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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 1 ottobre 2014, n. 40543

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio Felice – Presidente
Dott. GRILLO Renato – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/05/2013 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. ROMANO Giulio che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione quanto ai ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS).
Rigetto del ricorso della (OMISSIS);
uditi per gli imputati l’avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza emessa in data 15 maggio 2013, in riforma della sentenza del Tribunale di Tivoli del 7 marzo 2011, appellata da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine al reato di cui al capo E (falsita’ ideologica commessa da privato in atto pubblico) perche’ estinto per prescrizione eliminando la relativa pena e rideterminandola nei confronti del (OMISSIS) e della (OMISSIS) per i reati di cui ai capi A (lottizzazione) e B Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, (articolo 44, lettera b)) in mesi cinque di arresto e euro 20.000 di ammenda ciascuno e riducendola nei confronti del (OMISSIS) per i reati ascrittigli in cinque mesi di arresto ed euro 20.000,00 di ammenda.
Ha confermato nel resto l’impugnata sentenza.
1.1. Per quanto qui interessa, con specifico riferimento alle imputazioni per le quali e’ stata riportata condanna in appello, ai tre ricorrenti era contestato il reato (capo a) previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 30 e articolo 44, comma 1, lettera c) per aver proceduto alla lottizzazione abusiva dell’area ubicata in (OMISSIS).
In particolare, su area destinata dal P.R.G. a zona agricola vincolata (E4), venivano richiesti ed ottenuti 67 permessi di costruire in sanatoria ai sensi della Legge n. 326 del 2003 sul condono edilizio, per complessivi sette fabbricati agricoli per cambio di destinazione d’uso da agricolo a residenziale o per ristrutturazione edilizia di una porzione di fabbricato accessorio, su documentazione predisposta dal (OMISSIS) e previa istruttoria del (OMISSIS) presso l’U.T.C..
Veniva quindi prodotta documentazione palesemente falsa in quanto riproducente gli stessi interni per piu’ edifici (peraltro con opere ancora da ultimare che ne escludevano comunque la modifica per destinazione d’uso) con la rappresentazione in piu’ casi di infissi ed altezze non compatibili tra interni ed esterni e comunque inidonea a consentire qualsivoglia valutazione in merito alla consistenza e volumetria. Successivamente, ottenuta a sanatoria, procedevano alla rapida demolizione di cinque fabbricati presentando sette DIA per demolizione dei fabbricati condonati e cinque DIA per ricostruzione dei fabbricati precedentemente demoliti, il tutto in assenza di adeguata documentazione grafica e fotografica, con spostamento di quattro edifici in altro sito, con frazionamento di superfici e volumetrie tali da portare le unita’ abitative dalle originarie 37, indicate nella richiesta di condono, a circa 66, con modifiche prospettiche e di sagoma degli edifici ricostruiti. Il tutto determinando una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni agricoli in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione.
Era inoltre contestato il reato (capo b) previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera b) TUE perche’ in assenza di valido permesso di costruire realizzavano interventi di demolizione e parziale ricostruzione di cinque edifici (di cui al capo a) a destinazione agricola.
1.2. La Corte territoriale e’ giunta a tali conclusioni sulla base principalmente degli approdi peritali e della prova logica, ritenendo che le supposte modifiche di destinazione d’uso non fossero veritiere e sviluppando l’indagine essenzialmente sulle foto allegate alle domande dagli interessati atteso che il perito aveva riferito che la documentazione presente in atti era completa e formalmente regolare.
Al medesimo approdo, come si da atto nella sentenza impugnata, era giunto, nel corso del giudizio di secondo grado, anche il consulente di parte nominato dalla Procura generale, il quale aveva evidenziato come la documentazione fotografica allegata alle richieste di condono edilizio, per quanta riguardava gli esterni, mostrava edifici in evidente stato di fatiscenza e inabitabilita’, mentre, per quanto riguardava le immagini fotografiche degli interni, mostrava quasi unicamente dei locali igienici e cucine, spesso perfettamente identici tra loro, sia come disposizione che come inquadratura fotografica e luci, identita’ tali che lasciavano supporre che si trattava della stessa immagine riproposta per piu’ unita’ immobiliari.
1.3. La Corte del merito ha ricordato che, in data 24 novembre 2004, l’ing. (OMISSIS) aveva asseverato una perizia in merito allo stato e alla consistenza delle opere, opere che avevano destinazione residenziale e/o accessoria alla residenziale e in minima parte destinazione mista artigianale/commerciale e si affermava che i fabbricati, necessitando di accurata opera di manutenzione e riconversione funzionale, erano stati sottoposti a ristrutturazione edilizia tra gli anni 1979 e 1985 senza alcun titolo autorizzativo.
