Cassazione 4

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 29 gennaio 2016, n. 1669

Ritenuto in fatto

Con sentenza n. 190 in data 08.03.2013 il Tribunale di Mantova ha rigettato l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. con la quale T.M. aveva chiesto dichiararsi la nullità dell’ordinanza di aggiudicazione del 23.02.2010 e del conseguente decreto di trasferimento dell’immobile in (omissis), emesso in suo favore in data 05.10.2010 nell’ambito della procedura esecutiva promossa dalla Mantovabanca 1896 Credito Cooperativo soc. coop. (di seguito, brevemente, Mantovabanca) in danno di A.S.E. .
L’opposizione era stata proposta in considerazione della circostanza che, successivamente al versamento del prezzo dell’immobile, aggiudicato al T. per Euro 51.250,00 (di cui Euro 43.000,00 in favore della creditrice procedente e il residuo per spese notarili), il perito stimatore geom. M.M. aveva depositato un’integrazione di perizia con cui riduceva il valore di stima (da Euro 75.000,00 a Euro 50.000,00), riferendo che l’unità abitativa era priva del requisito di agibilità, per essere la stessa stata revocata dal Comune di Asola con ordinanza n. 61/2007 in considerazione della presenza, nell’immobile, di elementi inquinanti (cromo esavalente in quantità ritenuta pericolosa).
Il Tribunale di Mantova ha rigettato l’opposizione, ritenendo che l’omessa indicazione nell’originaria perizia della circostanza dell’intervenuta revoca dell’agibilità non integrasse un’ipotesi di aliud pro alio, ma un vizio del bene, non azionabile nella vendita forzata ai sensi dell’art. 2922 cod. civ.; ha, altresì, rigettato la domanda subordinata di restituzione del prezzo e quella di risarcimento danni proposte dal T. nei confronti delle parti della procedura esecutiva, mentre ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento danni che lo stesso T. aveva dichiarato di proporre nei confronti del geom. M.M. “in caso di chiamata del terzo da parte di Mantovabanca 1896 cred. Coop”; ha, quindi, rigettato anche le domande proposte in via subordinata dalla Mantovabanca nei confronti del terzo chiamato M.M. ; ha, infine, condannato il T. al pagamento delle spese di lite in favore di Mantovabanca, del M. e della Fondiaria SAI, quest’ultima chiamata in garanzia dal M. .
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.M. svolgendo cinque motivi.
Ha resistito Mantovabanca, depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, affidato a unico motivo.
Anche M.M. ha resistito con controricorso; mentre la Fondiaria SAI ha depositato un controricorso tardivo al dichiarato scopo di contraddire al ricorso incidentale della Mantovabanca.
Nessuna attività difensiva è stata svolta anche in questa sede da A.S.E. .
Sono state depositate memorie da parte del ricorrente e di Mantovabanca.

Motivi della decisione

Preliminarmente va dato atto che i ricorsi proposti in via principale e incidentale condizionata avverso la medesima sentenza sono riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

1.1. Sempre in via preliminare deve ritenersi superata la questione della nullità della procura in favore degli avv.ti. Raffaella Pellini e Fabrizio Cataldo, costituitisi per conto di Mantovabanca, sollevata dalla difesa del T. nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., in considerazione dell’illeggibilità della sottoscrizione in calce a detta procura e della mancata indicazione, nel controricorso o nella procura, del nominativo del sottoscrittore.

Va qui dato continuità a un principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d’autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell’atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese. In assenza di tali condizioni, ed inoltre nei casi in cui non si menzioni alcuna funzione o carica specifica, allegandosi genericamente la qualità di legale rappresentante, si determina nullità relativa, che la controparte può opporre con la prima difesa, a norma dell’art. 157 cod. proc. civ., facendo così carico alla parte istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della firma illeggibile; ove difetti, sia inadeguata o sia tardiva detta integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui accede (Cass. civ., Sez. Unite, 7 marzo 2005, n. 4810).

