cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 15 luglio 2015, n. 30484

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRANCO Amedeo – Presidente

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) SPA;

avverso l’ordinanza n. 5/2015 TRIB. LIBERTA’ di UDINE, del 02/02/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

sentite le conclusioni del PG Dott. Pietro Gaeta, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) per il Fallimento (OMISSIS) s.p.a. che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il 7.10.2014 il GIP presso il Tribunale di Udine aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato e, in difetto, alla confisca per equivalente di cui all’articolo 322 ter c.p.p., ai sensi della Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, di somme d i danaro nella disponibilita’ della (OMISSIS) spa fino alla concorrenza di euro 684.250 ovvero altri beni risultanti acquisiti alla societa’ con il danaro provento dell’attivita’ criminosa e, in difetto, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di somme di danaro o di beni nella diretta disponibilita’ di (OMISSIS).

Cio’ in relazione all’incolpazione di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, formulata nei confronti di quest’ultimo, accusato quale l.r.p.t. della predetta societa’ di non avere versato l’IVA dovuta dalla societa’ in relazione alla dichiarazione 2012 per euro 684.250.

In esecuzione di tale provvedimento venivano sequestrati su conti correnti riconducibili alla (OMISSIS) 574.118,84 euro.

2. Il GIP, nel provvedimento genetico della misura in atto, aveva ritenuto sussistente il fumus del reato per quanto emergente dalla comunicazione di notizia di reato dell’Agenzia delle Entrate di Udine; il provvedimento di sequestro era stato impugnato e il tribunale del riesame aveva rigettato il riesame con ordinanza datata 4.12.2014, ritenendo non fondati i motivi attinenti l’opportunita’ di salvaguardare il valore dell’impresa e le posizioni creditorie coinvolte nel rapporto tra la procedura concorsuale e sequestro preventivo; osservava nell’occasione il tribunale friulano che la sussistenza di un concordato preventivo, non essendo allora prodotta se non la domanda, non poteva incidere sui presupposti di legittimita’ del decreto del gip e non poteva ampliare la materia di cognizione del tribunale, interessante un’area tipica della fase esecutiva nella quale si potevano prendere in considerazione le necessita’ di sottoporre a sequestro cespiti diversi.

Successivamente al provvedimento di rigetto del riesame il difensore della (OMISSIS) spa quale terza proprietaria dei beni sottoposti a sequestro aveva chiesto il dissequestro parziale delle somme vincolate, nella misura di euro 200.000, al fine di adempiere a quanto disposto dal tribunale di Udine nel decreto di ammissione al concordato preventivo, nel quale veniva fatto obbligo alla societa’ di depositare entro il 7 gennaio 2015 la somma sopraindicata quale anticipo dei costi della procedura. La richiesta era stata avanzata rappresentando i risultati favorevoli derivanti dall’ammissione al concordato preventivo per i creditori della procedura, ivi compresa l’agenzia delle entrate; in difetto infatti si perverrebbe al fallimento della societa’, con ripercussioni negative anche per il creditore erario.

Il gip in data 5.1.2015 aveva respinto la richiesta di dissequestro parziale e con ordinanza del 2.2.2015 il Tribunale di Udine aveva rigettato l’appello avverso tale provvedimento.

3. Ricorre per Cassazione, la (OMISSIS) spa in concordato preventivo deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

– Violazione o erronea applicazione di legge (articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione all’articolo 322 ter c.p., e articoli 2777 e 2778 c.c..

Ritiene il difensore ricorrente che la tesi del Tribunale di Udine di una assoluta insensibilita’ alla procedure fallimentari o comunque concorsuali del sequestro finalizzato alla confisca disposto ai sensi dell’articolo 322 ter c.p., configuri una manifesta violazione del medesimo articolo 322 ter c.p., che, esclude, in ogni caso, espressamente la confiscabilita’ di beni appartenenti a terzi estranei al reato, garantendo che tali terzi estranei non possano comunque venire lesi dalla norma penale che assoggetta a confisca, pur formalmente obbligatoria, il profitto o il prezzo del reato. Tale salvaguardia, posta a tutela dei terzi estranei al reato, si pone peraltro in perfetta linea con quanto disposto in via generale dal comma III dell’articolo 240 c.p., che tutela pienamente i terzi in ogni caso di confisca facoltativa o anche obbligatoria, ma non riferita a beni intrinsecamente pericolosi quali quelli di cui al comma 2, punto 2).

E’ peraltro un dato ormai ampiamente acquisito – si sottolinea in ricorso-che tale norma garantisca piena tutela, non solo al terzo proprietario dei beni e-straneo al reato, ma anche ai terzi creditori del soggetto a cui appartengono i beni che vantino diritti di garanzia o prelazione sui beni astrattamente assoggettabili a confisca. Tali creditori hanno infatti pieno diritto di essere soddisfatti nel rispetto dei principi generali circa il concorso dei creditori, senza che la misura penale possa portare ad uno stravolgimento a favore dello Stato delle norme che regolano tale concorso.

Il ricorrente richiama l’arresto giurisprudenziale di questa Corte di legittimita’ costituito da sez. 4, 7.3.1985, secondo cui la confisca non comporta la perdita dei diritti del proprietario e degli eventuali terzi sulla cosa, in particolare, non fa perdere i diritti derivanti dalla iscrizione del privilegio sulla cosa confiscata, e il titolare di esso partecipa alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita secondo le norme che disciplinano il concorso dei creditori. Inoltre viene ricordato che le SS.UU. di questa Corte, con la pronuncia del 24 maggio 2004 n. 29951, hanno affermato che “la confisca prevista dall’articolo 240 cod. pen. non travolge i diritti di garanzia dei terzi”. E. piu’ recentemente la sez. 5, con pronuncia del 5 dicembre 2013, pur rilevando una “…insensibilita’ alle ragioni della procedura fallimentare del sequestro di beni la cui confiscabilita’ e’ prevista dalla legge in via obbligatoria, per essere tale previsione fondata su una presunzione assoluta di pericolosita’ del bene.. ” ha evidenziato come non si possa comunque non tenersi conto del fatto che e’ proprio lo stesso Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, a far “salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede” e quindi a prendere in considerazione le “legittime pretese dei terzi sul bene”.

