Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 2 marzo 2015, n. 9168

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente
Dott. IZZO Fausto – Consigliere
Dott. ZOSO Liana M. T – rel. Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 372/2013 TRIBUNALE di RIETI, del 11/02/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/02/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. De Augustinis Umberto che ha concluso per l’annullamento senza rinvio;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28.2.2012 il Tribunale di Rieti condannava il dott. (OMISSIS) alla pena di 1.200 euro di ammenda per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 60 e 68, per non aver ottemperato alle norme sulla tenuta dei registri di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope perche’, nel corso di un’ispezione dei Carabinieri NAS del 27.9.2010 all’interno del Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS) (di cui l’imputato era Dirigente Medico Responsabile), era stata accertata la presenza di n. 18 fiale di morfina cloridrato a fronte delle 17 riscontrate in giacenza contabile.
2. Avverso la sentenza del tribunale proponeva ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, e la corte di cassazione, con sentenza n. 8058 pronunciata il 20.2.2013, annullava la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Rieti sul rilievo che, ribadito che il dirigente medico preposto all’unita’ operativa era il responsabile di tale corrispondenza e quindi era penalmente responsabile ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 60 e 68, tuttavia, poiche’ era previsto un termine di tolleranza di 24 ore per procedere alla registrazione della movimentazione, era necessario, ai fini di una declaratoria di responsabilita’, che si dimostrasse che la movimentazione non registrata era avvenuta oltre il suddetto termine.
3. Il tribunale di Rieti, investito del giudizio di rinvio, condannava l’imputato alla pena di 1.200 euro di ammenda rilevando che sussisteva la contravvenzione contestata, punibile a titolo di colpa per mancato controllo tra la quantita’ in giacenza e quella registrata, non trovando applicazione l’ipotesi prevista dall’articolo 68, comma 1 bis, che, secondo la giurisprudenza, si intendeva limitata al contesto formale della registrazione, cioe’ alle sole violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri. Peraltro all’imputato era gia’ stata irrogata la sanzione amministrativa per la tenuta irregolare dei registri a norma dell’articolo 68, comma 1 bis. Osservava il tribunale che era certa la discordanza tra giacenza contabile e materiale della morfina in quanto il teste (OMISSIS), in forza al nucleo NAS di Viterbo, aveva riferito di aver partecipato all’attivita’ ispettiva del 27.9.2010 nel corso della quale era stato rilevato il fatto costituente reato ed aveva constatato che non vi era stata alcuna consegna di morfina delle ultime 24 ore poiche’ l’ultima consegna risaliva al 14.9.2010 per un quantitativo di 20 fiale. Il 24.8.2010 risultavano in carico 8 fiale, cui si aggiungevano le 20 fiale consegnate il 14.9.2010, mentre risultavano essere state utilizzate 11 fiale, sicche’, secondo i registri contabili, avrebbero dovuto essere custodite 17 fiale e non le 18 rinvenute.
4. Ricorreva per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, svolgendo tre motivi di doglianza.
4.1. Con il primo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il giudice del rinvio non aveva chiarito quale fosse stato il fatto generatore della discrepanza tra consistenza reale e contabile delle fiale di morfina e se la discrepanza stessa avesse avuto luogo prima delle 24 ore anteriori all’accertamento, indicato dalla corte di cassazione come termine di tolleranza per procedere alla registrazione delle movimentazioni.
4.2. Con il secondo motivo deduceva illogicita’ della motivazione in quanto, essendo stata rinvenuta una sola fiala di morfina in eccesso rispetto a quelle contabilizzate, si doveva ritenere mancasse l’offensivita’ specifica del fatto e si vertesse in tema di reato impossibile a norma dell’articolo 49 cod. pen..
4.3. Con il terzo motivo formulava una eccezione di costituzionalita’ della norma per violazione del principio di ragionevolezza in quanto non era ragionevole far carico al dirigente medico del reparto di pronto soccorso, la cui attivita’ precipua era volta a salvare le vite umane, di controllare continuamente il registro di carico e scarico.
Deduceva, poi, questione di costituzionalita’ della norma per contrasto della norma incriminatrice con l’articolo 6 Cedu poiche’ lo stesso fatto era sanzionato sia penalmente che in via amministrativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Rileva la corte che il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Invero il tribunale, attenendosi al principio di diritto enunciato dalla corte di legittimita’, ha rilevato che nessuna movimentazione delle fiale in entrata o in uscita si era verificata nelle 24 antecedenti il controllo operato dai NAS, il che evidenzia che il mancato controllo da parte del dirigente medico, protrattosi oltre il periodo di tolleranza, ha comportato l’elusione della finalita’ della norma dell’articolo 60, che e’ quella di rendere operativo il sistema di controllo del movimento dei farmaci, contenenti sostanze ad effetto stupefacente, garantendo la ricostruzione documentale ed assicurando in tempo reale la dinamica degli spostamenti e delle presenze dei farmaci custoditi nella farmacia.
6. Il secondo motivo di ricorso e’ parimenti infondato. Cio’ in quanto il ricorrente ha affermato, nella sostanza, che l’azione, pur corrispondendo alla fattispecie tipica descritta dal legislatore, non era punibile perche’ non offendeva l’interesse tutelato dalla norma perche’ la discrepanza tra la quantita’ contabile e quella reale aveva riguardato una sola fiala di morfina. Sennonche’, come gia’ osservato dalla corte di legittimita’ con la sentenza di annullamento con rinvio, la finalita’ della norma dell’articolo 60 e’ quella di rendere operativo il sistema di controllo del movimento dei farmaci, contenenti sostanze ad effetto stupefacente, garantendo la ricostruzione documentale (la cd. tracciabilita’), ed assicurando in tempo reale (e non alle scadenze solari) la dinamica degli spostamenti e delle presenze dei farmaci custoditi nella farmacia. In tale senso depongono le plurime cautele, fissate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 60, comma 1, appunto per “tenere in evidenza” il movimento di entrata ed uscita, quali: la specialita’ del registro; l’ordine cronologico delle sue annotazioni (che non si concilia con la affermata annualita’ delle scadenze, sostenuta nel ricorso ai fini della insussistenza del reato);
la progressione numerica unica per ogni tipo di sostanza o di medicinale; l’assenza di lacune, abrasioni od aggiunte nelle relative annotazioni.
Tutto cio’ considerato, anche la minima discrepanza tra quantita’ contabile e reale costituisce lesione del bene giuridico protetto.
7. In ordine al terzo motivo di ricorso, si osserva che la questione di costituzionalita’ prospettata con riguardo al parametro dell’irragionevolezza e’ manifestamente infondata, considerato che la norma, che individua nel dirigente medico il responsabile del controllo dei registri di carico e scarico, non tiene conto degli eventi non registrati verificatisi nelle 24 ore antecedenti il controllo da parte degli agenti proprio in considerazione del fatto che e’ stata ritenuta l’impossibilita’ del medico, il cui compito precipuo e’ quello di far fronte alle emergenze sanitarie, di procedere al controllo continuo dei registri.
Il ricorrente pone, poi, la questione di costituzionalita’ per violazione del precetto di cui all’articolo 117 Cost., comma 1, considerato il rango di fonti interposte integratrici del precetto costituzionale riconosciuto alle norme Cedu, cosi’ come interpretate dalla corte di Strasburgo. Sostiene il ricorrente che, a seguito della modifica introdotta dalla Legge 15 marzo 2010, n. 38, articolo 10, comma 1, lettera r), che ha aggiunto al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 68, il nuovo comma 1 bis, secondo cui “qualora le irregolarita’ riscontrate siano relative a violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri di cui al comma 1, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 1.500”, il fatto dell’irregolare tenuta dei registri viene ad essere sanzionato due volte, con l’irrogazione di una pena ed anche di una sanzione amministrativa.