In data 9 dicembre 2004, la Agricola Lieta presentava domande di sanatoria per i fabbricati A, B, C, D, E, F, H e, nella descrizione dell’abuso, si riferiva di una ristrutturazione edilizia di fabbricati eseguita per frazionamento e modifica della destinazione a civile abitazione.
I successivi elaborati progettuali, le descrizioni dei luoghi e lo stato delle opere, quali atti necessari per ottenere i condoni e presentare le dichiarazioni di inizio attivita’ (d’ora in poi Dia), furono curati dall’ing. (OMISSIS).
In data 6 aprile 2005 venne eseguito sopralluogo dal (OMISSIS) che attestava la regolarita’ quanto a volumetria e superfici; il 19 aprile 2005 avvenne il rilascio dei permessi di costruire in sanatoria; il 3 maggio e il 18 luglio 2005 la presentazione della Dia di demolizione interna dei fabbricati; il 20 giugno e 26 ottobre 2005 la presentazione della Dia di ricostruzione sulle stesse aree, il 6 dicembre 2005 la Dia per lo spostamento della localizzazione dei fabbricati.
1.4. Da cio’ la Corte territoriale ha logicamente dedotto che, nel giro di un anno, si realizzo’ una trasformazione radicale del territorio con una vera e propria lottizzazione materiale (raddoppio delle unita’ prima esistenti e destinazione residenziale abitativa per circa 70 appartamenti), attraverso l’utilizzo dello strumento delle Dia sia per demolizione-ricostruzione, sia per lo spostamento dell’area di sedime, il tutto in zona che non era vincolata come agricola E4, ma come agricola E1; le Dia erano state gli strumenti giuridici formalmente e apparentemente legittimi per realizzare in progressione cio’ che si rivelo’ essere una lottizzazione non autorizzata del territorio, facendo gravare su di esso un complesso residenziale abitativo mai esistito in precedenza.
1.5. Secondo la Corte romana, le foto allegate alle domande di condono dimostravano inequivocabilmente che si tento’ di supportare il mendacio facendo passare le scarne immagini di pochi locali come interventi edilizi abitativi (solo cucine e bagni, utili anche solo per il pernottamento in giornata) e come foto riferite a tutti gli immobili dei quali si chiedeva il condono.
Non fu dunque un caso che il consulente tecnico del pubblico ministero ed il perito del primo grado non potettero verificare alcun “ante operam” perche’ quanto era stato condonato era stato subito demolito: era cioe’ necessario evitare immediatamente controlli piu’ approfonditi da parte dei funzionari pubblici dopo essersi assicurati l’iniziale e compiacente controllo del (OMISSIS), ritenuto percio’ concorrente nel reato.
Il (OMISSIS) presento’ invece i grafici e la progettazione necessaria.
Cio’ spiega, secondo la Corte del merito, anche l’insolita prassi di presentare in un secondo momento le Dia di ricostruzione, la quale non sarebbe mai avvenuta in quei termini perche’ due mesi dopo si sarebbero delocalrzzati i fabbricati, quindi una Dia di demolizione e ricostruzione insieme avrebbe reso meno agevole lo spostamento poiche’ sarebbe stato necessario demolire ancora per spostare, il che dimostrava ulteriormente il piano iniziale di giungere a una lottizzazione in area diversa della proprieta’ agricola con edificazione di molti appartamenti.
1.6. Una siffatta operazione non poteva essere posta in essere se non con la complicita’ essenziale del funzionario addetto, vuoi come titolare dell’ufficio, vuoi come controllore diretto, alle domande di condono e all’ufficio Dia.
Entrambi i Giudici del merito hanno stimato irrilevante la dichiarazione dalla quale sarebbe risultato che il (OMISSIS) non si occupo’ delle Dia in quanto solo titolare dello Sportello unico per l’edilizia (Sue).
I controlli non vi furono ed era incontroverso che proprio e solo il (OMISSIS) esegui’ l’unico iniziale sopralluogo per la verifica delle volumetrie e superfici quando le domande in sanatoria non riguardavano tali aspetti, bensi’ la modifica delle destinazioni d’uso degli immobili sicche’, secondo la Corte territoriale, ben altro controllo avrebbe dovuto effettuare il (OMISSIS) nell’aprile 2004, perche’ a quella data egli avrebbe potuto constatare de visu gli interni dei singoli fabbricati per verificare la corrispondenza rispetto a quanto veniva dichiarato. Mancando tale accertamento iniziale (si trattava di circa 70 domande in sanatoria e anche solo la quantita’ avrebbe dovuto mettere sull’avviso il funzionario a cio’ preposto), gli atti successivi apparivano tutti in qualche modo leciti perche’ la Dia era lo strumento consentito anche dalla normativa regionale per le ristrutturazioni edilizie e per lo spostamento dell’area di sedime.