Il medesimo principio – viene ancora ricordato in ricorso – e’ stato ribadito anche di recente laddove si e’ affermato che “il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non e’ impedito dall’esistenza di ipoteca gravante sul bene a tutela dei diritti dei terzi, operando, per determinare la destinazione del bene stesso in caso di conflitto tra i diversi titoli, i generali principi in tema di rapporti tra creditori” (cosi’ la sent. 22176/2014, sentenza che si rileva essere stata pronunciata in materia di bene sequestrato gravato da ipoteca, ma affermante un principio applicabile per identita’ di ratio all’ipotesi del bene sequestrato oggetto di privilegio; conf. sent. 28145/2013).

La confisca per equivalente – si sostiene ancora in ricorso – qualora ricada su beni sui quali terzi creditori siano assistiti da una qualche forma di garanzia, avra’ pertanto ad oggetto il valore che residua dopo il soddisfacimento delle ragioni creditorie assistite dalla garanzia reale (in questo senso viene richiamato il dictum di SS.UU. 28.04.1999 n. 9 che aveva riconosciuto l’opponibilita’ del pegno in relazione ad un’ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cose dato in pegno).

Se quindi e’ pacifico che i creditori trovino piena tutela dinanzi ai sequestri penali finalizzati alla confisca, ove considerati uti singuli quali creditori titolari di diritti di garanzia, non sarebbe possibile ipotizzare che debbano invece soccombere di fronte alla confisca ove considerati nel loro complesso e garantiti da una procedura concorsuale tesa ad assicurare la loro soddisfazione nel rispetto dell’ordine di graduazione dei privilegi. Ed infatti una procedura concorsuale, che in ogni caso sottrae i beni alla libera disponibilita’ dell’impresa per destinarli, sotto la vigilanza degli organi pubblici della procedura – nel caso specifico, trattandosi di concordato preventivo, il Commissario Giudiziale – alla soddisfazione dei creditori nel rispetto delle norme di legge circa i rispettivi titoli di prelazione, non potrebbe certo trovare minor tutela di fronte ad un sequestro penale rispetto a quella che e’ garantita, quale terzo estraneo al reato, al singolo creditore titolare di un individuale diritto di prelazione.

Del tutto infondata risulterebbe quindi la tesi, fatta propria dall’ordinanza impugnata, secondo cui il sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria avrebbe una prevalenza assoluta sugli interessi dei creditori ponendosi del tutto al di fuori dal contesto delle norme che presiedono al loro concorso, finendo quindi per avere l’effetto di stravolgere l’ordine dei privilegi fissato dalla legge (articoli 2777 e 2778 c.c., che pongono i crediti erariali dello Stato in ogni caso in posizione subordinata rispetto a diverse altre categorie di crediti, in primis quelli dei dipendenti) garantendo, in spregio a tutti i principi delle procedure concorsuali, una prevalenza assoluta dei crediti dello Stato, rispetto a quelli dei creditori con privilegio di grado superiore.

Il ricorrente si duole che tale tesi, fatta propria del Tribunale di Udine, si fonderebbe su di una lettura manifestamente parziale e sommaria della nota sentenza n. 29951/2004 delle Sezioni Unite Penali della Suprema Corte, che ha compiutamente affrontato la problematica dei rapporti tra le varie tipologie di sequestri penali e procedure concorsuali.

Si sottolinea come non vi sia ragione per ritenere che l’opponibilita’ al sequestro di una procedura fallimentare vada negata ad una diversa procedura concorsuale, quale il concordato preventivo. Ed infatti cosi’ opinando si introdurrebbe un’irragionevole disparita’ di trattamento tra creditori insinuati in un fallimento, i cui diritti prevarrebbero sulle pretese sanzionatorie dello Stato, e creditori insinuati in altra procedura concorsuale i cui diritti andrebbero a soccombere ed il tutto senza alcuna giustificazione, posto che anche nella procedura di concordato preventivo all’impresa e’ sottratta la libera disponibilita’ dei beni, con stretta vigilanza del Commissario Giudiziale e del Tribunale, ed assicurata la loro destinazione alla soddisfazione dei creditori secondo l’ordine dei privilegi stabilito dalla legge.

Si evidenzia inoltre che la (OMISSIS) in concordato preventivo ha sempre acconsentito espressamente a qualunque prescrizione ex articolo 85 disp. att. c.p.p., che fosse ritenuta opportuna – quale il deposito delle somme nella cancelleria fallimentare a disposizione del solo Commissario Giudiziale per gli scopi della procedura – per dare la piu’ totale garanzia che le somme dissequestrate ricevano effettivamente la destinazione prevista dalla procedura concorsuale.

Il ricorrente lamenta quindi che il provvedimento impugnato integri una violazione dell’articolo 322 ter c.p., nella parte in cui salvaguarda i terzi estranei dal reato dagli effetti della confisca, e chiede che vada percio’ annullato, disponendo il dissequestro richiesto, o comunque disponendo il rinvio al Tribunale competente affinche’ lo stesso prenda i provvedimenti necessari ad assicurare il contemperamento tra gli interessi della procedura e quelli sottesi al sequestro penale gia’ disposto, anche tramite un dissequestro con prescrizioni ex articolo 85 disp. att. c.p.p..

b. Violazione di legge: omessa motivazione o motivazione meramente apparente in merito alla pertinenzialita’ dei beni sequestrati al reato. Violazione dell’articolo 322 ter c.p., confisca disposta in via diretta su beni che non costituiscono profitto del reato.