Nel caso di specie, effettivamente, la sottoscrizione in calce alla procura è sostanzialmente illeggibile (risultando decifrabile solo il prenome) e, nel ricorso, così come nella procura, si allega genericamente la qualità di ‘legale rappresentante’ del sottoscrittore; tuttavia, nella prima difesa successiva all’eccezione, e cioè all’udienza collegiale, il difensore avv. Pellini ha integrato la lacuna con la chiara e definitiva indicazione del nome dell’autore della firma illeggibile.

Il Tribunale ha affidato la decisione ai seguenti passaggi argomentativi:

– relativamente all’opposizione proposta dall’aggiudicatario ex art. 617 cod. proc. civ. avverso il decreto di trasferimento e alla consequenziale domanda di ripetizione del prezzo: nell’ambito dell’esecuzione forzata non era operante la garanzia per vizi, ma poteva rilevare solo l’aliud pro alio; nella specie, la revoca dell’agibilità del bene, non risultante dall’originaria perizia di stima, sulla cui base era intervenuta la vendita, non integrava aliud pro alio, bensì un vizio redibitorio che ne diminuiva il valore (comunque superiore al prezzo pagato), ma non ne alterava la struttura essenziale o le sue caratteristiche fondamentali, trattandosi, piuttosto, di “un’idoneità parziale o quantomeno temporanea dell’immobile aggiudicato”: ciò in quanto dagli atti del giudizio risultava che gli Enti competenti avevano richiesto ai proprietari un intervento, proprio al fine di completare il perfetto isolamento e che i proprietari non erano pervenuti ad un accordo;

– relativamente alla domanda subordinata di riduzione del prezzo: non ne sussistevano i presupposti, vuoi perché essa postulava pur sempre un vizio della procedura esecutiva, nella specie ritenuto insussistente, vuoi perché neppure poteva ritenersi integrata una riduzione quantitativa del bene acquistato, vuoi ancora perché il valore del bene stimato dal c.t.u. nella propria integrazione, a seguito della rilevata inagibilità, era comunque superiore (Euro 50.000,00) al prezzo di aggiudicazione (Euro 46.000,00).

– relativamente alle domande di risarcimento danni del T. : la pretesa risarcitoria dell’opponente nei confronti delle parti della procedura esecutiva non trovava fondamento né in un titolo extracontrattuale (non risultando alcun illecito aquiliano), né in un titolo contrattuale che, quand’anche prefigurabile nell’esecuzione forzata, non era ravvisabile nella specie (non sussistendo l’aliud pro alio e non operando la garanzia per vizi); nei confronti del M. , la domanda del T. era inammissibile perché enunciata in forma condizionata (per il caso di chiamata in causa del terzo da parte della Mantovabanca) e quindi nei confronti di un soggetto che non era parte del processo e tale era rimasta anche in sede di precisazione delle conclusioni;

– relativamente alle subordinate domande di manleva e risarcimento della Mantovabanca: il rigetto delle domande dell’opponente comportava il rigetto delle domande della convenuta, formulate in via meramente subordinata.

Ricorso principale.

3.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia illegittimità per violazione degli artt. 2922, 1492, 1497, 1453 e 1455 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.. Al riguardo parte ricorrente deduce che si è dinanzi ad un’ ipotesi di aliud pro alio anche quando il bene manchi delle qualità necessarie per assolvere la sua funzione economico sociale. Nella specie, a parere del ricorrente, ricorrerebbe tale situazione, in quanto il bene aggiudicato all’asta sarebbe oggettivamente inidoneo ad assolvere la sua funzione perché non può essere abitato, a nulla rilevando l’astratta rimediabilità del vizio con interventi che nel caso specifico potrebbero comportare anche una sua parziale o totale demolizione e successiva ricostruzione; in sostanza si tratterebbe di “un inadempimento grave, comportando la necessità di un intervento edilizio strutturale”.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia illegittimità per violazione degli artt. 2922, 1492, 1497, 1453 e 1455 cod. civ. e dell’art. 32 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che sia stato considerato un vizio redibitorio la presenza di affioramenti di sostanze cancerogene nell’immobile, come tali idonee a pregiudicare gravemente la salute e a inficiare la funzione economico sociale del bene.