In virtu’ del falso iniziale nelle domande in sanatoria e in virtu’ del contrasto totale delle costruzioni erette ed erigende con la destinazione della zona, restavano pienamente integrati e sussistenti i reati urbanistici a carico della (OMISSIS), titolare e principale interessata allo sfruttamento residenziale della zona di proprieta’, del (OMISSIS), quale tecnico della societa’ privata che si occupo’ di tutte le pratiche e progetti necessari a supportare il falso e ad eseguire le successive e apparenti legittime Dia, del (OMISSIS) che non poteva essere stato indotto in errore proprio per la qualita’ del suo lavoro e delle sue competenze a fronte di circa 70 domande e a conoscenza sin dall’inizio di quanto posto a base delle successive DIA.
2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorrono per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS).
2.1. Quest’ultima, con due ricorsi per avv. (OMISSIS) e per avv. (OMISSIS) (il quale ha fatto pervenire dichiarazione di rinunzia alla prescrizione da parte della ricorrente (OMISSIS)), deduce, sotto plurimi profili, l’errata applicazione della legge penale e il difetto di motivazione su punti decisivi della controversia (violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e lettera e)), mancanza di motivazione e sua manifesta illogicita’ in ordine ai reati di cui ai capi a) e b) ed assenza della motivazione in ordine alla conferma della confisca e demolizione di tutte le opere in sequestro.
La ricorrente sostiene che la Corte territoriale, fondando la pronuncia di condanna sulla ritenuta falsita’ di quanto rappresentato con la domanda di condono, ha di fatto omesso di motivare sui rilievi mossi con l’atto d’appello alla sentenza di primo grado; ha interpretato erroneamente i fatti di causa avendo pretermesso di considerare la indiscussa legittimita’ delle preesistenze (trattandosi di fabbricati al servizio dell’azienda agricola edificati antecedentemente al 1942); ha altrettanto erroneamente ritenuto che non vi fossero i presupposti per la presentazione delle domande di condono delle quali rilevava la falsita’ e tanto persino con riferimento ai fabbricati D e F per i quali non veniva richiesta alcuna sanatoria per cambio di destinazione d’uso ne’ tantomeno detti fabbricati erano stati oggetto di demolizione, ricostruzione e successiva delocalizzazione.
I ricorsi si diffondono nella censura dell’impugnata sentenza evidenziando talune anomalie procedimentali che, in quanto tali, non potevano essere dai Giudici del merito poste a fondamento della pronuncia di colpevolezza.
Affrontano la problematica circa la ritenuta non rispondenza al vero delle modifiche di destinazione d’uso e, dunque, la produzione in sede di sanatoria di documentazione fotografica considerata non rispondente alla realta’ dei luoghi.
Si assume che, con riferimento alla distribuzione interna dei fabbricati, la Corte si sarebbe uniformata a quanto affermato sia dal consulente tecnico del P.M. che dal perito relativamente alla mancanza di una rappresentazione grafica “ante operam”, laddove la normativa sul condono edilizio non richiedeva una rappresentazione grafica della situazione “ante operam” ma unicamente una rappresentazione dello stato effettivo delle opere abusive.
Avuto riguardo, invece, al materiale fotografico allegato alle domande di condono, nessun rilievo sarebbe stato dato alla circostanza evidenziata dalla difesa secondo cui non vi fosse prova alcuna che le foto contestate (che per altro costituivano una minima parte – 27 su 67 pratiche – di quelle prodotte) fossero quelle effettivamente allegate dalla societa’.
Si rappresenta come l’indagine, che ha poi originato il procedimento, sia nata a seguito della pubblicazione (successiva al rilascio delle sanatorie edilizie ed al sequestro preventivo) da parte di un giornale locale di un articolo corredato anche da alcune foto degli appartamenti incriminati con segnalazione di alcune presunte anomalie.
Cio’ autorizzava a ritenere che qualcuno, senza permesso, avesse avuto accesso ai fascicoli presenti nell’ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), manomettendoli e provocandole la sparizione.
La Corte, a fronte di tali segnalate e marcate anomalie, non si sarebbe fatta carico di ipotizzare quanto fosse logicamente prevedibile ossia che qualcuno avesse inserito le foto nelle singole pratiche e, in molte di esse, copia della stessa foto al fine di dimostrare l’irregolarita’ delle sanatorie concesse: attivita’, questa, da inquadrare in una lotta politica che, all’epoca dei fatti, tendeva a colpire la classe dirigente locale.
