Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 4 settembre 2014, n. 18675

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere
Dott. GHINOY Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 684-2013 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1010/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 25/01/2012 r.g.n. 13/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) ed altri 4 lavoratori adivano il Tribunale di Bologna per accertare la insussistenza della cessione di ramo d’azienda ex articolo 2112 c.c. da parte di (OMISSIS) in favore della confronti della (OMISSIS) in quanto carente la preesistenza dell’autonomia funzionale ed organizzativa del preteso ramo ceduto rispetto al momento traslativo. I lavoratori deducevano anche l’avvenuta dequalificazione e chiedevano il relativo risarcimento. Resisteva la (OMISSIS) contestando la fondatezza della tesi di controparte; eccepiva anche la carenza di interesse. SI costituiva la (OMISSIS) sostenendo l’Infondatezza della domanda.
Il Tribunale di Bologna con sentenza 959/2005 rilevava la carenza di interesse. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 12.5.21001 accoglieva l’appello dei lavoratori. La Corte territoriale osservava che non poteva essere dichiarato il difetto di interesse se non altro perche’ i lavoratori avevano dedotto persine un demansionamento. Anche per la domanda di nullita’ dell’atto di cessione sussisteva un palese interesse al ripristino del rapporto con la cedente. Circa quest’ultima domanda la Corte osservava che i lavoratori per le attivita’ che avevano da sempre svolto per (OMISSIS) non appartenevano comunque al preteso ramo poi ceduto ad (OMISSIS). I lavoratori avevano contestato di essere mai stati addetti al cali center ma nessuna prova contraria era stata offerta dalla (OMISSIS). Anche l’allegazione per cui i lavoratori appartenessero al c.d. settore Gisp centrale di (OMISSIS) che poi era confluito nell'(OMISSIS) (ramo che la (OMISSIS) asserisce aver ceduto) non era stata suffragata da alcun elemento di prova con riferimento ai compiti affidati agli appellati. I testi escussi non avevano confermato in modo specifico tale circostanza e comunque i ricorrenti avevano dedotto di aver svolto presso il Gisp mansioni non riconducibili a quei settori che poi erano stati interessati alla cessione del ramo. Si era parlato della confluenza di alcuni settori come il (OMISSIS) e l’ex (OMISSIS) nell'(OMISSIS), ma non era mai stato neppure allegato che i lavoratori appartenessero a tali settori. Comunque anche nel settore GISP i lavoratori non avevano mai dato informazioni al clienti, ma come detto, avevano svolto diverse mansioni. Non si era in sostanza dimostrato che le specifiche operazioni svolte presso il GISP centrale di (OMISSIS) fossero state accorpate nel (OMISSIS), cioe’ nel preteso ramo d’azienda che sarebbe stato poi ceduto al (OMISSIS) Non si era peraltro richiesto da parte della (OMISSIS) la conclusione dell’istruttoria gia’ ammessa e solo in parte espletata. Pertanto la cessione del ramo d’azienda era da ritenersi illegittima con le conseguenze di cui in sentenza. Circa la domanda relativa al preteso demansionamento la Corte osservava che la domanda era generica e che non erano stati forniti elementi di sorta per qualificare tale preteso danno.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la (OMISSIS) con due motivi corredati da memoria illustrativa ex articolo 378 c.p.c.; resistono i lavoratori con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’articolo 100 c.p.c. e degli articoli 1406, 2094 e 2112 c.c. Non sussisteva interesse dei lavoratori far dichiarare la nullita’ dell’atto di cessione e comunque la sussistenza del rapporto di lavoro con la (OMISSIS).
Il motivo e’ infondato. Come affermato da questa Corte in controversie analoghe (cass. n. 9949/2014)” il lavoratore, nell’ipotesi in cui non sia configurabile un trasferimento di ramo d’azienda, ha un interesse giuridicamente apprezzabile alla declaratoria di inefficacia di tale trasferimento e della cessione del contratto di lavoro, in assenza di consenso, tenuto conto del pregiudizio che puo’ derivargli dalla sostituzione del precedente datore di lavoro con un altro eventualmente meno solvibile e non in grado di assicurargli le stesse garanzie in tema di stabilita’ e continuita’ del rapporto di lavoro. Ne’ questo interesse e’ escluso dalla solidarieta’ del cedente e del cessionario stabilita’ dall’articolo 2112 cpv cod. civ., la quale ha per oggetto solo i crediti che il lavoratore aveva ai tempo del trasferimento e non anche quelli futuri.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’articolo 155 c.p.c. e degli articoli 2112 e 2967 c.c.; nonche’ l’Insufficiente motivazione circa la mancata appartenenza dei lavoratori al preteso ramo ceduto.
Il motivo appare infondato. Questa Corte ha piu’ volte affermato che per ramo d’azienda, ai sensi dell’articolo 2112 cod. civ. (sia nel testo anteriore, sia in quello modificato, in applicazione della Direttiva CE n. 50/98, dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entita’ economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identita’. Il che presuppone una preesistente realta’ produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione dei trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta’ dell’imprenditore e non dall’inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo di azienda gia’ costituito (v. Cass. G aprile 2006, n. 8017; Cass. 1 febbraio 2008 n. 2489 nonche’, in controversie pressoche’ analoghe alla presente, sempre relative a cessione di rami d’azienda da (OMISSIS) S.p.A. a (OMISSIS) S.p.A., Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711; Cass. 2 settembre 2013 n. 20095; Cass. 3 ottobre 2013 n. 22627; Cass. 4 ottobre 2013 n. 22742, cass. n. 9949/2014). Ne discende che si applica la disciplina dettata dall’articolo 2112 c.c., anche in caso di cessione di parte dello specifico settore aziendale, purche’ si tratti di un Insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attivita’ di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture gia’ esistenti al momento del trasferimento, e dunque non solo teorica o potenziale La recente sentenza della Corte di giustizia UE 6 marzo 2014 n. O-458/12 conferma quanto detto. Da essa risulta infatti che: a) non si ha trasferimento di ramo d’azienda qualora il ramo non preesista alla cessione (dispositivo, n. 1; considerato n. 321; b) in tal caso spetta all’ordinamento nazionale di garantire il lavoratore (dispositivo, n. 1; considerato n. 39).
In presenza dei presupposti sopra indicati, si considerano fare parte del ramo d’azienda anche i dipendenti che prestano la loro attivita’ per la produzione di beni e servizi del ramo, e quindi anche i loro rapporti vengono trasferiti dal cedente ai cessionario, ai sensi dell’articolo 2112 c.c. senza necessita’ di un loro consenso, resta fermo, tuttavia, che il lavoratore puo’ far valere in giudizio la non configurabilita’ del trasferimento di un ramo d’azienda nell’ipotesi in cui manchino i presupposti previsti dalla legge e, quindi, l’inefficacia della cessione del contratto di lavoro in assenza del suo consenso, tenuto conto del pregiudizio che puo’ derivargli da una cessione operata ad un soggetto non solvibile e che comunque non gli assicuri la continuita’ del rapporto.
Ora alla luce di tali considerazioni di diritto non vi e’ alcun dubbio che gravava sulla (OMISSIS) l’obbligo di dimostrare che i lavoratori ricorrenti in primo grado appartenessero al ramo ceduto gia’ precedentemente al momento del trasferimento del preteso ramo d’azienda, posto che la citata giurisprudenza richiede che l’autonomia funzionale ed organizzativa preesista, rispetto al momento della cessione e che quindi tutti gli elementi che definiscono tale autonomia, compreso anche l’essenziale componente del “capitale umano” impegnato nel ramo, siano gia’ sussistenti al momento in cui il ramo in questione e’ stato ceduto. Ora la Corte territoriale, in esito ad una complessa istruttoria, ha escluso che i lavoratori ricorrenti in primo grado, avessero in qualche modo lavorato in quei settori che – secondo la (OMISSIS) – sarebbero poi stati accorpati nel preteso ramo ceduto. La Corte territoriale indica chiaramente le ragioni di tale convincimento posto che sono state ritenute insufficienti le dichiarazioni testimoniali che dovevano confermare la tesi della societa’ appellante; stante la loro genericita’. La Corte ha poi sottolineato che i ricorrenti avevano dedotto-contestando le affermazioni delle (OMISSIS) che presso la Gisp di (OMISSIS) avevano svolto specifici compiti che non erano riconducibili ai settori poi coinvolti dalla cessione e che non era stata offerta alcuna prova in senso contrario. La motivazione appare pertanto congrua e logicamente coerente, mentre le censure sono di merito, inammissibili in questa sede in quanto dirette ad una “rivalutazione del fatto” e non sono rispettose del principio di autosufficienza del ricorso in cassazione in quanto si riportano le dichiarazioni rese da due testi ma solo per stralcio senza pero’ riportare l’insieme delle testimonianze e senza peraltro neppure adeguatamente contestare quanto affermato in sentenza circa la genericita’ di tali dichiarazioni. Secondo parte ricorrente l’intero reparto Gisp di (OMISSIS) sarebbe stato trasferito, ma la Corte di appello sul punto ha osservato che non emergevano elementi per ritenere che le attivita’ specificamente svolte dai lavoratori presso il Gisp fossero stati coinvolti nell’atto di trasferimento. Circa le ulteriori doglianze le stesse appaiono ininfluenti; anche a dare per ammesso che con l’atto di cessione possano essere trattenute in capo alla cedente alcuni funzioni o alcuni lavoratori, qui si sta discutendo di un’altra situazione e cioe’ della cessione del contratto di lavoro di soggetti che non appartenevano in realta’ al ramo ceduto.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite, da distrarsi – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in euro 100,00 per spese, nonche’ in euro 4000,00 per compensi oltre accessori, da distrarsi in favore dell’avv.to (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

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