3.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia illegittimità per violazione degli artt. 62, 191, 192, 193, 194, 201, 569 cod. proc. civ. e 173 bis cod. proc. civ. disp. att. in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che non sia stata disposta una c.t.u., osservando che la decisione impugnata è stata affidata alle valutazioni dell’esperto stimatore, nell’erronea convinzione che si trattasse di un c.t.u. (e come tale ripetutamente indicato nella sentenza). A parere del ricorrente il ruolo dell’esperto stimatore non è affatto comparabile a quello del consulente, cui il giudice si affida per integrare le proprie cognizioni tecniche, per cui allo stesso non poteva essere chiesto di valutare quali fossero i lavori necessari per ottenere l’agibilità, vuoi perché privo delle competenze tecniche necessarie, vuoi perché, per legge, doveva limitarsi a verificare se l’immobile aveva l’agibilità.

3.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia illegittimità per violazione dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.. Al riguardo parte ricorrente lamenta la violazione della regola del giusto processo, osservando che l’origine della lite andava individuato nell’errore dell’esperto che, sin dal deposito dell’integrazione della perizia, risultava profilarsi come parte in causa, con la conseguenza che il Tribunale avrebbe dovuto escludere qualsivoglia efficacia probatoria alle indicazioni del “supposto c.t.u.”.

3.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia illegittimità per violazione degli artt. 106, 112, 269 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.. Al riguardo parte ricorrente invoca il principio dell’estensione della domanda al terzo chiamato che sarebbe applicabile anche al caso di specie di garanzia impropria e si duole che sia stata dichiarata inammissibile la propria domanda subordinata di manleva nei confronti del M. .

I primi quattro motivi, stante l’evidente connessione delle censure, sono suscettibili di esame, per buona parte unitario. Invero – indiscussa tra le parti l’astratta configurabilità di una doglianza di trasferimento di aliud pro alio nella vendita giudiziaria – la questione principale che viene proposta all’esame della Corte è quella dell’ambito di estensione della categoria dell’aliud pro alio e dell’assimilabilità alla stessa dell’ipotesi della mancanza di qualità essenziali alla funzione economico-sociale del bene, intesa con specifico riferimento ad un appartamento, nella situazione di abitabilità dello stesso. A margine si pongono le censure incentrate sulla qualità del perito stimatore e, correlativamente, sull’idoneità dei dati che il giudice dell’opposizione avrebbe tratto dal supplemento della perizia di stima.

4.1. La risoluzione della questione non può evidentemente prescindere dalla peculiare natura della vendita esecutiva, normalmente definita dalla giurisprudenza una vendita sui generis, affine alla vendita solo per gli effetti che ne conseguono e, invece, propria del processo per la struttura e la funzione, giacché realizza congiuntamente l’interesse pubblico (connesso a ogni processo giurisdizionale) e l’interesse privato (dei creditori concorrenti e dell’aggiudicatario). Consegue da ciò la giustificazione dell’esclusione, sul piano normativo, della garanzia per vizi della cosa e, in via di interpretazione, l’inapplicabilità alla vendita esecutiva delle regole dettate per la compravendita in tema di tutela dell’acquirente (e segnatamente, l’esclusione, oltre che della garanzia per vizi di cui all’art. 1490 cc, della rescissione per lesione ex art. 1448 cc, come dell’actio redhibitoria, della risoluzione del contratto, nonché dell’actio quanti minoris, della riduzione del prezzo ex art. 1492 cod. civ. e dell’azione di risarcimento del danno ex art. 1494 cod. civ.).

In particolare la giurisprudenza di questa Corte – nel porre una sostanziale distinzione, in ordine all’estensione della disciplina dell’art. 2922 cod. civ., tra vizi della cosa e mancanza di qualità, da un lato, e consegna di aliud pro alio, dall’altro lato – rinvia ad un consolidato principio (elaborato sia pure al diverso fine della soggezione ai termini di decadenza e prescrizione dell’art. 1495 cod. civ., ovvero allo svincolo da detto termine dell’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453) secondo cui si ha vizio redibitorio oppure mancanza di qualità essenziale della cosa, qualora questa presenti imperfezioni che la rendano inidonea all’uso cui dovrebbe essere destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, ovvero qualora essa appartenga, per caratteristiche strutturali, ad un tipo diverso o ad una specie diversa da quella pattuita; mentre ricorre l’aliud pro alio, qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta (Cass. 18 maggio 2011, n. 10916 n. 5202 del 07 marzo 2007, n. 5202; Cass. 25 settembre 2002 n. 13925).

