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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 2 marzo 2015, n. 9156

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente
Dott. D’ISA Claudio – rel. Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1663/2013 della Corte d’appello di Brescia del 3.06.2013;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
Udita all’udienza pubblica dell’11 dicembre 2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Claudio D’Isa;
Udite le richieste del Procuratore Generale, nella persona del Dott. Oscar Cedrangolo che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
(OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d’appello di Brescia, che, in parziale riforma della sentenza di condanna del locale Tribunale il 27.03.2012, in ordine al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 avente ad oggetto la coltivazione di piante di cannabis, ritenuta l’ipotesi di cui al cit. articolo, comma 5, ha concesso il beneficio della non menzione della condanna.
Si denuncia, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione laddove non e’ stata accolta la tesi difensiva dell’uso esclusivamente personale della droga, non essendo stato considerato, in diritto, che l’ipotesi di coltivazione per uso personale non costituisce reato; cio’ in quanto non vi sarebbe alcuna lesione al bene giuridico tutelato dalla norma, ovvero la salute pubblica per la irrilevanza del principio attivo contenuto nelle piante di cannabis sequestrate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso va accolto.
Va premesso che questa Corte di legittimita’ ha statuito di recente che la coltivazione di stupefacenti, sia essa svolta a livello industriale o domestico, costituisce reato anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 28605 del 24/04/2008 Ud., Di Salvia, Rv. 239920).
Cio’ premesso, rispondendo alle censure svolte dal ricorrente, la stessa giurisprudenza di legittimita’ ha piu’ volte precisato che “Ai fini della punibilita’ della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l’offensivita’ della condotta ovvero l’idoneita’ della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 28605 del 24/04/2008 Ud. (dep. 10/07/2008), Di Salvia, Rv. 239921; Cass. Conforme, Sez. U. 24 aprile 2008, Valletta; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1222 del 28/10/2008 Ud. (dep. 14/01/2009);, Nicoletti, Rv. 242371).
In tema di principio di offensivita’, va osservato che esso puo’ essere riguardato da due punti di vista: come criterio guida per il legislatore e come ausilio per l’interprete nella valutazione della tipicita’ di una determinata condotta. L’aspetto che qui maggiormente interessa e’ il principio di “necessaria” offensivita’ del reato, come criterio guida per l’interprete onde valutare la tipicita’ della condotta. Come e’ noto, si ha “tipicita’” del fatto, quando questo corrisponde perfettamente alla fattispecie astratta prevista dalla norma incriminatrice. Secondo la piu’ attenta dottrina e giurisprudenza, la mera aderenza del fatto alla norma di per se’ non integra il reato, essendo necessario anche che la condotta sia effettivamente lesiva del bene giuridico protetto dalla norma : non solo quindi “nullum crimen sine lege” ma anche “nullum crimen sine iniuria”.
Il principio di offensivita’ deve ritenersi essere stato costituzionalizzato nel nostro ordinamento. A riprova di cio’ vi sono gli articoli 25 e 27 Cost. che distinguono tra pene e misure di sicurezza, le prime dirette a colpire fatti offensivi, le seconde, la mera pericolosita’ del soggetto. Ancora, significativo in tale ottica e’ l’articolo 13 Cost. che consente il sacrificio della liberta’ (connesso alla pena) solo in presenza della necessita’ di tutela di un concreto interesse. La necessaria offensivita del reato si desume, inoltre, dalla disposizione di cui all’articolo 49 c.p., comma 2 che prevede la non punibilita’ del reato impossibile. Tale norma, lungi dall’essere un inutile duplicato dell’articolo 56 c.p. (laddove non prevede la punibilita’ del tentativo inidoneo), ha una sua propria autonomia se’:, interpretata nel senso di ritenere non punibili quelle condotte solo apparentemente consumate e quindi aderenti al tipo, ma in realta’ totalmente deficitarie di lesivita’ secondo una valutazione effettuata “ex post”. Dell’esistenza del detto principio vi e’ traccia sia nella giurisprudenza costituzionale che in quella ordinaria.
La Corte Costituzionale (Corte Cost. 360 del 14/5/1995), ha precisato che diversa dal principio della offensivita’, come limite di rango costituzionale alla discrezionalita’ del legislatore penale ordinario, e’ la offensivita’ specifica della singola condotta in concreto accertata. Ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilita’ della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perche’ la indispensabile connotazione di offensivita in generale di quest’ultima implica di riflesso la necessita’ che anche in concreto la offensivita sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente, in difetto di cio’ venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile (articolo 49 c.p.).
Cio’ detto e venendo al caso di specie, e’ da ritenere che il giudice di merito non abbia fatto buon governo dei principi illustrati, laddove ha riconosciuto a fronte delle oggettive circostanze del fatto e della sia pure modesta attivita’, di coltivazione posta in essere (coltivazione domestica di cinque piantine invasate di cannabis dalle quali sono risultate estraibili, grammi 0,1048 di sostanza stupefacente di cui non e’ stato neanche indicato il principio attivo) denotano una condotta non certamente offensiva dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice.
Pertanto la sentenza va annullata senza rinvio perche’ il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perche’ il fatto non sussiste

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