Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 16 novembre 2016, n. 48318

Esclusa la particolare tenuità del fatto per l’attività e la raccolta di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi.

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 16 novembre 2016, n. 48318

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ASTI;

nei confronti di:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

inoltre:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 05/02/2016 del TRIBUNALE di ASTI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/10/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dott. RAMACCI LUCA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CANEVELLI PAOLO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Asti, con sentenza del 5/2/2016 ha assolto (OMISSIS), ritenendo sussistente la causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto ai sensi dell’articolo 131-bis c.p., dal reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, che le era stato contestato per avere effettuato attivita’ di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi, consistenti, per lo piu’, in rottami ferrosi, in assenza del necessario titolo abilitativo (fatti commessi dall’anno (OMISSIS) in poi).

Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge osservando che, pur a voler considerare l’offesa del bene protetto come di modesta entita’, la sentenza sarebbe errata laddove esclude l’abitualita’ della condotta, individuabile non tanto nei precedenti penali eterogenei rispetto all’oggetto dell’accusa, quanto, piuttosto, per la reiterazione della stessa condotta contestata.

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato nei termini di seguito specificati.

Occorre preliminarmente rilevare che l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131-bis c.p. all’esito del giudizio penale e’ espressamente ammessa dalla legge, come si ricava dal contenuto Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, il quale, pur non stabilendo specifiche procedure, ha comunque disposto, con l’articolo 3, comma 1, lettera b), l’introduzione, nel codice di rito, dell’articolo 651-bis c.p.p., il quale riconosce l’efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuita’ del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno, richiamando espressamente “la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuita’ del fatto in seguito a dibattimento”.

Va altresi’ ricordato come, per l’applicazione dell’istituto, si richieda al giudice di rilevare se, sulla base dei due “indici-requisiti” della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’articolo 133 c.p., comma 1, sussista l'”indice-criterio” della particolare tenuita’ dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualita’ del comportamento. Solo in questo caso si potra’ considerare il fatto di particolare tenuita’ ed escluderne, conseguentemente, la punibilita’.

Come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuita’ del fatto richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entita’ dell’aggressione del bene giuridico protetto (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).

2. Con specifico riferimento all’indice-criterio della non abitualita’ della condotta, questa Corte (Sez. 3, n. 29897 del 28/5/2015, Gau, Rv. 264034) ha gia’ avuto modo di formulare alcune precisazioni che meritano di essere qui riportate.

Si e’ osservato, in particolare, che secondo la relazione illustrativa del Decreto Legislativo n. 28 del 2015, il ricorso all’espressione “non abitualita’ del comportamento” per definire tale indice-criterio e’ il risultato della scrupolosa osservanza della legge delega da parte del legislatore delegato e si pone su un piano diverso rispetto alla “occasionalita’” utilizzata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 e dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, cosicche’, pur lasciando all’interprete il compito di meglio delinearne i contenuti, si e’ ipotizzato che esso faccia si’ “che la presenza di un precedente giudiziario non sia di per se’ sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuita’ del fatto, in presenza ovviamente degli altri presupposti”.

Il riferimento al “comportamento”, che deve risultare “non abituale”, va poi posto o in relazione con quanto indicato nell’articolo 131-bis c.p., comma 3, il quale prende in considerazione alcune situazioni, che indica, premettendo l’espressione “il comportamento e’ abituale nel caso in cui….”.

Sempre secondo la relazione, tale comma, aggiunto su sollecitazione espressa nel parere della Commissione giustizia della Camera dei deputati, descriverebbe soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non puo’ essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di “abitualita’”, entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilita’.

In effetti, nel parere della Commissione giustizia risulta chiaro l’intento di prevedere una sorta di “presunzione di non abitualita’” laddove, escludendo un contrasto con la legge delega, auspica l’inserimento di una disposizione la quale specifichi “che il comportamento e’ considerato non abituale nel caso in cui…” e, successivamente, nell’esprimere parere favorevole, indica nelle condizioni il testo del comma da inserire, il quale inizia con la frase “il comportamento risulta abituale nel caso in cui….”.

Sempre con riferimento all’articolo 131-bis c.p., comma 3, va posto in evidenza che esso, per come e’ strutturato, sembra fare riferimento a tre distinte situazioni (“il comportamento e’ abituale nel caso in cui (…) ovvero (…) nonche’ (…)”).

Inoltre, il riferimento all’ipotesi del soggetto che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, come chiaramente emerge dal tenore letterale della disposizione, si riferisce a condizioni specifiche di pericolosita’ criminale che presuppongono un accertamento da parte del giudice (come, del resto, in caso di recidiva – reiterata o specifica – anch’essa ostativa, diversamente da quella semplice, presupponendo la commissione di piu’ reati o di altro reato della stessa indole), mentre altrettanto non puo’ dirsi per cio’ che concerne le ulteriori ipotesi, riferite al soggetto che abbia “commesso piu’ reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita’, nonche’ nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.

In tali ipotesi, infatti, non vi e’, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l’indicazione di abitualita’ presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento puo’ ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell’ulteriore richiamo alle “condotte plurime, abituali e reiterate”.

3. Sulla base di tali argomentazioni si e’, conseguentemente, considerato operante lo sbarramento dell’articolo 131-bis c.p., comma 3 anche nel caso di reati avvinti dal vincolo della continuazione ed il principio e’ stato successivamente ribadito (Sez. 3, n. 43816 del 1/7/2015, Amodeo, Rv. 265084, ma v. anche, in relazione alla “non abitualita’”, quanto osservato in Sez. 3, n. 47039 del 8/10/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265449; Sez. 4, n. 7905 del 7/1/2016, Vinci, Rv. 266065).

4. Tali principi, che il Collegio condivide, possono essere utilizzati anche per definire la vicenda in esame, caratterizzata, come emerge dalla sentenza impugnata e dal ricorso del Pubblico Ministero, da una condotta concretatasi in quattro diversi conferimenti di rifiuti nel periodo compreso tra il 25/2/2012 ed il 23/6/(OMISSIS), per un quantitativo complessivo pari a 7.793 Kg.

Non si tratta, quindi, di un episodio isolato, bensi’ di comportamenti reiterati nel tempo, il che alla luce di quanto in precedenza richiamato, porta ad escludere il necessario requisito della non abitualita’ della condotta.

5. Va peraltro osservato che, come pure ha ricordato il ricorrente, il reato contestato all’imputata e’ stato considerato da questa Corte come reato eventualmente abituale, il che costituisce, a determinate condizioni, come si dira’, un ulteriore ostacolo all’applicazione della causa di non punibilita’.

Si e’ infatti affermato, con riferimento alla disciplina previgente, che la raccolta ed il trasporto di rifiuti in difetto di autorizzazione ha, di regola, natura di reato istantaneo, perche’ si perfeziona nel luogo e nel momento in cui si realizzano le singole condotte tipiche, salvo il caso in cui, stante la ripetitivita’ della condotta, si configuri quale reato eventualmente abituale (Sez. 3, n. 13456 del 30/11/2006 (dep. 2007), Gritti e altro, Rv. 236326; conf., anche con riferimento alla disciplina emergenziale, Sez. 3, n. 45306 del 17/10/2013, Carlino, Rv. 257631, non massimata sul punto).

Se, dunque, il reato necessariamente abituale che, come ricorda una non recente decisione (Sez. 1, n. 1430 del 9/3/1998, Confl. comp. in proc. Berisa Rama, Rv. 210201) per la sua stessa configurazione giuridica, postula una ripetizione di condotte analoghe, distinte tra loro, ma sorrette da un unico ed unitario elemento soggettivo ed unitariamente lesive del bene giuridico tutelato, si pone chiaramente in antitesi con il richiamo alla “non abitualita’ del comportamento” effettuata dall’articolo 131-bis c.p., quello eventualmente abituale – caratterizzato, sempre secondo la richiamata decisione, dal fatto che puo’ anche realizzarsi ed e’ gia’ “perfetto”, anche solo con l’attuazione di una singola e specifica condotta, ma che puo’ configurarsi anche come ripetizione nel tempo di distinte, ma analoghe, condotte – versa in tale condizione solo nel caso in cui sia posto in essere mediante reiterazione della condotta tipica.

Tale ultima evenienza risulta essersi verificata nel caso in esame, ove, come si e’ gia’ detto, le attivita’ di gestione illecita sono state ripetute nel tempo.

6. La sentenza impugnata presenta, peraltro, un evidente cedimento logico, non rilevato dal Pubblico Ministero ricorrente, ma che merita di essere segnalato, laddove il giudice, dapprima, dopo aver dato atto della quantita’ dei rifiuti conferiti, definisce la stessa come “significativa”, osservando che quanto accertato “depone nel senso di un’abitualita’ dell’attivita’” mentre, successivamente, esclude l’abitualita’ (richiamando l’articolo 131-bis c.p., comma 3) sulla base della sola irrilevanza a tal fine dei precedenti penali.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Torino.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Torino

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