Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 26 febbraio 2018, n. 4508. Non va restituito agli acquirenti l’immobile ceduto dall’impresa costruttrice poi fallita anche se gli stessi avevano precedentemente sottoscritto un preliminare

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2. la corte ha ritenuto la sussistenza dei requisiti di cui all’azione revocatoria fallimentare secondo i tratti antevigenti rispetto alla riforma del Decreto Legge n. 35 del 2005, applicabile ratione temporis, posto che la invocata scrittura privata del 2.4.1994 era priva di data certa (e come tale inopponibile alla massa) e configurabile come mero contratto preliminare, dunque rinviante ad altra manifestazione di volonta’ per la traslazione del diritto, poi avvenuta solo tre anni dopo, nel periodo sospetto ai sensi dell’articolo 67, comma 2 L. Fall., data la dichiarazione di fallimento resa il (OMISSIS); quanto all’elemento soggettivo, la conoscenza dello stato d’insolvenza in capo agli acquirenti era provata dalla risultanza nello stesso rogito di atti pregiudizievoli a carico dell’impresa della (OMISSIS), identificata nella stessa sede come imprenditrice e dall’emersione di protesti per importi elevati e pubblicati nella stessa provincia di residenza dei convenuti, cio’ determinando la raggiunta presunzione, secondo comuni criteri di causalita’, restando irrilevante il tema della congruita’ del prezzo, stante il tipo di azione proposta;

3. in due motivi, (OMISSIS) censura la sentenza, oltre che per vizio di motivazione sull’elemento psicologico (da correlare al primo dei due atti), per la falsa applicazione “delle norme di diritto in relazione alla valutazione giuridico-sostanziale del preliminare del 1994”, poiche’ il “compromesso”, al di la’ del suo tenore letterale, prevedeva gia’ effetti traslativi reali concordati fra le parti, conseguenti al prezzo pagato e all’immissione in possesso; resiste con controricorso il fallimento, che ha depositato anche memoria;

4. Ritenuto che:

5. il primo motivo e’ inammissibile, ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c., n. 1, in quanto, al di la’ della assoluta genericita’ dei riferimenti normativi, contraddice il principio, correttamente seguito dal giudice di merito e connesso ad un esame e una qualificazione diretti della fattispecie del primo negozio fra le parti, secondo il quale “in tema di revocatoria fallimentare di compravendita stipulata in adempimento di contratto preliminare, l’accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto l’articolo 67 L.F. ricollega la consapevolezza dell’insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui e’ assunta l’obbligazione, di cui l’atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento; inoltre, qualora nel momento fissato per la stipulazione del contratto definitivo, sussista pericolo di revoca dell’acquisto per la sopravvenuta insolvenza del promittente venditore, il promissario acquirente ha la facolta’ di non addivenire alla stipulazione, invocando la tutela dell’articolo 1461 c.c..” (Cass. 6040/2016, 21927/2011);

6. parimenti va aggiunto che nella revocatoria “di atto di compravendita preceduto dalla stipula di un contratto preliminare ad effetti anticipati” l’elemento caratterizzante l’azione “va valutat(o) con riferimento al momento della conclusione del contratto definitivo, essendo questo che determina l’effettivo passaggio della proprieta’… Infatti, ancorche’ siano previsti la consegna del bene ed il pagamento del prezzo prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica di per se’ l’anticipazione di tutti gli effetti traslativi del contratto definitivo, se il giudice del merito, ricostruendo la comune intenzione delle parti e valutando il loro comportamento anche successivo al contratto, accerti che trattasi di contratto preliminare solo con alcuni effetti anticipati, in quanto la disponibilita’ del bene ha luogo nella piena consapevolezza dell’altruita’ della cosa” (Cass. 7216/2017);

7. il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile, ex art.360-bis c.p.c., n. 1, applicandosi alla prova dell’elemento soggettivo dell’azione oggetto del presente giudizio il principio per cui “la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente, che deve essere effettiva e non meramente potenziale, puo’ essere provata dal curatore, su cui incombe il relativo onere, tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, ex articoli 2727 e 2729 c.c.” (Cass. 526/2016); e “la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimita’.” (Cass. 3336/2015);

8. ne deriva che il ricorso e’ inammissibile, con condanna alle spese, secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del procedimento di legittimita’, liquidate in Euro 7.400 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge

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