In tale prospettiva l’esclusione della garanzia per vizi della cosa, prevista dall’art. 2922, comma 2, cod. civ. con riguardo alla vendita compiuta nell’ambito di procedimenti esecutivi, viene riferita dalla prevalente giurisprudenza a tutte le fattispecie prefigurate dagli artt. 1490, 1491, 1492, 1493, 1494, 1495, 1496 e 1497 cod. civ.; ne risulta, corrispondentemente, individuata la fattispecie estranea all’area di applicabilità della norma nell’aliud pro alio e inclusa in essa, sia pure non con univocità di soluzioni, anche l’aliud pro alio sub specie di mancanza delle particolari qualità necessarie per assolvere la naturale funzione economico-sociale del bene, quale risultante dalla descrizione nel bando di vendita.

4.2. Orbene – precisato sin da ora che la distinzione tra le ipotesi all’esame implica valutazioni di fatto riservate al giudice di merito – l’individuazione dei casi in cui, di volta in volta, è stato ravvisato dalla giurisprudenza l’aliud pro alio in luogo del vizio redibitorio (implicitamente sollecitata dal ricorrente, laddove postula un paragone, se non una graduazione, tra l’ipotesi dell’inedificabilità, ascritta in una decisione di legittimità nell’ambito dell’aliud pro alio, e quella dell’insalubrità che ricorrerebbe nel caso di specie) si rivela scarsamente produttiva ai fini che ci occupano, atteso che la casistica – prima ancora che essere condizionata dalle peculiarità delle fattispecie concrete, dalle valutazioni assunte dei giudici del merito e dalle scelte processuali delle parti nei singoli processi – appare spesso il risultato di una non compiuta risoluzione delle questioni circa la natura della vendita forzata e dalla compresenza in essa vuoi di elementi sostanzialistici o negoziali, vuoi di elementi di natura processuale.

In tale prospettiva, che riporta alla premessa iniziale (sub 4.1.), appare, invece, utile il richiamo ad un recente arresto di questa Corte (Cass. civ. 2 aprile 2014, n. 7708) che – affrontando il tema (contiguo a quello che ci occupa) del mezzo idoneo a far valere l’aliud pro alio nella vendita giudiziaria e individuandolo, in quello interno al processo esecutivo (qui esperito) dell’opposizione agli atti, soggetto al termine decadenziale di cui all’art. 617 cod. proc. civ. – ha proceduto ad un’approfondita rimeditazione della nozione di vendita forzata, da intendersi quale (sub-)procedimento che si inserisce nel processo esecutivo, il cui nucleo essenziale è costituito dalla combinazione tra un provvedimento dell’organo esecutivo e un atto giuridico unilaterale di natura privata (offerta del terzo acquirente). Nell’occasione, valorizzando la prevalenza degli elementi processualistici su quelli prettamente negoziali, in ragione della collocazione sistematica e della funzione della vendita esecutiva, cui è strettamente correlata un’esigenza di stabilità, è stato evidenziato, per quanto qui rileva, che:

la vendita forzata non può essere regolata sic et simpliciter dalla disciplina di quella volontaria (a cominciare da quella in tema di interpretazione, ma per proseguire con quella in tema di vizi della volontà o validità del vincolo negoziale); i suoi stessi effetti restano regolati da una disciplina speciale, nella quale si ravvisano soltanto alcuni dei principi generali della vendita volontaria, assorbiti e coordinati in vista delle esigenze pubblicistiche del procedimento esecutivo, in cui essa si inserisce;

– l’oggetto della vendita forzata va ricostruito, non già secondo l’ermeneutica contrattuale, ma in base ai contenuti degli atti del processo esecutivo, primo fra tutti il decreto di trasferimento di cui all’art. 586 cod. proc. civ. e, solo sussidiariamente, dagli atti presupposti (Cass. 21 luglio 1988, n. 4732; Cass. 19 settembre 1975, n. 3067; Cass. 9 dicembre 1966, n. 2884; Cass. 7 agosto 1963, n. 2216): oggetto che quindi si identifica nel bene prima staggito, poi stimato, descritto nel bando e con questo posto in vendita, quindi aggiudicato ed infine oggetto del decreto di trasferimento;

– l’aliud pro alio configura un’ipotesi di vizio, vale a dire di nullità, del decreto di trasferimento e cioè dell’atto del processo esecutivo col quale solo, per consolidata giurisprudenza si perfeziona il trasferimento coattivo del bene staggito; ne consegue che l’aggiudicatario di un bene pignorato ha il (solo) rimedio della tempestiva opposizione agli atti esecutivi (nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione forzata, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione, entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria) per far valere l’aliud pro alio, configurabile ove la cosa appartenga a un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza, ovvero manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale, oppure risulti del tutto compromessa la destinazione della cosa all’uso che, preso in considerazione nell’ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto.

4.3. Dando continuità e concretezza ai principi sopra esposti, il Collegio osserva innanzitutto che la diversità strutturale della vendita forzata rispetto a quella negoziale, nonché la mancanza di disciplina positiva e il carattere meramente interpretativo del fondamento dell’estensione dell’istituto alla vendita forzata risultano ostative all’adozione in materia di una nozione lata dell’aliud pro alio. L’indicata nullità del decreto di trasferimento è, dunque, ravvisabile solo in ipotesi di radicale o sostanziale diversità della cosa oggetto della vendita, in cui, venendo effettivamente meno il nucleo essenziale e l’oggetto stesso della vendita forzata, quale risulta specificato e determinato dall’offerta dell’aggiudicatario e dalla stessa determinazione dell’organo giudicante, la cosa aggiudicata risulti essere diversa da quella sulla quale è incolpevolmente caduta l’offerta dell’aggiudicatario. In tale prospettiva, e in applicazione di un criterio distintivo di natura funzionale, l’aliud pro alio va ravvisato anche quando, successivamente al trasferimento, la cosa oggetto della vendita forzata risulti del tutto inidonea, nella considerazione economico-sociale, ad assolvere la funzione propria della cosa, quale risultante dagli atti del procedimento; cosi individuandosi il tratto distintivo dell’aliud prò alio, sub specie di mancanza delle particolari qualità della cosa necessaria ad assolvere la sua funzione economico-sociale rispetto al vizio redibitorio (che rientra, invece, nell’area dell’art. 2722 cod. civ.) in una situazione di radicale e definitiva compromissione della destinazione della cosa all’uso che, preso in considerazione nell’ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l’offerta dell’aggiudicatario.

4.5. Ciò posto e precisato, altresì, che l’esame degli atti non da riscontro della tardività dell’opposizione adombrata dal P.G. in udienza, ritiene il Collegio che la decisione impugnata si collochi correttamente nell’alveo dei principi indicati, allorché ha escluso, nello specifico, l’aliud pro alio in considerazione della temporaneità della situazione di inagibilità dell’immobile e della totale recuperabilità della sua salubrità, segnatamente evidenziando che: a) già erano stati eseguiti interventi di parziale recupero, seppure da implementare, atteso che l’amministrazione comunale aveva revocato l’agibilità precedentemente concessa, richiedendo la messa in sicurezza dello stabile; b) esisteva presso l’ufficio tecnico competente “un vecchio progetto di intervento proposto dai proprietari delle unità abitative, concernente principalmente la realizzazione del taglio dei muri con inserimento di idonea guaina, rifacimento sino ad un’altezza di circa 40 cm, nonché posa di una seconda guaina al di sotto della pavimentazione”; c) non risultava, comunque, alterata la struttura essenziale o le caratteristiche fondamentali del bene “perché si tratta pur sempre di casa di abitazione, regolarmente edificata ma che richiede da parte dell’acquirente un intervento di bonifica al fine di ottenere il perfetto isolamento dal materiale inquinante”; d) i profili di difficoltà e/o onerosità degli interventi, evidenziati dall’aggiudicatario, comportavano una diminuzione del valore del bene staggito (da Euro 75.000,00 a Euro 50.000,00, comunque superiore al prezzo dell’aggiudicazione), ma non ne escludevano la praticabilità.