Il ricorrente deduce che l’ordinanza impugnata, pur riconoscendo che la (OMISSIS) era societa’ realmente ed effettivamente operante e quindi certo non un mero schermo fittizio dell’imprenditore, e che quindi non era assoggettabile a confisca per equivalente (SU 10561/2014 sent. Gubert) ha ritenuto il sequestro in ogni caso legittimo, trattandosi di confisca “nominalmente” diretta.

Tale confisca e’ stata pero’ operata, come risulta dallo stesso provvedimento impugnato, indistintamente sui beni (rectius sui conti) della societa’, a prescindere da qualunque verifica concreta dell’effettiva pertinenzialita’ degli stessi al reato. Un tanto, a quanto e’ dato capire, sarebbe consentito, secondo il giudice a quo – secondo quanto si rileva in ricorso – trattandosi di beni fungibili ed avendo comunque avuto la societa’ un risparmio di imposta in conseguenza del mancato versamento dell’IVA. Cosi’ opinando – ci si duole – pero’ verrebbe evidentemente a cadere ogni distinzione effettiva tra confisca diretta – che deve colpire beni che siano effettivamente frutto del reato – e confisca per equivalente, rivolta a qualunque bene del soggetto responsabile del reato, a prescindere dalla sua provenienza, nei limiti del profitto conseguito dal reato, violando nella sostanza il divieto di confisca per equivalente nei confronti di persone giuridiche che non siano meri schermi fittizi del reo, statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza Gubert e piu’ volte ribadito da questa Suprema Corte (da ultimo sez. 4 n. 5413/2015).

In sostanza potra’ parlarsi di confisca diretta solo quando la stessa attenga effettivamente a beni che costituiscano un profitto del reato (o che siano a detto profitto direttamente riconducibili), profitto del reato che deve essere effettivamente nella disponibilita’ della persona giuridica (Sez. Un. 30.1.2014 n. 10561, sez. 3 9.04.2014 n. 22922).

Difetterebbe percio’ in questo caso la benche’ minima motivazione in merito al costituire effettivamente le somme sequestrate a fine 2014 il frutto dell’omissione fiscale relativa all’IVA 2011, e non invece il frutto di altri e diversi proventi della societa’ ricevuti nel corso del tempo trascorso.

Peraltro la considerazione della fungibilita’ dei beni sequestrati non potrebbe consentire – secondo la tesi proposta in ricorso – di omettere qualunque accertamento in merito alla loro provenienza, a meno di trasformare, in palese violazione di legge, un sequestro diretto in sequestro per equivalente.

Tutto cio’ premesso e considerato, la (OMISSIS) SPA in concordato preventivo, chiede, che questa Corte Suprema voglia annullare la predetta ordinanza del Tribunale di Udine del 2.2.2015 (dep. il 4.2.2015) e, per l’effetto, disporre il parziale dissequestro delle somme depositate presso i conti correnti bancari della (OMISSIS) SPA, in concordato preventivo, nei limiti di euro 200.000,00 al fine di poter procedere al deposito presso la cancelleria fallimentare del Tribunale di Udine di un titolo bancario o postale di pari importo attestante il deposito vincolato ai fini della L.F., articolo 163, come disposto con decreto del Tribunale di Udine datato 24.12.2014, ovvero con rinvio per nuovo esame al Tribunale competente.

4. In data 12.5.2015 ha poi spiegato intervento il FALLIMENTO (OMISSIS) spa in persona del Curatore Fallimentare Dott. (OMISSIS), difeso dall’avv. (OMISSIS) del Foro di Udine.

L’interventore rappresentava che comitato dei creditori non era ancora stato costituito, per cui la nomina del difensore proveniva direttamente dal curatore.

Il Fallimento (OMISSIS) spa dichiara di intervenire nel procedimento instaurato da (OMISSIS) spa, successivamente dichiarata fallita dal Tribunale di Udine con sentenza di data 2 marzo 2015, chiedendo l’accoglimento del ricorso per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale di Udine di data 2 febbraio 2015, facendo propri i motivi di ricorso proposti dalla fallita, allorche’ in bonis.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

2. Va evidenziato in via preliminare che, come chiarito dal recente pronunciamento costituito dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 11170 del 25.9.2014 dep. il 17.3.2015, Curatela Fallimento Uniland spa, non ancora massimata, il curatore fallimentare non e’ legittimato a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro penale (in quel caso si trattava di un sequestro Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 19, ma mutatis mutandis, il principio affermato vale anche per casi come quello che ci occupa).

Evidentemente, dunque, non puo’ spiegare alcun effetto il proposto intervento.

3. Il ricorso de quo, in ogni caso, risulta legittimamente proposto dalla (OMISSIS) s.p.a allorche’ la societa’ era ancora in bonis, ancorche’ avendo in corso una procedura di concordato preventivo.

Ebbene, pur con un thema decidendum limitato (al rigetto della richiesta di dissequestro parziale dei 200.000 euro che occorrevano per il deposito da operare al tribunale di Udine quale anticipo dei costi della procedura) ed evidentemente con un petitum divenuto inattuale (non solo perche’ la societa’ e’ poi fallita, ma anche – perche’, come afferma il ricorrente la somma e’ stata poi comunque versata dalla figlia dell’amministratore attingendo a risorse economiche proprie) il caso all’odierno esame ripropone la questione del rapporto tra i provvedimenti di sequestro e confisca del profitto del reato e procedura fallimentare quando i provvedimenti di sequestro/confisca riguardino beni destinati a divenire di pertinenza della massa attiva di un fallimento.

