cassazione 9

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 8 ottobre 2015, n. 40352

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente

Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – rel. Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2459/2014 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 02/02/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/07/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano che ha concluso per rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) che insistono per l’accoglimento del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. La Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza del Tribunale di Rovigo in data 5 febbraio 2014, su impugnazione del Procuratore generale, ha dichiarato (OMISSIS) responsabile dei reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 200, articolo 10 ter, perche’, quale rappresentante legale della societa’ ” (OMISSIS) spa”, non versava l’imposta sul valore aggiunto relativa all’anno 2006, per un ammontare di euro 650.535,00 e per l’anno 2007, per un ammontare di euro 626.902,00 dovute in base rispettivamente alle dichiarazioni annuali entro i termini del 27/12/2007 e 27/12/2008. La Corte di appello ha ritenuto rilevante l’omesso accantonamento delle somme necessarie per il versamento all’Erario, a nulla valendo il fatto di avere destinato tali somme all’adeguamento di norme antinfortunistiche e al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, sussistendo la consapevolezza dell’omesso versamento dell’imposta.

2. Il ricorrente, per il tramite del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi:

1) Nullita’ per inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 25 Cost., comma 2, articolo 27 Cost., commi 1 e 3, e articolo 42 Cost., comma 2, dell’articolo 43 c.p., comma 1, articolo 51 c.p., e Decreto Legislativo n. 74/2999, articolo 10 ter, nonche’ per manifesta illogicita’ della motivazione ed inosservanza dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 546 c.p.p., lettera e), in quanto a fronte dell’argomentazione della sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice di prime cure, che aveva posto in evidenza il fatto che la crisi dell’impresa (che l’imputato, ex-dipendente della stessa, amministrava dal 1999) negli anni 2006 e 2007 era stata provocata dalla crisi della principale societa’ committente (societa’ (OMISSIS) spa di (OMISSIS)) e aveva evidenziato gli interventi effettuati sia per riqualificare ed adeguare la sede produttiva, sia per provvedere al pagamento ai dipendenti degli emolumenti arretrati, come pattuito a seguito degli accordi sindacali stipulati; il ricorrente ha sottolineato la correttezza dell’interpretazione dei principi giurisprudenziali in materia data dalla decisione assolutoria, essendo stato riconosciuto dal giudice la mancanza del dolo ed il fatto che l’imputato avesse posposto anche il pagamento degli emolumenti allo spesso spettanti pur di ristrutturare il processo produttivo ed adempiere ai debiti pregressi; la procura generale aveva fondato la propria impugnazione sul mancato assolvimento dell’onere probatorio ai fini dell’esclusione della responsabilita’ e sul fatto che fosse stata data priorita’ agli interessi imprenditoriali, piuttosto che a quelli di rilevanza pubblica come le imposte; la sentenza di secondo grado in maniera apodittica, ed erroneamente, aveva ritenuto non calzante i richiami giurisprudenziali indicati dal primo giudice e con poche righe di motivazione – e quindi con una mancanza quasi grafica della stessa – aveva aderito alla tesi che ritiene che la crisi di impresa non possa mai rappresentare un elemento a discarico dell’imprenditore, posta la sussistenza di un obbligo di accantonamento. Il ricorrente lamenta come tale iter logico risulti contrario al principio di legalita’, in quanto la fattispecie ascritta ha natura dolosa ed il ragionamento proposto dalla Corte veneziana degrada l’elemento soggettivo della fattispecie a connotazioni tipiche della responsabilita’ colposa ed addirittura oggettiva; inoltre l’assunto contrasta con l’arresto delle Sezioni Unite n. 37424 del 2013. Inoltre in maniera contraddittoria i giudici hanno riconosciuto le circostanze generiche all’imputato in base al suo comportamento nella situazione di crisi aziendale; 2) Violazione di legge per la mancanza dell’elemento psicologico del reato e la sussistenza della causa di giustificazione dell’adempimento del dovere, con conseguente nullita’ della sentenza, in quanto l’impresa non e’ solo un valore privatistico ma anche sociale, connesso non solo ai beni prodotti ma soprattutto alle prestazioni di lavoro dei dipendenti, i cui diritti alla retribuzione sono stati posti, dallo stesso legislatore, prima del pagamento delle imposte (si pensi al fatto che il credito del fisco e’ postergato rispetto al credito del dipendente): l’imputato, consapevole dei suoi doveri giuridici ed etici ha adempiuto innanzitutto agli obblighi impostigli, il pagamento degli arretrati ed il bene della continuita’ aziendale (per garantire posti di lavoro e stipendi) e della sicurezza sul lavoro; 3) Nullita’ della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 133 c.p., e articoli 62 bis e 65 c.p., nonche’ per manifesta illogicita’ della motivazione violazione, nonche’ inosservanza dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 546 c.p.p., lettera e), atteso che la Corte di appello, pur avendo riconosciuto la sussistenza di circostanze attenuanti generiche, non ha applicato la relativa diminuzione nel computo della pena finale.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. In tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, la giurisprudenza di legittimita’ ha ormai affermato il principio che la crisi di liquidita’ del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, puo’ essere rilevante per escludere la colpevolezza, se venga dimostrato che il soggetto tenuto al pagamento aveva adottato tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (evidenziato da Sez. 3, n. 2614 del 6/11/2013, Saibene, Rv. 258595). Giurisprudenza piu’ recente ha insistito sull’onere probatorio in capo al contribuente in riferimento non solo alla non imputabilita’ della crisi economica alla gestione dell’obbligato stesso, ma anche in merito alla impossibilita’ di fronteggiare adeguatamente detta crisi tramite il ricorso ad misure la cui idoneita’ deve essere valutata in concreto. E’ percio’ necessario che il debitore dimostri l’impossibilita’ di reperire altrimenti risorse economiche e finanziarie necessarie all’adempimento delle obbligazioni tributarie, “pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidita’, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta’ e ad egli non imputabili” (cfr. Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128, che richiama in realta’ la forza maggiore). In pratica, per tale impostazione, l’impossibilita’ oggettiva di adempiere rilevante sotto il profilo della insussistenza dell’elemento psicologico richiede l’inesistenza di un margine di scelta, per la derivazione da fatti non ascrivibili al soggetto responsabile della gestione aziendale, il quale non abbia potuto porre tempestivamente rimedio alla situazione “per cause indipendenti dalla sua volonta’ e che sfuggono al suo dominio finalistico”, (si veda Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055, Sez. 3, n. 20266 del 8/4/2014, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190, peraltro in riferimento al reato di omesso versamento di ritenute certificate Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 10 bis).

2. In realta’ e’ corretto affermare il principio – come gia’ del resto precisato nella parte motiva della decisione Sez. 3, n. 15176 del 6/2/2014, Iaquinangelo, non massimata – che ai fini dell’integrazione dell’elemento psicologico del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, la valutazione del giudice di merito deve investire la peculiarita’ della condotta omissiva tipizzata (omesso pagamento del debito IVA nei termini previsti dalla legge), condotta omissiva avente natura dolosa; per cui e’ proprio l’esistenza concreta della possibilita’ di adempiere il pagamento che costituisce indefettibile presupposto della sussistenza della volonta’ in capo al soggetto obbligato di non effettuare nei termini il versamento dovuto.

3. Nel caso di specie il giudice di primo grado aveva ritenuto assenti profili di rimproverabilita’ nelle omissioni poste in essere dal (OMISSIS), il quale, per fronteggiare una grave crisi aziendale durata alcuni anni, aveva dovuto provvedere ad adeguare gli impianti, per poter continuare l’attivita’ dell’azienda, a rispettare gli accordi sindacali quanto alla rateizzazione degli arretrati da corrispondere ai dipendenti, e ad adempiere al pagamento delle retribuzioni degli stessi, sicche’ non era stata ravvisata una concreta possibilita’ di adempimento in grado di rendere “volute” le omissioni.

4. A fronte dell’argomentato apprezzamento del giudice di primo grado in ordine all’assenza di dolo ed all’impossibilita’ di adempiere, unita alla valutazione dell’estraneita’ della crisi aziendale alle modalita’ gestorie dell’amministratore, la sentenza della Corte di appello qui impugnata si e’ limitata, con poche righe, a rovesciare il giudizio assolutorio affermando la vincolativita’ e la rilevanza dell’obbligo di accantonamento delle somme, senza peraltro chiarire le ragioni in forza delle quali si potesse ritenere, dato il quadro probatorio contenuto nel processo, che tali accantonamenti fossero stati, nel concreto, adempimenti possibili ed esigibili.

5. Tale vistosa carenza motivazione vizia irrimediabilmente di nullita’ la decisione impugnata, anche in forza del consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale “nel giudizio di appello, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito al processo, la riforma della sentenza assolutoria di primo grado, una volta compiuto il confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione, impone al giudice di argomentare circa la configurabilita’ del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di la’ di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano minato la permanente sostenibilita’ del primo giudizio” (cfr. Sez. 6, n. 8705 del 24/1/2013, Farre e altro, Rv. 254113; cfr. anche Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, Ciaramella, Rv. 262261). Nei casi suddetti, la decisione di appello dovrebbe essere dotata di un’argomentazione motivazionale con particolare forza persuasiva e di un quadro di valutazione piu’ ampio, idonei ad evidenziare gli errori e le manchevolezze del giudice di prime cure, mentre nel caso di specie e’ avvenuto il contrario: a fronte di un congruo corpus motivazionale della sentenza di primo grado, la decisione di secondo grado rappresenta un overruling privo di qualunque supporto argomentativo di giustificazione e di ricostruzione delle problematiche sollevate dalla pubblica accusa con il suo atto di appello.

6. Atteso l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso (e seppure da considerarsi assorbita con la cassazione della decisione, la fondatezza delle doglianze relative al computo della sanzione di cui al motivo n. 3), la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia per nuovo esame.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.

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