4.5. Si tratta, per quanto già innanzi evidenziato, di apprezzamenti, costituenti prerogativa del giudice di merito, insindacabili in questa sede e, comunque, non adeguatamente attinti con i motivi di ricorso all’esame. In particolare il tentativo di insidiarne, indirettamente, la tenuta logica, attraverso la censura di violazione delle norme che presidiano agli accertamenti tecnici nel processo e che, più in generale, governano il giusto processo, si rivela, senz’altro, vano.

Ciò vale innanzitutto per la non perspicua definizione di ‘c.t.u.’, riferita al geom. M. , atteso che l’esperto stimatore, del quale l’organo giudiziario si avvale al fine di determinare il valore di beni assoggettati a procedure esecutive, è pur sempre un ausiliario del giudice (più esattamente, appartenente alla categoria residuale degli ‘altri ausiliari del giudice’ contrapposta a quella degli ausiliari tipici e ‘nominati’, quali il consulente tecnico o il custode, cfr. Cass. civ. 14 maggio 1997, n. 4243) che opera in una situazione di terzietà sotto il vincolo del giuramento e che, in tale qualità, ha reso, nello specifico, le informazioni, di cui al supplemento della perizia di stima, richiamate nella decisione impugnata. Inoltre la circostanza che, in forza della chiamata in causa, il medesimo soggetto sia divenuto parte del giudizio di opposizione, in relazione all’azione di rivalsa esercitata, in via subordinata, dalla Banca creditrice procedente, non consente ‘ora per allora’ di sindacare la scelta del proprio ausiliario da parte del G.E..

In ogni caso le argomentazioni svolte dal ricorrente si rivelano prive di decisività, atteso che non vi è ragione di dubitare della provenienza dal Comune di Asola delle circostanze riferite nel supplemento alla perizia di stima o desunte dagli allegati, che sono state assunte a fondamento della decisione e considerato, altresì, che anche l’apprezzamento svolto in ordine alla diminuzione del valore dell’immobile (non rilevante rispetto al prezzo pagato) appare meditato dal giudice dell’opposizione alla luce della natura dei lavori preventivati.

In definitiva nessuno dei motivi all’esame coglie nel segno e vanno, dunque, tutti rigettati.

Il quinto motivo va dichiarato inammissibile, in base al principio costante nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema d’impugnazione, ove con un’unica sentenza siano adottate distinte statuizioni, ciascuna delle quali sottoposta a diverso mezzo d’impugnazione, ogni statuizione deve essere impugnata soltanto con il mezzo di gravame che le è proprio (Cass. civ. 24 marzo 2005, n. 6376). Il fenomeno si presenta costantemente, per l’appunto nel campo della impugnazione delle sentenze pronunciate sulle opposizioni esecutive, quando, com’é frequente, con lo stesso atto di iniziativa processuale sono proposte insieme domande di opposizione all’esecuzione e domande di opposizione agli atti esecutivi (Cass. 31 maggio 2010, n. 13203).

Nel caso di specie la domanda di risarcimento del danno, proposta in via subordinata dalla Mantovabanca nei confronti del terzo chiamato, della cui mancata ‘estensione’ in suo favore si duole il ricorrente, ha introdotto nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi una domanda di responsabilità soggetta al regime ordinario di impugnazione, con la conseguenza che la statuizione di inammissibilità, censurata con il motivo all’esame, era appellabile e non già ricorribile ex art. 111 Cost. per cassazione.

L’esame complessivo dei motivi comporta il rigetto del ricorso, risultando così assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Relativamente alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità si ravvisano i presupposti di cui all’art. 92 cod. proc. civ. per la loro integrale compensazione tra le parti, avuto riguardo alla problematicità delle questioni affrontate e risolte anche alla luce della recente ‘rimeditazione’ di cui si è detto in tema di vendita forzata.

La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; compensa interamente le spese del giudizio di legittimità tra le parti. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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