Tant’e’ che le stesse pratiche di condono non sono state oggetto di produzione documentale per tutta la fase processuale celebrata innanzi al Tribunale, pur avendone la difesa reclamato la discovery segnalando l’anomalia costituita dal fatto che il corpus delicti fosse sottratto al contraddittorio e solo alla penultima udienza dibattimentale, dopo una reiterata ordinanza del giudice e precedenti dinieghi, le pratiche sono state prodotte a campione dall’accusa.
A fronte di tale documentata deduzione difensiva, la Corte d’appello ha omesso in motivazione qualsivoglia riflessione in ordine alle suddette circostanze, fondando un’affermazione di responsabilita’ sulla base di foto pienamente disconosciute dalla ricorrente attesa la mancanza, sulla fantomatica documentazione inserita nelle pratiche, della firma, del timbro della societa’ ed in particolare del numero di protocollo di accettazione da parte del Comune.
Peraltro la demolizione e la conseguente ricostruzione dei fabbricati doveva ritenersi legittima perche’ gli interventi erano stati eseguiti nel rispetto della normativa urbanistica, che la demolizione e la ricostruzione, quanto allo specifico interevento realizzato, interessavano un intervento eseguito senza modifica della sagome ne’ aumento dei volumi.
Allo stesso modo, la Corte di appello e’ pervenuta con motivazione apodittica a ritenere anomala la delocalizzazione di fabbricati, concludendo che lo spostamento avesse prodotto un aggravio del carico urbanistico.
In realta’, lamenta la ricorrente, la Corte e’ pervenuta a tale convincimento sulla base di una petizione di principio presupponendo, contrariamente a quanto documentato dalla difesa, che fosse stata illegittimamente modificata la destinazione d’uso laddove era stato ricostruito cio’ che prima gia’ esisteva senza alcuna negativa ricaduta sul territorio.
Si chiede pertanto l’annullamento, anche parziale (quantomeno con riferimento a tutte le pratiche di condono ritenute sin dal principio regolari ed agli edifici interessati), della gravata sentenza con ogni conseguenza di legge e con relativa revoca della confisca quantomeno in ordine agli edifici D e F che non sono stati interessati da alcun intervento edilizio.
2.2. (OMISSIS) affida il gravame a sei motivi.
Con i primi tre motivi, attraverso i quali deduce la contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione (violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)), lamenta che la Corte d’appello, in presenza di una perizia asseverata (ing. (OMISSIS)) e dell’accatastamento del geom. (OMISSIS) non abbia ritenuto provata la modifica della destinazione d’uso dei fabbricati, ritenendo che le foto allegate alle pratiche di condono corroborassero il cambiamento della destinazione d’uso (primo e secondo motivo), e non abbia tenuto conto, ignorandola, della perizia dell’arch. (OMISSIS), limitandosi a riportare ampi stralci della consulenza del P.G. (terzo motivo).
Con il quarto motivo deduce la violazione di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita’ (violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)) per avere la Corte territoriale escluso che la documentazione in sequestro fosse stata manomessa senza aver conferito alcuno specifico quesito in tal senso e percio’ utilizzando prove illegittimamente acquisite per fondare la decisione.
Sostiene che, essendo stati sollevati, sin dal primo grado, dubbi sulla genuinita’ della documentazione posta a fondamento della prova d’accusa, la Corte ritenne di nominare un perito al quale neppure poteva essere posto il quesito di riferire circa la bonta’ o la rispondenza al vero della documentazione utilizzata nel giudizio di merito.
Tuttavia la Corte d’appello, sul rilievo che il perito avesse accertato la completezza e la genuinita’ della documentazione processualmente acquisita, fondava su tale assunto e su atti non utilizzabili il proprio convincimento in violazione del comb. disp. ex articoli 191 e 526 c.p.p..
Con il quinto motivo denuncia l’errata applicazione della legge penale e manifesta illogicita’ della motivazione in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)).
Con il sesto motivo lamenta l’illogicita’ della motivazione in merito alla determinazione della pena attesa la incomprensibilita’ dei criteri adottati per irrogarla.
Con separata memoria eccepisce la maturata prescrizione.
2.3. (OMISSIS) affida le doglianze ad un unico complesso motivo con il quale deduce la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione nonche’ la manifesta illogicita’ risultante dal testo del provvedimento impugnato (violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e)).
Assume il ricorrente come la sentenza impugnata si caratterizzi innanzitutto per l’assoluta carenza di motivazione a sostegno della pronuncia di condanna.
Nel caso di specie, la Corte avrebbe omesso tutte le argomentazioni indispensabili al fine di rendere comprensibile e completo l’intero iter logico seguito in ordine alle risposte da dare alle istanze avanzate dall’appellante.
