Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 dicembre 2017, n. 30224. Nel ricorso per cassazione i motivi d’impugnazione che prospettino una pluralita’ di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili

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1. Nel primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2727 e ss. cod. civ. e degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., nonche’ omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio oggetto di controversia tra le parti consistente nella asserita intenzione della (OMISSIS) di restituire la somma indebitamente prelevata dal fondo cassa per motivi personali e non gia’ di appropriarsene in via definitiva.
La ricorrente deduce che la motivazione adottata dalla Corte territoriale sarebbe viziata perche’ fondata su presunzioni prive dei caratteri legali di gravita’, precisione, concordanza, e perche’ scaturirebbe dall’esame di fatti non dimostrati e di cui la parte onerata non aveva richiesto la prova, come ad esempio la circostanza riguardante la situazione familiare da cui aveva tratto origine il gesto della dipendente. La doglianza si appunta infine sul significato scriminante attribuito dalla Corte d’Appello al biglietto riposto in cassa al posto della somma di denaro sottratta, contestando che alla circostanza non potesse che attribuirsi l’opposto significato di un artificio messo in atto consapevolmente, proprio al fine di coprire l’ammanco.
Il primo motivo e’ inammissibile.
Innanzitutto va rilevato che, per com’e’ prospettata, la censura presenta una mescolanza non scindibile di vizio motivazionale e di violazione di legge, tale da richiedere, un intervento di questa Corte volto a enucleare le parti concernenti le separate censure (In termini, Cass. n.3554/2017);
In particolare poi, in merito all’utilizzo del ragionamento presuntivo da parte del Giudice d’Appello, rileva questa Corte che esso, qualora adeguatamente motivato dal Giudice del merito – come e’ nel caso in esame – costituisce accertamento di fatto, precluso in sede di legittimita’.
Infatti, “…spetta al giudice del merito valutare l’opportunita’ di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai presupposti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimita’, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non puo’ limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicita’ e contraddittorieta’ del ragionamento decisorio, restando, peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo” (Cosi’ Cass. n.8023/2009; prec. Cass.n.15737/2003).
Egualmente, la prima censura e’ inammissibile sotto il profilo del prospettato vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 poiche’, in seguito alla riforma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, introdotta dalla L. n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera d), conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, e’ denunciabile in Cassazione soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. sez. Un. n. 8053/2014).
Seppure per fatto decisivo la ricorrente avesse inteso – ma dal ricorso non e’ dato evincerlo con la dovuta chiarezza – la mancata valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo nell’atto della sottrazione, la censura sarebbe da considerarsi infondata, poiche’ anche tale circostanza, e’ stata ampiamente vagliata all’esito di un approfondito iter probatorio, a seguito del quale il Giudice del merito si e’ risolto ad affermare (p.7) che “…la valutazione dell’elemento soggettivo non depone per una gravita’ della condotta tale da giustificare il licenziamento…”.

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