Nel caso che ci occupa – va tuttavia evidenziato – non ha alcun rilievo, differentemente da quanto si rileva in ricorso, la tematica del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente in quanto ci troviamo di fronte, come si evince dal provvedimento impugnato e, ancora prima, da quello con cui il GIP il 7.10.2014 ha disposto la misura in atto confiscando i 574.118,84 euro presenti sui conti della societa’ quale profitto diretto del reato.

In proposito va rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno piu’ volte sottolineato come non sia rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di “profitto del reato” e come tale locuzione venga utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui e’ inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da colmare in via interpretativa (Sezioni Unite, 2.7.2008, n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri). In detta pronuncia (con riferimento alla confisca di valore prevista dall’articolo 19 del d.Lgs. 8.6.2001, n. 231) sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di “profitto dei reato” contenuta nell’articolo 240 c.p., secondo le quali: “il profitto a cui fa riferimento l’articolo 240 c.p., comma 1, deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez. Unite 24.2.1993, n. 1811, Bissoli; 17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir).

Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro, sia quello diretto che quello finalizzato alla confisca per equivalente prevista dalla Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo; a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (cosi’ questa sez. 3, 23 ottobre 2012, n. 45849). In particolare, va sottolineato che l’IVA sottratta al fisco costituisce il profitto del reato (sez. 3 n. 25890/2010; Sez. Unite 38691/2009).

La richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 10561/2014. Gubert, precisa che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non e’ confisca per equivalente, ma confisca diretta.

Peraltro, questa Corte di legittimita’ gia’ in precedenza aveva affermato che nel caso in cui il profitto del reato sia costituito da denaro, e’ legittimamente operato in base alla prima parte dell’articolo 322 ter, comma primo, cod. pen. il sequestro preventivo di disponibilita’ di conto corrente dell’imputato (sez. 6, n. 30966/2007, Puliga, rv 236984), ed ancora che e’ ammissibile il sequestro preventivo, ex articolo 321 c.p.p., qualora sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare cio’ che proviene dal reato e che si e’ cercato di nascondere con il piu’ semplice degli artifizi (sez. 6 n.23773/2003, Madaffari, rv.225727)”.

Una simile interpretazione e’ del resto obbligata anche in forza dei precedenti arresti giurisprudenziali, laddove gia’ da tempo in sede di legittimita’ si era precisato, proprio con riguardo al sequestro diretto, che la fungibilita’ del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensi’ la somma corrispondente al loro valore nominale (Sez. Un. 9.7.2004 n. 29951, e nello stesso senso sez. 6 1.2.1995 n. 4289).

4. Ci si soffermera’ poi, in relazione al secondo motivo di ricorso, sui principi relativi al concetto di profitto e di riconducibilita’ a quello del danaro o dei diretti investimenti di quello rinvenuti nel possesso del soggetto nel cui interesse sia stato commesso il reato tributario.

Per quanto riguarda il punto in esame, vanno richiamati i principi di cui alla nota sentenza delle SS.UU. n. 10561/2014, Gubert, che giovera’ ricordare: 1. E’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica. 2. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. 3. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato. 4. La impossibilita’ del sequestro del profitto del reato puo’ essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato.

E’ dunque consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica.

Tuttavia la stessa sentenza Gubert, dopo avere precisato che l’impossibilita’ del sequestro del profitto del reato puo’ essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato stesso, afferma anche il principio che non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio (e non e’ il caso che ci occupa).

Solo se il profitto del reato, come sopra precisato, non sia piu’ rinvenibile nelle casse della societa’, correttamente possono essere sottoposti a vincolo i beni dell’amministratore.

Il provvedimento impugnato, dunque, fa buon governo del precedente costituito dalla pronuncia delle Sezioni Unite “Gubert” n. 10561/2014, proprio in materia di reati tributari, laddove si legge che e’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quanto tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ ditale persona giuridica” e che dunque non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisco di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato” (viene richiamato nello stesso senso anche il precedente di questa sez. 3, n. n.45471/2014).

5. Il caso in esame deve tuttavia, tenere conto, come si diceva di premessa, del fatto che la societa’ ricorrente, all’atto del ricorso, risultava essere stata ammessa alla procedura di concordato preventivo.

Ebbene, in proposito vanno ricordati i precedenti arresti di questa Corte regolatrice secondo cui, da un lato, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, puo’ essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l’indebito arricchimento derivante dall’azione illecita, che cessa con l’adempimento dell’obbligazione tributaria (cosi’ questa sez. 3, nelle richiamate sentenze n. 43811/2014, n. 46726/2012) e, dall’altro, il mantenimento della misura ablativa e’ giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero delle imposte evase a favore dell’amministrazione finanziaria con corrispondente deminutio del patrimonio personale del contribuente, momento superato il quale non ha piu’ ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo.

La ratio legis contenuta nelle norme che prevedono il sequestro e la confisca per equivalente nei reati tributari impone di ritenere che solo l’adempimento dell’obbligazione tributaria faccia venir meno la ragione giustificativa della misura ablatoria. E nel caso che ci occupa tale adempimento non c’e’ stato.

Tuttavia – si duole il ricorrente – il mantenimento del sequestro violerebbe la par conditio creditorum della societa’, ormai dichiarata fallita, essendo stato il sequestro prima e l’eventuale confisca poi disposto in relazione al medesimo credito tributario che trova una sua precisa collocazione – prima e dopo altri – tra quelli dei concorrenti sulla massa fallimentare.

Anche a voler trascurare la circostanza che credito tributario e confisca successiva alla condanna per il reato tributario non sono la stessa cosa, anche se insistono sul medesimo quantum, ritiene, tuttavia il Collegio che occorra rifarsi al condivisibile dictum della gia’ citata, recente, pronuncia delle Sezioni Unite 11170/2015 Curatela Fallimento Uniland spa.