La Corte avrebbe in particolare omesso qualsiasi valutazione delle prove documentali depositate dalla difesa dell’imputato (nella specie la certificazione da parte dei responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS), attestante la totale estraneita’ del (OMISSIS) alle Dia oggetto del capo di imputazione), allegate altresi’ alla consulenza tecnica di parte i cui esiti non sono stato tenuti in alcuna considerazione dal giudice d’appello, il quale avrebbe fondato l’affermazione di responsabilita’ del ricorrente sull’apodittica affermazione che gli interessati dovevano necessariamente avvalersi del contributo delittuoso di un intraneo all’ufficio tecnico del comune di (OMISSIS) identificandosi immotivatamente nel (OMISSIS) il concorrente nei reati contestati.
Assume che, avuto in ogni caso riguardo all’epoca di consumazione dei reati ascritti, gli stessi sarebbero ampiamente prescritti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per le seguenti ragioni.
2. I primi quattro motivi del ricorso (OMISSIS) e i motivi dei ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto tra loro strettamente collegati, devono essere congiuntamente esaminati.
2.1. La ratio decidendi della sentenza impugnata fonda sulla ponderata condivisione degli approdi cui e’ giunto il primo giudice e sugli esiti decisivi della perizia disposta nel corso del giudizio di appello attraverso la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, essendosi la Corte territoriale, contrariamente all’assunto esternato dai ricorrenti, fatta ampiamente carico dei rilievi formulati dagli appellanti con il gravame e riportati compiutamente a pag. 1 e 2 della sentenza impugnata.
2.2. Il Tribunale aveva ritenuto la fondatezza della prospettazione accusatoria sul presupposto che l’istruttoria dibattimentale avesse provato come la societa’ Agricola Lieta s.r.l., in seguito divenuta s.p.a., della quale (OMISSIS) era amministratore unico, dapprima avesse falsamente attribuito, in numerose domande di condono edilizio, a cinque fabbricati di proprieta’, facenti parte di un’azienda agricola in disuso, una destinazione residenziale inesistente o esistente in misura decisamente inferiore e quindi, una volta ottenuti, grazie anche alla complicita’ del (OMISSIS), i permessi di costruire in sanatoria, come avesse utilizzato la volumetria illecitamente conseguita per realizzare, in particelle di terreno differenti da quelle sulle quali insistevano i precedenti edifici, ma pur sempre ricadenti in zona agricola, un complesso immobiliare composto da settanta unita’, oltre a garage e altri locali accessori.
Il Tribunale era giunto a tale conclusione sulla base, tra l’altro, del fatto che i vani rappresentati nelle fotografie prodotte a corredo delle istanze di condono, nella stragrande maggioranza dei casi, non corrispondevano, come ritenuto anche dai consulenti di taluni imputati ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), agli ambienti esistenti all’interno degli edifici oggetto delle richieste di sanatoria.
Secondo il primo giudice pertanto le foto dei vani allegate alle domande di condono non rappresentavano lo stato in cui versavano le porzioni dei manufatti e la ragione di cio’ doveva rinvenirsi nel fatto che, in precedenza, non era intervenuto alcun cambio di destinazione d’uso posto a fondamento delle domande di definizione degli illeciti amministrativi.
2.3. In buona sostanza, prima del 31 marzo 2003, termine per poter accedere ai benefici del condono occorrendo che le opere abusive fossero ultimate entro tale data, i manufatti esistenti in loco non erano stati attinti da alcun abuso edilizio ma era stato simulato un pregresso intervento in assenza di idoneo titolo abilitativo perche’, documentando falsamente tale pregresso abuso, si poteva accedere al condono e alla conseguente demolizione dei pregressi manufatti, cui sarebbe seguita la ricostruzione di essi ma non piu’ come fabbricati agricoli, cosi’ come la zona originariamente consentiva sulla base degli strumenti urbanistici, bensi’ di fabbricati ad uso residenziale, appositamente sanati attraverso il ricorso al mendacio, con radicale e definitivo mutamento della vocazione agricola della zona.
2.4. Con i motivi di appello, i ricorrenti avevano, cosi’ come hanno reiterato con il presente gravame, contestato la ratio essendi della decisione di primo (e di secondo grado) sostenendo di non aver allegato alle pratiche di condono fotografie rappresentanti una falsa situazione dei luoghi e che anzi le pratiche erano state manomesse sicche’, in presenza di tali marcate anomalie, non era predicabile nei loro confronti alcuna affermazione di responsabilita’.
2.5. La Corte di appello ha allora rinnovato l’istruttoria dibattimentale ed ha dato ingresso a perizia per accertamenti circa l’esistenza e la completezza delle pratiche di sanatoria e delle Dia e per una valutazione ulteriore su detto materiale e sulla corrispondenza di esso rispetto allo stato dei luoghi in virtu’ delle leggi vigenti, con particolare approfondimento per i fabbricati interessati alla modifica di localizzazione (posto che per i fabbricati D ed F si prospettava il cambio di destinazione d’uso in commerciale e quali cantine accessorie alle residenze).
2.6. La Corte territoriale, con logica ed adeguata motivazione insuscettibile, come tale, di essere sottoposta al sindacato di legittimita’, ha ritenuto, anche sulla base di stringenti considerazioni logiche, che, anteriormente al 31 marzo 2003, non vi fosse stata alcuna modificazione della destinazione d’uso dei fabbricati e che tale cambiamento fosse stato artificiosamente precostituito per commettere i reati contestati.
2.7. I ricorrenti obiettano che tale prova i Giudici del merito avrebbero principalmente tratto dallo scrutinio della documentazione fotografica allegata ad alcune (neppure tutte) domande di condono e insinuano il dubbio che, non avendo essi alcuna necessita’ di corredare le pratiche della documentazione fotografica raffigurante l’ante operam ma al piu’ di raffigurare lo stato attuale degli immobili, le pratiche siano state manomesse e che dunque la prova documentale non fosse affidabile.
3. Le obiezioni sono palesemente inconsistenti.
Va innanzitutto ricordato che l’articolo 32 (misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attivita’ di repressione dell’abusivismo edilizio, nonche’ per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di suoli demaniali) Decreto Legge 30 settembre 2003, conv. in Legge 24 novembre 2003, n. 326 stabilisce, al comma 35, che la domanda di cui al comma 32 (e cioe’ la domanda relativa alla definizione dell’illecito edilizio) “deve essere corredata della seguente documentazione: a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell’articolo 47, comma 1, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo (…)”.
Ne consegue che la documentazione fotografica rappresenta un elemento aggiuntivo ma costituivo, anche solo dal punto di vista formale, di una regolare pratica edilizia presentata ai sensi della Legge n. 326 del 2003.
3.1. Cio’ disarticola, con tutta evidenza, l’intero impianto argomentativo dei ricorsi palesandone la manifesta infondatezza perche’, in mancanza della documentazione fotografica, non poteva, a maggior ragione, essere omesso un sopralluogo diretto ad una verifica interna degli immobili, posto che ivi radicavano gli abusi, e la documentazione fotografica, se mancante, sarebbe stata richiesta ai fini della regolarizzazione della pratica e prima del rilascio dei permessi in sanatoria.
Se la documentazione fotografica non e’ stata richiesta, e’ logico ritenere, cosi’ come hanno ritenuto i Giudici del merito e i periti, che, dal punto di vista formale, le pratiche fossero apparentemente regolari e dunque la documentazione rinvenuta fosse stata allegata a corredo della dichiarazione del richiedente, traendo da cio’ logico argomento per escludere che ci fossero state manomissioni, sottrazioni o alterazioni di atti.
Istruttiva e’ peraltro la linea difensiva disegnata con i ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS) che risulta completamente disarticolata e scissa sul punto perche’, mentre il (OMISSIS) sostiene che la documentazione fotografica fosse allegata al ricorso ma che non riproducesse, ponendosi in aperto contrasto con tutte le risultanze istruttorie elencate dai Giudici del merito nelle sentenze impugnate, un unico ambiente riprodotto per tutte le pratiche (pag. 8 del ricorso), la (OMISSIS) ha invece disconosciuto la documentazione fotografica (pag. 2 e ss. ricorso Arico’ e pag. 3 ss. ricorso Bergamini).
A ragione dunque la Corte di appello e’ pervenuta alla logica conclusione che le pratiche non fossero state manomesse e tale approdo e’ pienamente utilizzabile ai fini della formazione del libero convincimento del giudice.
3.2. Sotto tale specifico aspetto e’ dunque manifestamente infondato anche il quarto motivo di gravame sollevato dal (OMISSIS) che certo non puo’ dolersi (v. primo e secondo motivo) del fatto che non sia stato preso in considerazione l’accatastamento del geom. (OMISSIS) o che non sia stato incriminato anche il tecnico (OMISSIS) per aver asseverato la prima falsa perizia e ne’ puo’ trarre argomento da tale falsita’, incidentalmente ritenuta dai giudici del merito in costanza di un reato ampiamente prescritto, per reclamare di esonerato dalle proprie.
