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Ancora, riguardo al primo motivo di doglianza, nella parte in cui la ricorrente deduce violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., per non avere il Giudice d’Appello accolto l’eccezione di decadenza dell’onerato, in merito ad aspetti probatori non dimostrati, questa Corte ritiene di poter affermare che, lungi dal configurare il vizio dedotto, il fatto che la decisione gravata rivaluti proprio tali aspetti all’interno del suo tessuto argomentativo, equivale all’implicito rigetto dell’eccezione in base alla cui presunta omessa pronuncia parte ricorrente ha prospettato la censura.
2. Nella seconda doglianza, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 646 c.p., sulla valutazione per cui la condotta della lavoratrice non integrerebbe gli estremi del reato di appropriazione indebita per mancanza di dolo, avendo erroneamente la Corte d’Appello creduto di ravvisare l’intenzione della controricorrente di restituire la somma.
Il motivo e’ infondato. Pur deducendo la completa sovrapponibilita’ tra la responsabilita’ disciplinare e quella penale – il che sarebbe gia’ di per se’ contestabile – la censura non si rivela comunque capace di aggredire la parte motiva della sentenza che ha ritenuto provata l’assenza dell’elemento costitutivo della fattispecie delittuosa invocata, consistente nella specifica intenzione dolosa, da parte di (OMISSIS), di appropriarsi definitivamente del denaro sottratto.
3. Nella terza censura il vizio di violazione di legge si appunta sull’erronea interpretazione, da parte della Corte d’Appello, delle norme del contratto collettivo del settore del commercio e, in particolare, di quelle disposizioni (articolo 220, commi 1 e 2; articoli 225 e 229) che segnano la linea di confine tra gli obblighi del dipendente alla conservazione del patrimonio aziendale e l’abuso di fiducia, che, traducendosi in comportamenti contrastanti con gli articoli 1362 e 2119 c.c., produce conseguenze sulla conservazione del rapporto di lavoro.
La censura e’ inammissibile, poiche’ appuntandosi sull’apprezzamento e sul convincimento del giudice sui fatti di causa, rivelatosi difforme da quello auspicato dalla ricorrente, mira a un riesame del merito, non consentito in sede di legittimita’, ed e’ altresi’ inammissibile per promiscuita’ dei motivi.
Questa Corte ha, infatti, deciso che “Nel ricorso per cassazione, i motivi d’impugnazione che prospettino una pluralita’ di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure” (Cass. n. 21611/2013; Cass. n.18021/2016; Cass. n.3554/2017).
4. Nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e’ riferita alla circostanza secondo cui la Corte d’Appello avrebbe considerato provata l’esclusione dell’appropriazione indebita per avere, la dipendente, restituito la somma sottratta il giorno stesso, nonostante la decadenza dalla relativa prova.
Il motivo e’ infondato. L’iter logico-argomentativo della sentenza e’ coerente e analitico sulla circostanza dedotta dalla difesa di parte ricorrente, e non autorizza a una diversa conclusione, avendo, la Corte territoriale, ritenuto provato che la controricorrente avesse sottoscritto di suo pugno il biglietto esaminato e riconosciuto l’ammanco nell’immediatezza dei fatti, e valorizzato come l’episodio fosse avvenuto all’interno di un contesto lavorativo di completa irreprensibilita’ delle condotte della dipendente nei confronti della datrice, lungo tutta la durata del rapporto di lavoro.
5. Nel quinto motivo la violazione dei principi sull’onere probatorio e’ dedotta con riferimento alla motivazione della sottrazione, che sarebbe avvenuta per necessita’ familiari, mai chiarite ne’ provate in corso di causa, e che la sentenza gravata ha richiamato genericamente, posto che il bisogno rappresentato, qualora ritualmente introdotto nel giudizio di merito, avrebbe conferito all’atto un significato concreto tale da condizionare la valutazione della condotta della dipendente.
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