cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 26 febbraio 2015, n. 3931

 

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente
Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. GHINOY Paola – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29641-2011 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (gia’ (OMISSIS).) C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 534/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 23/11/2010 r.g.n. 244/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 23 novembre 2010 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Cremona con la quale era stata rigettata la domanda di (OMISSIS), collocato obbligatoriamente presso l’ (OMISSIS), volta ad accertare l’illegittimita’ del licenziamento comminatogli il 4/1/2006 per superamento del periodo di comporto.
La Corte d’appello ha rilevato che il lavoratore lamentava la violazione della Legge n. 68 del 1999, articolo 10, comma 4, secondo cui era annullabile il licenziamento di lavoratore occupato obbligatoriamente per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo quando al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente fosse inferiore alla quota di riserva. Secondo la Corte il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituiva un’ipotesi speciale di licenziamento che trovava una sua specifica disciplina prevalente sia sulla disciplina della risoluzione per impossibilita’ parziale sopravvenuta, sia su quella limitativa dei licenziamenti di cui alle Legge n. 604 del 1966 e Legge n. 300 del 1970 con la conseguenza che il superamento del termine determinato dalla disciplina collettiva o dagli usi o in difetto dal giudice, costituiva condizione sufficiente di legittimita’ del recesso.
La Corte ha poi sottolineato che il licenziamento per superamento del comporto era distinto dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo; che l’articolo 10, comma 4, citato era di stretta interpretazione e che, pertanto, non era applicabile alla fattispecie in esame. Infine la Corte ha escluso che la malattia del ricorrente fosse riconducibile all’attivita’ svolta non avendo mai esercitato mansioni incompatibili.
Avverso la sentenza ricorre il (OMISSIS) formulando 4 motivi. Resiste l’Azienda Agricola che deposita controricorso e memoria ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo denuncia violazione della Legge n. 68 del 1999, articolo 10, comma 4, e con il secondo vizio di motivazione.
Deduce che il licenziamento per superamento del comporto e’ licenziamento per giustificato motivo oggettivo seppure speciale e che la Corte non si era pronunciata sulla natura del recesso citando soltanto sentenze che sottolineavano la specialita’ del recesso. Il motivo e’ infondato.
Deve, in primo luogo, rilevarsi che le previsioni dell’articolo 10 citato sono tassative e non possono estendersi al licenziamento per superamento del comporto o al licenziamento disciplinare. Questa Corte ha affermato che (v Cass. 15873/2012) “In tema di licenziamento del lavoratore disabile, la Legge n. 68 del 1999, articolo 10, comma 4, – che prevede l’annullabilita’ del recesso esercitato nei confronti del lavoratore disabile (o di categoria equiparata) occupato obbligatoriamente qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista dal precedente articolo 3 della legge – riguarda soltanto il recesso di cui alla Legge 23 luglio 1991, n. 223, articolo 4, comma 9, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo e non anche gli altri tipi di recesso datoriale”.
La Corte d’appello, facendo corretta applicazione di tali principi, ha escluso che al licenziamento per superamento del comporto fosse applicabile l’articolo 10 citato.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, nel rilevare la specialita’ della figura di detto licenziamento richiamando anche la giurisprudenza di questa Corte sul punto (cfr Cass. n 5413/2003, 7730/2004 sulla riconducibilita’ alle regole dettate dall’articolo 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialita’, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilita’ parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti), la Corte di merito ha inteso proprio sottolineare che il licenziamento per superamento del comporto non e’ riconducibile alle altre ipotesi previste dall’articolo 10 citato atteso che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al quale si riferisce tale disposizione, non puo’ che essere quello per soppressione del posto (ossia il c.d. licenziamento economico) in simmetria con il licenziamento collettivo per riduzione di personale.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 2110 c.c., dell’articolo 115 c.p.c. nonche’ vizio di motivazione.
Lamenta che ne’ il tribunale ne’ la Corte d’appello hanno accolto l’istanza di consulenza tecnica al fine di provare l’affidamento al lavoratore di mansioni incompatibili che avevano determinato molte delle sue assenza dal lavoro.
La censura e’ infondata. Il dipendente che sostenga la dipendenza dell’infermita’ da una causa di servizio ha l’onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilita’ dell’affezione denunciata alle modalita’ concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita. Il nesso causale tra attivita’ lavorativa ed evento, non puo’ essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilita’, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensita’ dell’esposizione a rischio (v Cass 21825/2014, n 15269/2012).
Ne’ puo’ avere valore esclusivo e determinante la consulenza tecnica – considerato che essa non costituisce un mezzo sostitutivo dell’onere della prova, ma solo uno strumento istruttorio finalizzato ad integrare l’attivita’ del giudice per mezzo di cognizioni tecniche con riguardo a fatti gia’ acquisiti (Cass. n. 16778 del 17/07/2009). Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto che le risultanze della prova testimoniale svolta con l’accertamento delle mansioni assegnate al ricorrente consentisse di escludere gia’ da tali elementi la loro incompatibilita’ con le assenze per malattia, ne’ risultano dedotte specifiche circostanze idonee a pervenire a diverse conclusioni. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla contro ricorrente le spese processuali liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e 15% per spese generali

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