Posto poi che la (OMISSIS) ha disconosciuto la documentazione fotografica (dunque ritenendola incontrovertibilmente falsa) allegata alle pratiche di condono, i Giudici del merito si sono chiesti quale fosse la rappresentazione fotografica ante operam, dove per ante operam non si intende, come pure si sostiene nei ricorsi, lo stato interno dei fabbricati prima del 31 marzo 2003 ma lo stato interno degli edifici dopo la presentazione delle pratiche di condono e prima della demolizione dei fabbricati stessi.
Siccome l’abuso da condonare sarebbe consistito non nell’attivita’ costruttiva dei fabbricati, che come edifici agricoli legittimamente esistevano anteriormente alla Legge 17 agosto 1942, n. 1150 che per la prima volta aveva organicamente disciplinato la materia urbanistica, ma nella modifica della destinazione d’uso e cioe’ nell’avere, attraverso modifiche interne, trasformato in residenziali immobili destinati ad uso agricolo, alcuna rappresentazione fotografica, seppure postuma, e’ stata prodotta dai ricorrenti in tal senso.
3.3. Da cio’ gli ulteriori e stringenti argomenti di natura logica posti a fondamento della ritenuta responsabilita’ quali la rapidita’ nell’esecuzione della demolizione dei fabbricati, la mancata presentazione di una contestuale Dia di ricostruzione, la delocalizzazione degli edifici, la totale omissione dei controlli nella fase precedente e successiva al richiesto condono.
Ne deriva come la Corte territoriale non abbia omesso di considerare alcun significativo dato con la conseguenza che il rimprovero mosso con il terzo motivo di gravame del ricorso (OMISSIS) si segnala per sua aspecificita perche’ non solo la Corte di appello ha considerato gli apporti peritali, anche dei consulenti tecnici di parte, ma il motivo non indica quale significativa circostanza la Corte abbia ignorato o anche solo sottovalutato ai fini motivazionali.
3.4. Quanto alle responsabilita’ dei funzionar comunali, i Giudici del merito hanno correttamente ritenuto, sulla base del materiale processuale disponibile, come il (OMISSIS) avesse, con la redazione della non veridica relazione di sopralluogo e con i pareri favorevoli all’accoglimento delle istanze, posto in essere condotte causalmente orientate ad avvantaggiare i privati con un contributo non limitato alla sola procedura di condono ma, per come emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale, anche per le Dia di demolizione e di ricostruzione che furono assegnate all’ufficio diretto dal (OMISSIS) (il teste (OMISSIS) ha deposto nel senso che le Dia di ricostruzione, cd. superdia, relative a oltre 60 unita’ abitative da realizzare in zona agricola avrebbero dovuto comportare un piu’ penetrante controllo).
Al contrario, i (OMISSIS) non dispose alcuna verifica e quindi adotto’ il medesimo atteggiamento che aveva contrassegnato le false attestazioni di conformita’ redatte per le procedure di condono, il cui sopralluogo si limito’ ad una verifica di conformita’ delle sole superfici e dei volumi nonostante non fossero stati dichiarati abusi in tal senso ma solo il mutamento della destinazione d’uso, circostanza che avrebbe dovuto indurlo a compiere accertamenti all’interno dei fabbricati, cosa che fu del tutto omessa.
4. Al cospetto di tali complete valutazioni da parte dei Giudici del merito, pienamente logiche e conformi alle risultanze di causa, supportate da una doppia conforme decisione, le doglianze dei ricorrenti circa l’illogicita’ della motivazione per travisamento delle risultanze istruttorie difetta di qualsiasi fondamento e ignora, per questa parte, che il giudizio di legittimita’ rappresenta, come questa Corte ha piu’ volte affermato, lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non puo’ costituire un terzo grado di giudizio diretto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.
Peraltro i vizi logici devono essere manifesti, non potendo essere ravvisati nel fatto che il ricorrente abbia ritenuto non soddisfacenti le argomentazioni con le quali la sentenza impugnata ha risposto ai rilievi formulati nei motivi di gravame.
Questa Corte ha affermato che puo’ aversi vizio di travisamento della prova quando l’errore sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione e che questo puo’ avvenire solo nei casi in cui si introduce in motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo, oppure si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione (Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaioli, RV 236893; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, RV 237207).
Nulla di tutto cio’ e’ riscontrabile nell’apparato argomentativo della Corte territoriale.
I ricorrenti si limitano invece a proporre una lettura alternativa degli atti processuali obliterando, come si e’ gia’ anticipato, che il sindacato di legittimita’ sui provvedimenti giurisdizionali non puo’ mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi diretti ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito.