6. La sentenza Uniland prende le mosse proprio dal ricordare il proprio precedente, oggi invocato, costituito dalla la sentenza Focarelli (n. 29951 del 24/05/2004), che aveva esaminato il caso di un sequestro preventivo disposto in funzione della confisca facoltativa prevista dall’articolo 240 c.p., comma 1, sul profitto di delitti tributari e truffe ai danni dello Stato commessi in forma organizzata. Con quella pronuncia le SS.UU. affrontarono la questione, oggetto di un contrasto di giurisprudenza, del se fosse consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa di beni provento di attivita’ illecita dell’indagato e di pertinenza di impresa dichiarata fallita.

La sentenza Focarelli risolse il contrasto affermando la radicale insensibilita’ del sequestro alla procedura concorsuale e affidando al potere discrezionale del giudice la conciliazione dei contrapposti interessi, ovvero quelli propri della tutela penale (impedire che i proventi di illecito potessero giovare all’indagato) e quelli tipici della procedura concorsuale (tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare).

Secondo la tesi affermata dalle SS.UU. nel 2004 con la sentenza Focarelli, dunque, il sequestro penale non sarebbe precluso a condizione che il giudice dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori.

A fondamento della decisione la sentenza poneva alcune condivisibili considerazioni, ribadite dalla sentenza Uniland, sul rilievo pubblicistico degli interessi perseguiti dalla procedura concorsuale, come e’ lecito desumere anche dalla Relazione ministeriale alla legge fallimentare, e sul ruolo del curatore fallimentare, quale emerge dalle fonti del suo potere, dalle finalita’ istituzionalmente collegate al suo agire e dai controlli che presidiano la sua attivita’ gestoria, che non deve essere considerato, quindi, come un soggetto privato che agisca in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei creditori, ma piuttosto come organo che svolge una funzione pubblica nell’ambito della amministrazione della giustizia, incardinato nell’ufficio fallimentare a fianco del tribunale e del giudice delegato.

Nella sentenza Focarelli veniva effettivamente evidenziato – come si rileva in ricorso – come non fosse possibile, in linea astratta, escludere che lo spossessamento determinato dalla procedura concorsuale assorba la funzione del sequestro preventivo penale, che e’ quella di evitare che il reo resti in possesso delle cose che sono servite a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto, contemperandola con la garanzia dei creditori sul patrimonio dell’imprenditore fallito. Istanza quest’ultima alla quale non puo’ essere indifferente l’ordinamento penale (come rilevato non solo dalla citata sentenza, ma anche dai precedenti costituiti da Sez. U, n. 9 del 18/5/1994, Comit Leasing s.p.a. in proc. Longarini e Sez. U, n. 9 del 28/4/1999, Bacherotti) quando la presunzione di pericolosita’ sottesa alla misura di sicurezza inerisca non alla cosa illecita in se’ ma alla relazione che la lega al soggetto che ha commesso il reato.

Nella sentenza 11170/2015 Uniland le SS.UU. ricordano ancora come, nell’esaminare le diverse ipotesi di sequestro e confisca, la sentenza Focarelli escludesse che in ipotesi di confisca obbligatoria vi fossero margini di discrezionalita’ per il giudice, e chiariva che le finalita’ del fallimento non sono in grado di assorbire la funzione assolta dal sequestro prevalendo la esigenza preventiva “di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente pericoloso in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato; sicche’ le ragioni di tutela dei terzi creditori sono destinate ad essere pretermesse rispetto alla prevalente esigenza di tutela della collettivita’”.

7. Le SS.UU. Uniland del 2015 rilevano condivisibilmente, pero’, come le conclusioni della sentenza Focarelli – che si era occupata di una ipotesi di confisca facoltativa e, comunque, non attinente alla confisca prevista dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, su cui era incentrata la Uniland – lungi dal risolvere il contrasto giurisprudenziale, avessero creato i presupposti per altro ed ancor piu’ delicato contrasto. Ed, infatti, la conclusione (che, comunque, costituiva un obiter rispetto al thema decidendum), in ordine alla insensibilita’ della confisca obbligatoria agli interessi dei creditori e, quindi, alla procedura concorsuale sembrava essere attenuata dal riferimento, in un successivo passaggio della motivazione, alla necessita’ “di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente pericoloso”.

Inevitabilmente si verificava, pertanto, una divaricazione tra chi ha ritenuto che le Sezioni Unite avessero inteso legare il principio della insensibilita’ assoluta al fallimento alla configurazione legislativa, facoltativa o obbligatoria, della confisca, o avessero, invece, tenuto conto della natura, intrinsecamente pericolosa o meno, del bene che ne forma oggetto.

Le SSUU 11170/2015 Uniland danno conto analiticamente (alle pagg. 12-15) della giurisprudenza formatasi sul punto, richiamando alcune pronunce che rivestono interesse anche ai fini dell’odierno decidere.

La prima e’ la sentenza Sorrentino (di questa sez. 3, n. 20443 del 2/2/2007, rv 236846) pronunciata in tema di sequestro finalizzato alla confisca Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, ex articolo 12 sexies, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, secondo cui la funzione della confisca obbligatoria prevista dalla norma citata e’ simile a quella della confisca facoltativa di cui all’articolo 240 c.p., comma 1, perche’ si vuole impedire che il reo possa commettere ulteriori reati; quindi non trattandosi di res pericolose in se’ bisogna tenere conto della procedura concorsuale di analogo rilievo pubblicistico; naturalmente vi e’ la necessita’ che il curatore fallimentare agisca con particolare rigore, essendo poi il giudice a compiere le necessarie valutazioni in ordine alla effettiva compatibilita’ tra le esigenze della prevenzione penale ed il concreto svolgimento della procedura concorsuale. La sentenza Arconte (sez. 1, n. 20216 del 1/3/2013, Arconte, rv 256256), sempre in materia di confisca ex articolo 12 sexies, segue l’indirizzo della Sorrentino, precisando che il giudice, nel compiere le sue valutazioni, deve acquisire la ragionevole certezza che attraverso la procedura concorsuale i cespiti non rientreranno nella diretta o indiretta disponibilita’ del condannato.

