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1. Con l’unico motivo di ricorso principale si lamenta violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articoli 51, 53, 67 e 107, oltre che della delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 29 marzo 1994 e della circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’undici febbraio 1991.
2. Per ragioni di ordine espositivo, va esaminato, congiuntamente al ricorso principale, il ricorso incidentale proposto da (OMISSIS) s.p.a., che sviluppa, in termini piu’ articolati, doglianze comuni, cui premette censure che appaiono logicamente preliminari.
3. In particolare, con il primo motivo di tale ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione della stessa normativa richiamata dal ricorrente principale, rilevando che la Corte territoriale aveva valorizzato prospettazioni fattuali e allegazioni, irritualmente introdotte dai (OMISSIS), in violazione dell’articolo 345 c.p.c., eludendo le preclusioni maturate ai sensi degli articoli 183 e 184 c.p.p., e, in definitiva, pronunciando extra petita, in violazione dell’articolo 112 c.p.c..
Secondo la ricorrente incidentale, i (OMISSIS) avrebbero solo con l’atto di appello dedotto: a) l’insussistenza di ulteriori esposizioni relative ad altri rapporti contrattuali e cio’ in dipendenza del contenzioso da loro promosso per contestare la legittimita’ delle condizioni e degli oneri applicati dal (OMISSIS); b) la legittimita’ della morosita’ registrata in relazione alle operazioni di credito agrario, in ragione delle proroghe delle scadenze disposte con provvedimenti legislativi regionali; c) l’insussistenza di segnalazioni a sofferenza a carico dell’azienda agricola (OMISSIS) s.n.c. e della (OMISSIS) s.r.l.; d) la notorieta’ del prodursi dei ricavi nel settore viti-vinicolo nei mesi tra ottobre e novembre.
La doglianza e’ infondata.
La normativa emanata al fine di dare attuazione al Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 51, comma 1, (per una ricostruzione del sistema, v., ad es., Cass. 12 ottobre 2007, n. 21428), infatti, sebbene persegua interessi pubblicistici di contenimento dei rischi bancari, finisce, nel momento in cui delinea i presupposti che giustificano la segnalazione alla cd. Centrale Rischi, anche per integrare il contenuto del rapporto contrattuale con il cliente.
E’, infatti, evidente che la puntualizzazione dei limiti che giustificano, in quanto doverosa, una iniziativa suscettibile di incidere sulla reputazione economica e l’operativita’ bancaria dei clienti e’ destinata anche a proteggere direttamente questi ultimi interessi, rispetto alla diffusione di dati che le banche conoscono in ragione dello specifico rapporto obbligatorio che le lega al cliente stesso.
Ne discende che la violazione di tale disciplina – laddove si traduca nell’erronea individuazione della ricorrenza di siffatti presupposti genera una responsabilita’ negoziale della banca, sulla quale grave l’onere, in coerenza con i principi generali desumibili dall’articolo 1218 c.c., di dimostrare, ove sorga controversia, l’adempimento dei propri obblighi (ancorche’ essi siano frutto, come nella specie, dell’integrazione del contenuto del contratto).
Ulteriore conseguenza delle superiori considerazioni e’ che le contestazioni del cliente rappresentano mere difese sottratte al regime delle preclusioni.
Del resto, gli argomenti sopra ricordati e sviluppati dai (OMISSIS) assumevano l’evidente funzione di contestare che, nel caso di specie, ricorresse quella situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficolta’ economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza (e non identificantesi nel mero ritardo nel pagamento del debito o dal volontario inadempimento) che giustifica la segnalazione (v., ad es., Cass. 9 luglio 2014, n. 15609).
4. Con il secondo motivo del medesimo ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione della stessa normativa richiamata dal ricorrente principale, con particolare riferimento all’articolo 2697 c.c., e articolo 115 c.p.c., sottolineando che le deduzioni irritualmente introdotte nel giudizio d’appello erano comunque rimaste sguarnite di prova.
La doglianza e’ inammissibile, in quanto, sebbene inquadrata formalmente nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella sostanza, involge, una contestazione dell’apprezzamento delle risultanze probatorie, ossia un vizio motivazionale.
E, tuttavia, l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053). In questa prospettiva il dedotto cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).
5. Con il terzo motivo del medesimo ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione della medesima normativa richiamata nel secondo motivo, rilevando che le allegazioni irrituali indicate nel primo motivo erano insuscettibili di assumere qualunque rilievo ai fini del decidere. Tale doglianza, che, nella sostanza, si sovrappone all’unico motivo del ricorso principale, e’ infondata, al pari di quest’ultimo, in quanto non e’ esatto che i dati evidenziati dalla Corte territoriale e sopra riassunti siano eccentrici rispetto alla valutazione della sussistenza o non della grave e non transitoria difficolta’ economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza, che, sola, giustifica la segnalazione alla cd. Centrale rischi.
Se, invece, le critiche aspirassero a censurare l’apprezzamento delle risultanze probatorie, esse sarebbero inammissibili per le considerazioni svolte supra sub. 4
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