La giurisprudenza di questa Corte ha piu’ volte chiarito come, anche a seguito della modifica dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla Legge n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di cassazione rimanga circoscritto nell’ambito di un controllo di sola legittimita’, con la conseguenza che la possibilita’, attribuitale dalla norma, di desumere la mancanza, la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione anche da “altri atti del processo” non le conferisce il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, bensi’ quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova omessa o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n. 752 del 18/12/2006, dep. 16/01/2007, Romagnolo, Rv. 235732).
Ne consegue che, anche di fronte alla previsione di un ampliamento dell’area entro la quale il controllo sulla motivazione deve operare, non muta affatto la natura del sindacato di legittimita’, che rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non puo’ comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se plausibile, sicche’, per la rilevazione dei vizi della motivazione, occorre che gli elementi probatori indicati in ricorso siano decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508).
Quand’anche si prospettino situazioni con le quali si chiede alla Corte di cassazione un controllo sulla motivazione in relazione a fatti risultanti da singoli atti del processo, e’ onere del ricorrente, che puo’ essere osservato, a pena d’inammissibilita’, nella forma piu’ varia purche’ rispondente allo scopo (indicazione del fascicolo o del volume in cui il dato processuale si trova, allegazione di esso in copia al ricorso e contestuale indicazione del fascicolo o del volume in cui il dato processuale si trova, letterale riproduzione nel testo del ricorso ed indicazione del fascicolo o del volume in cui il dato processuale si trova) di indicare specificamente gli atti ritenuti rilevanti non essendo consentito, per espressa previsione di legge (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)), che la Corte di cassazione proceda ad una lettura di tutti gli atti del processo (Sez. 2, n. 31980 del 14/06/2006, Brescia, Rv. 234929).
Tale onere e’ rimasto nella specie del tutto inosservato e comunque il rilievo circa l’irregolare tenuta delle pratiche di condono nel corso del giudizio di primo grado deve ritenersi superato dall’esauriente motivazione con la quale i Giudici del merito hanno ritenuto riconducibile all’interessata la documentazione fotografica allegata alle pratiche di condono.
Inaccoglibile deve ritenersi pertanto anche la subordinata, con la quale e’ stata chiesta, eliminando parzialmente la confisca, la restituzione dei fabbricati D ed E perche’ non ricompresi nelle pratiche di condono e non demoliti ne’ delocalizzati.
Gli immobili, con riferimento ai quali pure e’ stata modificata la destinazione d’uso, sebbene nella forma commerciale e non residenziale, hanno comunque partecipato dell’attivita’ lottizzatoria e risultano ricompresi nelle pratiche di condono come emerge dalle pagine 3 e 5 dell’impugnata sentenza.
Ne’ la ricorrente ha osservato l’onere di indicare eventuali atti del processo dai quali emergerebbe il contrario.
5. Anche il quarto e il quinto motivo di gravame sollevati dal (OMISSIS) sono manifestamente infondati.
Quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, la Corte territoriale ha ampiamente motivato nel senso che la gravita’ dei reati, in relazione alle descritte modalita’ della condotta, fosse preclusiva al riconoscimento delle attenuanti generiche (non essendo a cio’ sufficiente la mera incensuratezza, poco conferente comunque rispetto alla gravita’ dei fatti come ricostruiti in sentenza).
Va solo ricordato che la giurisprudenza di questa Corte e’ ferma nel ritenere che la concessione delle circostanze attenuanti generiche non impone che siano esaminati tutti i parametri di cui all’articolo 133 c.p. essendo sufficiente che si specifichi a quale di esso si sia inteso fare riferimento (Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, P.G. in proc. Biancofiore, Rv. 247959).
Nella specie la Corte territoriale ha operato un preciso e sufficiente riferimento all’entita’ del fatto in relazione alle modalita’ della condotta.
Peraltro, per il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti (Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic ed altri, Rv. 256172).
Quanto alla misura della pena irrogata, la Corte territoriale ha accolto la richiesta di infliggere una pena meno gravosa.
6. L’inammissibilita’ dei ricorsi esclude che possa dichiararsi la prescrizione dei reati urbanistici (la (OMISSIS) ha peraltro espressamente rinunciato ad avvalersene) perche’, tenuto anche conto dell’evento sospensivo del corso della prescrizione, la causa estintiva sarebbe maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata e i ricorsi, stante la loro inammissibilita’, non hanno percio’ instaurato un valido rapporto giuridico processuale di un nuovo grado di giudizio e cio’ impedisce il vaglio, anche ufficioso ex articolo 129 c.p.p., della prescrizione maturata tra la pronuncia della sentenza impugnata e la definizione del gravame (ex multis, Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266).
7. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che le parti abbiano proposto i ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, alla declaratoria della inammissibilita’ medesima segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p. l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento di una somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.

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