Viene poi ancora ricordata la sentenza Grassi, pronunciata in tema di sequestro e confisca per equivalente ex articoli 322 ter e 640 quater c.p., (sez. 2, n. 31990 del 14/6/2006, rv 235129), ma di particolare rilievo rispetto al caso che ci occupa, che, dopo avere confermato il principio dettato dalla sentenza Focarelli che in caso di confisca obbligatoria il sequestro di cose pericolose e’ insensibile al fallimento, ha precisato che il profitto diretto del reato e’ insensibile al fallimento trattandosi di beni oggettivamente pericolosi data la loro pertinenza al reato.

Secondo tale condivisibile pronuncia la confisca per equivalente va trattata come la Focarelli tratta la confisca facoltativa in quanto si tratta di una misura sanzionatoria consistente in un prelievo pubblico a compensazione di un profitto illecito. Di grande rilievo e’ poi l’affermazione della sentenza Grassi – come rilevando le stesse SS.UU. Uniland – secondo cui la pretesa dello Stato deve trovare tutela nell’ambito della procedura fallimentare per il rilievo pubblicistico degli interessi perseguiti da tale procedura.

Le SS.UU. Uniland ricordano anche che, a tale prevalente indirizzo se ne e’ contrapposto un altro che, nel disciplinare i rapporti tra sequestro/confisca e fallimento ha, invece, dato rilievo alla natura della confisca. In tal senso vengono richiamate tre pronunce: le prime due (sez. 6, n. 31890 del 4/3/2008, Bruno, rv 241013; e sez. 1, n. 16783 del 7/4/2010, Profilo, ev 246994) che, in materia di prevenzione antimafia, affermano che la res confiscabile e’ per presunzione assoluta pericolosa perche’ frutto di attivita’ illecita, cosicche’, trattandosi di confisca obbligatoria, se ne deve affermare la insensibilita’ al fallimento in attuazione del principio dettato dalla piu’ volte citata sentenza Focarelli; la seconda sentenza, poi, dopo aver negato al curatore fallimentare dell’impresa alla quale appartenevano i beni confiscabili il diritto di intervenire nel procedimento di prevenzione patrimoniale, aveva riconosciuto allo stesso la possibilita’ di proporre incidente di esecuzione avverso il provvedimento di sequestro. La terza decisione ascrivibile a tale indirizzo e’ stata, invece, pronunciata proprio in tema di sequestro disposto ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001 (sez. 6, n. 19051 del 10/01/2013, Curatela fall. Soc. Tecno Hospital s.r.l., Rv 255255). Tale decisione, dopo avere riconosciuto alla confisca del profitto nei confronti dell’ente la natura di sanzione principale ed autonoma anche quando si tratti di confisca per equivalente di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, comma 2, ed averne, conseguentemente, affermato la obbligatorieta’, trattandosi di profitto ottenuto illecitamente in quanto derivante da reato, ha dichiarato, in ossequio all’obiter della sentenza Focarelli, la assoluta insensibilita’ del sequestro finalizzato a confisca obbligatoria alla procedura fallimentare.

8. Secondo le SSUU 11170/2015 Uniland per risolvere i problemi derivanti dal rapporto tra il sequestro/confisca Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 19, e la procedura fallimentare e’ necessaria una impostazione diversa da quella seguita dalla sentenza Focarelli, che fondava le sue conclusioni sul presupposto, non condivisibile, della mancanza di disposizioni legislative in materia e sulla necessita’, comunque, di contemperare le differenti e, per molti aspetti ritenute contrastanti, esigenze della tutela penale e dei legittimi diritti dei creditori.

Quelle conclusioni, ancorche’ riferite al sequestro Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 19, – sono mutuabili anche nel caso che ci occupa.

La confisca assume piu’ semplicemente la fisionomia di uno strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto, i cui effetti – appunto economici – sono comunque andati a vantaggio dell’ente collettivo, che finirebbe, in caso contrario, per conseguire un profitto geneticamente illecito.

La perfetta omogeneita’ funzionale tra la confisca per equivalente contra societatem e quelle previste dal codice penale dagli articoli 322 ter, 640 quater e 644 c.p.), prevede senz’altro una ipotesi di confisca obbligatoria.

Il legislatore pone, pero’, dei limiti importanti alla confisca, ancorche’ obbligatoria, e, conseguentemente, anche al sequestro, perche’ intende far salvi i diritti del danneggiato dal reato ed i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Tralasciando la ovvia disposizione della restituzione della parte dei beni confiscabili che va disposta in favore del danneggiato dal reato presupposto, di interesse per la soluzione del problema proposto, secondo le SS.UU. Uniland, e’ la disposizione che fa salvi “i diritti acquisiti dai terzi in buona fede”.

La logica evidente del legislatore e’ che gli enti resisi responsabili di illeciti amministrativi derivanti da reato – ma il discorso puo’ valere anche per casi come quello che ci occupa di sequestro diretto del profitto del reato tributario – debbano essere perseguiti e puniti con la confisca degli illeciti proventi al fine di ristabilire il turbato equilibrio economico, ma che cio’ non possa e non debba avvenire in pregiudizio di terzi che siano titolari di diritti acquisiti in buona fede sui beni oggetto di sequestro e confisca.

Si tratta, pertanto, di diritti acquisiti dai terzi sui beni provento dell’illecito – “la confisca del prezzo o del profitto del reato” – non estendendosi la confisca al patrimonio dell’impresa alla stregua di una pena patrimoniale.

