Cassazione 11

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 27 gennaio 2016, n. 3539

Ritenuto in fatto

Con ordinanza in data 17/09/2015 il Tribunale di Udine, nella parte che qui rileva, ha rigettato l’istanza di riesame proposta da C.R.D. avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso nei suoi confronti in data 19-20/06/2015 dal Gip presso il Tribunale stesso, avente ad oggetto beni in ipotesi accusatoria sottratti alla fallita Tecnogeo srl. Rilevava in particolare il Tribunale che, pacifici i fatti materiali oggetto dell’accusa, diversamente da quanto sostenuto in diritto dalla difesa del C., potevasi affermare la configurabilità del concorso formale tra i contestati reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e quello – sul quale si basava il provvedimento cautelare reale de quo – di fraudolenta sottrazione al pagamento delle imposte, in questo senso prestando adesione ad un indirizzo della giurisprudenza di legittimità che citava; osservava altresì il Tribunale che il reato fiscale in esame non potevasi ritenere prescritto, dovendosi fissare il momento consumativo dello stesso con il compimento dell’ultimo atto dispositivo perfezionante la fattispecie concreta e peraltro considerare che l’ultimo atto interruttivo della prescrizione era il processo verbale di constatazione in data 20/06/2013.

Avverso tale provvedimento in parte qua tramite il difensore fiduciario ha proposto ricorso per cassazione il C. deducendo un motivo unico.

Si duole il ricorrente della violazione di legge consistente nella considerazione da parte del Tribunale inerente la possibilità di configurazione giuridica del concorso formale tra il delitto di bancarotta per distrazione e quello di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000, dovendosi di contro affermare che il primo assorbe il secondo, peraltro essendo pacifico che i fatti materiali contestati sono assolutamente identici.

Dato atto del contrasto giurisprudenziale di legittimità (in senso favorevole Cass., Sez. 5, n. 1843/2011; in senso contrario Cass., Sez. 5, n. 42156/2011), chiede che la questione venga rimessa alle Sezioni Unite penali.

Nel merito comunque osserva che i fatti de quibus risultano tutti commessi entro il mese di agosto del 2009, quindi ben prima della novella della norma incriminatrice fiscale introdotta dalla l. n. 122/2010 di conversione del d.l. n. 78/2010, sicché anzitutto deve essere valutata ermeneuticamente la ‘clausola di riserva’ contenuta nella formulazione originaria della norma stessa. Rileva inoltre che essendo quella fallimentare e quella tributaria entrambe fattispecie sanzionatorie speciali, la prima deve considerarsi ‘più speciale’ e perciò applicabile in via esclusiva ex art. 15, cod. pen. Infine afferma che per tale ragione nel caso di specie è configurabile un ipotesi di ne bis in idem, con conseguente impromovibilità del procedimento a quo, essendo già alla fase dibattimentale ed essendo quindi stata promossa l’azione penale nei suoi confronti appunto per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. Coerentemente chiede che, previo annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata, il sequestro preventivo disposto sui suoi beni venga revocato.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

Il motivo dedotto dal ricorrente riguarda un’ unica questione giuridica ossia se si possa o meno configurare il concorso formale tra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto dall’art. 11, d.lgs. n. 74/2000 ed il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale previsto dall’art. 216, primo comma, n. 1, legge fallimentare.

Come peraltro ben indicato dal ricorrente stesso, noto è che su tale questione esiste un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, essendosi affermato sia che “È configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione. (Fattispecie relativa al delitto previsto dall’art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000 nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 122 del 2010)” sia che “La fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte – che sanziona chiunque alieni simulatamente o compia atti fraudolenti su beni al fine di sottrarsi al versamento delle imposte (art. 11 D.Lgs. n. 274 del 2000) – integra una condotta che può ben inserirsi in una complessiva strategia distrattiva, intesa consapevolmente a danneggiare colui che sui beni sottratti ha titolo per soddisfarsi; ne deriva che ove tale condotta sia finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di esso, o da questo seguita, la distrazione operata in danno del fisco non assume connotazione autonoma ma è riconducibile al paradigma punitivo dell’art. 216 l. fall., le cui condotte di distrazione, occultamento, distruzione, dissipazione sono comprensive delle condotte di simulazione o integranti atti fraudolenti di cui all’art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, di guisa che, in tal caso, si applica il principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., in virtù del quale resta integrato il solo reato di bancarotta fraudolenta – trattandosi di più grave reato – e si esclude la configurabilità del concorso tra i due delitti in relazione allo stesso fatto” (così rispettivamente, Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253479; Sez. 5, n. 42156 del 16/11/2011, Borsano, Rv. 251698).

Il ricorrente nell’illustrare le ragioni che, a suo dire, sostengono la fondatezza del secondo principio di diritto ossia quella della non concorrenzialità formale dei due reati de quibus, essenzialmente si basa sull’applicazione del principio di cui all’art. 15, cod. pen.. In questo senso, premessa l’identità fattuale delle condotte ascrittegli nei due distinti procedimenti, pendenti in fasi diverse avanti allo stesso Tribunale di Udine, aventi ad oggetto i due differenti titoli di reato; premesso altresì in diritto che tali condotte sono comunque temporalmente riconducibili alla norma incriminatrice tributaria precedente alla novella normativa del 2010, quindi con la c.d. ‘clausola di salvaguardia/sussidiarietà’, afferma che, essendo comunque più grave il delitto fallimentare, esso debba altresì considerarsi ‘più speciale’ di quello tributario.

In particolare ricorda che tale riserva, con detta novella abrogata, in favore del ‘reato più grave’ era espressamente riferita nella relazione governativa al d.lgs. n. 74/2000 proprio al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. In secondo luogo, affermata la sussistenza dell’identità della ‘materia’ come previsto – quale suo presupposto di applicabilità – dall’art. 15, cod. pen. richiamato, trattandosi di condotte latamente ‘distrattive’ e decettive degli interessi dei creditori, appunto sostiene la sussistenza di maggiori elementi specializzanti nella previsione astratta della bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Ne deriva perciò il ricorrente che nel caso di specie si configura un’ ipotesi di concorso (conflitto) apparente di norme, dovendosi fare applicazione della sola previsione incriminatrice di cui all’art. 216, comma 1, lett. a), legge fallimentare, con la conseguenza della impromovibilità dell’azione penale in ordine al reato fiscale e della correlativa revoca della misura cautelare reale de qua.

Tali argomenti giuridici, con qualche minima aggiunta, sono sostanzialmente gli stessi della citata sentenza n. 42156/2011 di questa Corte, la quale in particolare individua un rapporto di ‘continenza’ tra le due norme incriminatrici e sancisce che ‘norma continente’ debba essere considerata appunto quella fallimentare.

Ritiene tuttavia il Collegio di dover prestare adesione al più articolato ed ermeuticamente persuasivo ragionamento sviluppato nell’altra pronuncia di legittimità evocata, senza che vi sia perciò necessità di provocare l’intervento delle SU di questa stessa Corte, come anche richiesto dal ricorrente.

In questo senso deve anzitutto darsi per assodato sia che nel caso di specie i fatti contestati al C. siano gli stessi nei due procedimenti pendenti a suo carico sia che le norme incriminatrici in questione siano entrambi speciali, si che ben può divisarsi un’ipotesi di c.d. ‘specialità bilaterale’.

Ciò posto, va tuttavia subito notato che non può affatto affermarsi che esse regolino la ‘stessa materia’, dato che risulta di contro evidente che quella fiscale è preposta a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, quella fallimentare l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti. E già sotto questo primo aspetto comunque risalta la maggiore ‘specialità’ della previsione incriminatrice di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000.

Peraltro, come osservatosi nella sentenza Mazzieri, va poi notata la evidente e profonda diversità strutturale delle due fattispecie astratte, particolarmente quanto alla natura giuridica, di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare ed all’elemento soggettivo, dolo specifico la prima, dolo generico la seconda; dovendosi in ogni caso a tali elementi fare riferimento per identificare la ‘stessa materia’ (cfr. Cass. SU, n. 1235 del 28/10/2010, Giordano).

Pur non essendo evocato dal ricorrente, si deve anche rilevare, ancora condividendosi gli argomenti del precedente di legittimità appena citato, che nemmeno può farsi applicazione dell’art. 84, cod. pen., data la chiara diversità della trama lessicale del due enunciati normativi di che si tratta, dalla quale derivano le differenze sopra indicate (natura del reato; elemento soggettivo), ma anche considerata la profonda diversità della configurazione della soggettività attiva, più ristretta in quello di bancarotta fraudolenta (l’imprenditore dichiarato fallito ovvero per estensione soggettiva normativa gli organi amministrativi delle imprese societarie ed Enti assimilati), più ampia in quello fiscale, essendo astrattamente riferibile ad ogni contribuente, ancorché non imprenditore o normativamente assimilato.

In ultima analisi, ciò che maggiormente distingue i due reati è comunque il bene giuridico protetto, come sopra si è individuato, che rende la norma penale tributaria per così dire ‘specialissima’ ed impedisce il suo assorbimento in quella fallimentare quale ‘meno speciale’ sia sul piano oggettivo sia sul piano soggettivo. Tale considerazione induce peraltro a richiamare e ad uniformarsi alla condivisibile, consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale “In presenza della clausola di riserva salvo che il fatto costituisca più grave reato, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che entrambi siano posti a tutela dello stesso bene giuridico..”. (in questo senso da ultimo, Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015, Belleri, Rv. 265045, conformemente a n. 36365/2013 e n. 6250/2004). Presupposto che, per le ragioni che precedono, deve affermarsi non ricorrente nel caso in esame, nel quale si concretizza non un ipotesi di concorso apparente di norme, bensì la diversa ipotesi del concorso formale di reati ovvero della continuazione tra distinti illeciti penali di cui all’art. 81, primo e secondo comma, cod. pen..

Il ricorso deve essere quindi rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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