sez. U.,304-1997, Dessimone, Rv. 207941).

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