L’espressione letterale usata dal legislatore e la logica del sistema, che vuole salvaguardare, dal sequestro prima e dalla confisca poi, provvedimenti che intendono ristabilire l’ordine economico turbato dalla illecita attivita’ dell’ente, soltanto i diritti dei terzi gravanti sui beni oggetto dell’apprensione da parte dello Stato – rilevano ancora le SS.UU. Uniland – rendono certi che salvaguardato e’ il diritto di proprieta’ del terzo acquisito in buona fede, oltre agli altri diritti reali insistenti sui predetti beni, mobili o immobili che siano.

Del resto la norma non parla di salvaguardia dei diritti di credito eventualmente vantati da terzi proprio perche’ si intendono salvaguardare soltanto i beni, che seppure siano provento di illecito, appartengano – “cose appartenenti”, secondo l’espressione usata dall’articolo 240 c.p., comma 3, – a terzi estranei al reato, o meglio all’illecito commesso dall’ente. E’ il giudice penale che, nel disporre il sequestro o la confisca, dovra’ valutare se eventuali diritti vantati da terzi siano o meno stati acquisiti in buona fede; e in caso di esito positivo di tale verifica il bene, la cui titolarita’ sia vantata da un terzo, non sara’ sottoposto ne’ a sequestro ne’ a confisca.

Coerentemente con il dictum delle SS.UU. Uniland le finalita’ dei due vincoli – quello imposto dall’apertura della procedura fallimentare e quello derivante dal sequestro e/o dalla confisca – sono, invero, del tutto differenti e tra loro non confliggenti.

Il sequestro dei beni Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 19, o quello del profitto del reato mirano a preservare i beni che si presume siano stati acquisiti illecitamente dall’ente e che possano, in caso di riconosciuta responsabilita’ dello stesso o degli amministratori che hanno operato nel suo interesse, essere oggetto di confisca, da sparizioni ed occultamenti.

Il sequestro in questione finisce dunque per presentare evidenti analogie con il sequestro conservativo penale perche’ posto a tutela dei beni sui quali possa essere esercitata la pretesa dello Stato in caso di condanna.

Se questa e’ la finalita’ dell’istituto – in cio’ ritenendo il Collegio condivisibile il dictum delle SS.UU. Uniland – e’ del tutto ovvio che in nessun caso lo Stato puo’ rinunciare alla apposizione del vincolo, neppure in caso di apertura di una procedura concorsuale.

Il vincolo apposto sui beni del fallito a seguito della apertura di una procedura concorsuale ha una indubbia rilevanza pubblica, perche’ mira a spossessare il fallito o la societa’ fallita dei beni che costituiscono la garanzia patrimoniale dei creditori e ad evitare un ulteriori depauperamento del patrimonio societario, a garanzia della par condicio creditorum.

Si tratta di finalita’ di indubbio rilievo pubblicistico che meritano considerazione e tutela. Non va trascurato in tal senso che le piu’ volte citate SS.UU. Focarelli evidenziano come il curatore non possa essere considerato come un soggetto privato che agisca in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei singoli creditori o del comitato dei creditori, ma debba essere visto come organo che svolge una funzione pubblica ed affianca il tribunale ed il giudice delegato per il perseguimento degli interessi dinanzi indicati.

Si tratta, quindi, di procedure essenziali, con indubbi profili di interesse pubblico, per il raggiungimento dei fini innanzi precisati; di conseguenza – affermano ancora le SS.UU. Uniland – anche il vincolo apposto sui beni del fallito in occasione dell’apertura di una procedura concorsuale e’ indispensabile e non puo’ essere eluso.

9. Condivisibilmente, tuttavia, le SS.UU. Uniland rilevano come i due vincoli possono coesistere.

In caso di confisca debbono, infatti, essere comunque salvaguardati i diritti dei terzi acquisiti in buona fede, e il sistema non pone alcun limite temporale alla prova della acquisizione del diritto, nel senso che non e’ vero che la titolarita’ del diritto al terzo debba essere riconosciuta prima che venga disposta la confisca.

Puo’ benissimo accadere, infatti, che al terzo venga riconosciuta l’acquisizione in buona fede del diritto dopo che sia stata disposta la confisca (cosi’, ad esempio, ricordano ancora le SS.UU. Uniland, nel caso del terzo che, per ragioni varie, non abbia fatto valere il proprio diritto nell’ambito del procedimento di cognizione e prima che venisse disposta la confisca dei beni dell’ente trattata nei paragrafi precedenti); anche in siffatta situazione deve essere salvaguardato il diritto del terzo.

Tale ultima ipotesi e’ proprio quella che si verifica in caso di apertura della procedura fallimentare, venendo il diritto del terzo riconosciuto soltanto alla chiusura della procedura fallimentare.

Tuttavia, coloro che si insinuano nel fallimento vantando un diritto di credito non possono essere ritenuti per tale solo fatto titolari di un diritto reale sul bene, perche’ sara’ proprio con la procedura fallimentare che, sulla scorta delle scritture contabili e degli altri elementi conoscitivi propri della procedura, si stabilira’ se il credito vantato possa o meno essere ammesso al passivo fallimentare.

Il curatore nel contempo individuera’ tutti i beni che debbono formare la massa attiva del fallimento, arricchendola degli eventuali esiti favorevoli di azioni revocatorie, e soltanto alla fine della procedura si potra’, previa vendita dei beni ed autorizzazione da parte del giudice delegato del piano di riparto, procedere alla assegnazione dei beni ai creditori.

E’ soltanto in questo momento che i creditori potranno essere ritenuti titolari di un diritto sui beni che potranno far valere nelle sedi adeguate.

Nel caso che ci occupa, tutto cio’ e’ al di la’ da venire.