La norma si porrebbe, dunque, in conflitto con il precetto costituzionale, articolo 117, che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, dovendosi considerare che la corte CEDU, con la sentenza Grande Stevens pronunciata il 4 marzo 2014 ha affermato il principio dell’equiparazione, ai fini del ne bis in idem, del giudicato amministrativo al giudicato penale. Ha affermato la corte di Strasburgo che, dopo che nei confronti di una societa’ sono state comminate sanzioni amministrative dalla Consob ed esse siano divenute definitive, l’avvio di un processo penale sugli stessi fatti viola il principio giuridico del ne bis in idem. Cio’ in quanto, anche se il procedimento innanzi alla Consob e’ amministrativo, le sanzioni inflitte possono essere considerate a tutti gli effetti come sanzioni penali, considerata la loro natura repressiva e l’eccessiva severita’ delle stesse, sia per l’importo che per le sanzioni accessorie, oltre che per le loro ripercussioni sugli interessi del condannato. Pertanto il sistema del doppio binario (configurabilita’ di una forma cumulativa del reato e dell’illecito amministrativo per i medesimi fatti) previsto dagli articoli 184 e seguenti TUF viola il principio del ne bis in idem. La corte ha affermato che la piena sovrapponibilita’ sul piano della tipicita’ del bene giuridico protetto (la trasparenza del mercato) e dell’obiettivo perseguito (repressione degli abusi di mercato) tra la disciplina di carattere amministrativo e quella dell’illecito penale comporta la violazione del principio del ne bis in idem previsto dall’articolo 4 del protocollo 7 allegato alla CEDU. Peraltro tale estensione della sfera applicativa del ne bis in idem non opera in via generale ma solo nelle ipotesi in cui la procedura amministrativa sfoci in un provvedimento particolarmente afflittivo e la decisione sia divenuta definitiva. Al proposito la corte di Strasburgo ha affermato di ritenere prevalente la sostanza delle sanzioni sulla loro forma: la reale natura delle misure sanzionatorie previste negli ordinamenti nazionali viene apprezzata alla luce delle loro concrete peculiarita’ e conseguenze e non in forza della mera qualificazione giuridica ad esse riconosciuta; occorre analizzare, dunque, i parametri idonei a rivelare la sostanziale essenza penale di un determinato provvedimento secondo i criteri gia’ espressi con la sentenza Engel c. Paese Bassi dell’8.6.1976, ovvero la qualificazione dell’infrazione, la natura dell’infrazione e l’intensita’ della sanzione comminata.
Cio’ posto, va considerato che, secondo quanto precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 349 del 22.10.2007, al giudice spetta di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui cio’ sia permesso dai testi delle norme. Qualora cio’ non sia possibile o sussista il dubbio della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, il giudice deve investire la Corte Costituzionale della questione di legittimita’ rispetto al parametro dell’articolo 117 Cost., comma 1.
Ora, e’ stato precisato dalla corte di legittimita’ che la depenalizzazione del reato di irregolare tenuta del registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 68, comma 1 bis) deve intendersi limitata al contesto formale della registrazione, ossia alle sole violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri; e che la stessa depenalizzazione non incide sui fatti riguardanti il contenuto dichiarativo dei registri ed in particolare sui dati relativi alla non corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale, essendo configurabile, in tal caso, il reato di cui all’articolo 68, comma 1, del medesimo d.p.r. (ex pluribus, Sez. 4, n. 49097 del 07/11/2013, Zelli, Rv. 257654).
Il problema interpretativo che si pone consiste, dunque, nel considerare se le due norme (articolo 68, comma 1 e articolo 68 comma 1 bis) configurino un concorso apparente di norme, che si verifica quando la medesima condotta criminosa risulta, solo in apparenza, riconducibile a piu’ fattispecie di reato ma nella realta’ ne integra una solo, o se, invece, esse sanzionino fatti diversi.
Invero solo nel primo caso (concorso apparente di norme), si potrebbe ritenere che il principio espresso dalla corte di Strasburgo con la sentenza Grande Stevens abbia una ricaduta nel senso che, essendo gia’ stata applicata la sanzione amministrativa, nell’irrogare la sanzione penale si incorrerebbe nel divieto del bis in idem.
Ma, proprio attingendo alla condivisibile interpretazione data dalla corte di legittimita’ alle norme di cui si tratta, va escluso si tratti di concorso apparente di norme poiche’ il comma 1 ed il comma 1 bis dell’articolo 68 sanzionano fatti diversi, laddove la sanzione amministrativa e’ comminata per le sole violazioni formali riscontrate nella tenuta dei registri mentre la pena e’ prevista nel caso in cui, sussista o meno la violazione formale, si riscontra la mancata corrispondenza tra giacenza contabile e giacenza reale.
E neppure sussiste un rapporto di specialita’ per aggiunta tra la norma penale e la norma amministrativa, considerato che la mancata corrispondenza tra la quantita’ contabile e quella reale non presuppone necessariamente l’irregolarita’ formale della tenuta dei registri (si veda, per una approfondita analisi del concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010 – dep. 21/01/2011, P.G. in proc. Di Lorenzo, Rv. 248722). Dunque neppure sotto tale profilo si configura una duplicazione della sanzione poiche’ non sussiste la coincidenza necessaria, nemmeno parziale, della condotta.
Tutto cio’ considerato, vertendosi nel caso in cui la norma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 68, comma 1, regola materia diversa da quella cui si riferisce il comma 1 bis, appare manifestamente infondata la questione di costituzionalita’ sollevata con riguardo al parametro dell’articolo 117 Cost., comma 1.
Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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