Il creditore che non abbia ancora ottenuto l’assegnazione del bene a conclusione della procedura concorsuale non puo’ assolutamente essere considerato “terzo titolare di un diritto acquisito in buona fede” perche’ prima di tale momento egli vanta una semplice pretesa, ma non certo la titolarita’ di un diritto reale su un bene. E percio’ legittimamente su quei beni potranno insistere il sequestro penale prima e la confisca poi.

10. Manifestamente infondato e’ anche il secondo motivo di ricorso laddove si deduce violazione di legge sub specie di omessa motivazione o motivazione meramente apparente in merito alla pertinenzialita’ dei beni sequestrati al reato.

Questa Corte di legittimita’ ha gia’ in piu’ occasioni chiarito, infatti, il principio secondo cui, qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non e’ subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilita’ dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare (cfr. sez. 2, n. 21228 del 29.4.2014, Riva Fire spa, rv. 259717, fattispecie, in materia di truffa, nella quale veniva disposto il sequestro per equivalente nei confronti di una societa’, responsabile per illecito amministrativo ex I. 231 del 2001).

La lettura della sentenza delle SSUU Gubert gia’ citata evidenzia come l’attributo “direttamente riconducibili al profitto”, presente nel primo e nel terzo principio di diritto enunciati, sia all’evidenza attributo qualificante la parola “beni” e non certo le precedenti espressioni “denaro” e “altri beni fungibili”. Cio’ conseguirebbe non soltanto al chiaro tenore letterale della espressione (“quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ della persona giuridica” ed ancora “quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario”), ma alla natura stessa del denaro, bene fungibile per eccellenza.

Identiche espressioni sono state del resto utilizzate da questa Corte di legittimita’ anche in una successiva sentenza, intervenuta sempre in materia di reati tributari, laddove si e’ nuovamente precisato che “e’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica.” (sez. 3 n. n.22922/2014), ove la diretta riconducibilita’ al profitto e’ di nuovo riferita, all’evidenza, a beni diversi dal profitto stesso, e non certo al denaro o ad altri beni fungibili, per loro natura non suscettibili di precisa identificazione.

Esplicito sul punto e’ anche l’arresto giurisprudenziale n. 37846 del 7.5.2014, Aiello, non mass., che, peraltro, si e’ collocato nel solco costituito dalla pronuncia delle Sez. Unite Focarelli del 2004.

In tale ultima occasione, piu’ volte ricordata, le SS.UU. esaminarono proprio la questione dei limiti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di somme di denaro che costituiscono “profitto del reato”. E affermarono, condivisibilmente, che tale sequestro deve ritenersi sicuramente ammissibile sia allorquando la somma si identifichi proprio in quella che e’ stata acquisita attraverso l’attivita’ criminosa sia ogni qual volta sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare cio’ che proviene dal reato e che si e’ cercato di occultare (sez. 6, n. 23773 del 25.3.2003, Madaffari), rilevando essere evidente, a tal proposito, che la fungibilita’ del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensi’ la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta, purche’ sia attribuibile all’indagato (sez. 6, n. 4289 del 1.2.1995, Carullo).

E’ vero che nell’occasione le SS.UU. precisarono che deve pur sempre sussistere, comunque, il rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, tra il danaro sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito (utilita’ creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa) e, in particolare, in relazione agli illeciti fiscali, che devono escludersi collegamenti esclusivamente congetturali, che potrebbero condurre all’aberrante conclusione di ritenere in ogni caso e comunque legittimo il sequestro del patrimonio di qualsiasi soggetto venga indiziato di illeciti tributari.

Ma sul punto ritiene il Collegio che occorre essere chiari. Di fronte ad un reato, come quello che ci occupa, la cui condotta si sostanzi nell’omissione di un versamento di una somma di danaro all’Erario, ad un Ente Previdenziale o a chicchessia, il profitto si identifica nel risparmio di spesa. E se nelle casse di colui (persona fisica o societa’) su cui gravava l’obbligo di versamento viene rinvenuto del danaro, trattasi di profitto sequestrabile direttamente riconducibile al reato.

Reiteratamene, sul punto, questa Corte ha affermato che la nozione di profitto confiscabile va individuata nel vantaggio patrimoniale di diretta derivazione dal reato (cfr. sez. 6, n. 37556 del 27.9.2007, De Petro Mazarino, rv. 238033). E le Sezioni Unite hanno ribadito il principio secondo cui, in tema di reati tributari, il profitto confiscabile anche nella forma per equivalente e’ costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumarne del reato e puo’ dunque consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez. un., n. 18734 del 31.1.2013, Adami, rv. 255036.

Ma vi e’ di piu’. Non e’ necessario che il danaro rinvenuto sia liquido.

Questa Corte Suprema, condivisibilmente, ha precisato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’articolo 322 ter c.p., costituiscono “profitto” del reato anche gli impieghi redditizi de. denaro di provenienza delittuosa e i beni in cui questo e’ trasformato, in quanto tali attivita’ di impiego di trasformazione non possono impedire che venga sottoposto ad ablazione cio’ che rappresenta l’obiettivo del reato posto in essere (sez. 6 n 11918 del 14.11.2013 dep. il 12.3.2014, Rossi, rv. 262613). E, ancora di recente e’ stato ribadito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro, costituente il profitto del reato, puo’ colpire sia la somma che si identifica proprio in quella che e’ stata acquisita attraverso l’attivita’ criminosa sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita (sez. 2, n. 14600 del 12.3.2014, Ber Banca spa, fattispecie relativa al sequestro preventivo di denaro, titoli, valori, beni mobili, immobili ed altre utilita’ nella disponibilita’ di una banca, corrispondenti al prezzo de. reato di market abuse”, commesso dai legali rappresentati della banca medesima).

11. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *