cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 27 marzo 2015, n. 13027

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORTESE Arturo – Presidente

Dott. CAIAZZO Luigi – rel. Consigliere

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere

Dott. BONI Monica – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2220/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 10/02/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/10/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Luigi Riello, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

Udito, per la parte civile, l’Avv. (OMISSIS) di Milano;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) per l’imputato (OMISSIS) ed anche in sostituzione del difensore dell’imputato (OMISSIS).

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza in data 6.7.2010 il Tribunale di Milano ha condannato, in relazione a reati di bancarotta commessi nell’ambito della vicenda (OMISSIS) spa, societa’ dichiarata fallita dal Tribunale di Milano in data (OMISSIS), vicenda nella quale sono coinvolte societa’ collegate ( (OMISSIS) spa dichiarata fallita dal Tribunale di Torino in data (OMISSIS), (OMISSIS) sas dichiarata fallita dal Tribunale di Torino in data (OMISSIS) e (OMISSIS) spa dichiarata fallita dal Tribunale di Pinerolo in data (OMISSIS)), (OMISSIS), ritenuto amministratore di fatto di (OMISSIS), e (OMISSIS), direttore finanziario della predetta societa’, rispettivamente alla pena di anni 7 e mesi 6 di reclusione ed alla pena di anni 4 di reclusione, oltre al risarcimento dei danni cagionati alle numerose parti civili costituite.

La suddetta vicenda, nelle grandi linee, e’ stata sintetizzata nel modo seguente dal Tribunale:

– la (OMISSIS), priva di attivita’ produttive e capogruppo di societa’ di capitali operanti in settori industriali e immobiliari, era la societa’ quotata sul Terzo Mercato attraverso la quale gli imputati avevano attuato il progetto di reperire risorse finanziarie da investitori privati;

– la collocazione sul mercato delle azioni di (OMISSIS) avveniva attraverso aumenti di capitale sociale realizzati in assenza di investimenti da parte dei soci di riferimento della societa’;

– il capitale sociale di (OMISSIS) veniva aumentato mediante operazioni di acquisto di partecipazioni in societa’ sull’orlo del fallimento che venivano fittiziamente ricapitalizzate;

– in particolare la societa’ controllante di (OMISSIS), dapprima la (OMISSIS) S.A. e in seguito la (OMISSIS) S.A., avevano acquistato societa’ in crisi (tra le altre (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) la cui partecipazione era utilizzata per aumentare il capitale sociale;

– il denaro che affluiva nella societa’ (OMISSIS) proveniva esclusivamente dagli investitori privati, in quanto i crediti che (OMISSIS) utilizzava per l’aumento di capitale sociale erano fittizi, mentre quelle quote di partecipazione consentivano l’afflusso di liquidita’ nelle casse della stessa (OMISSIS);

– il denaro proveniente a (OMISSIS) dal Terzo Mercato era utilizzato per pagare debiti delle societa’ controllate e per acquisire altre societa’, ma rappresentava anche il profitto dei proprietari di (OMISSIS);

– il collocamento sul Terzo Mercato di (OMISSIS) rappresenta l’elemento caratterizzante della vicenda, atteso che tutte le operazioni valutate come fittizie (acquisizioni di partecipazioni societarie, false fatturazioni per operazioni inesistenti, cessioni di crediti fittizi) erano finalizzate ad aumentare il capitale sociale.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 24.6.2011, ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano in data 6.7.2010.

La Corte di cassazione, con sentenza in data 4.3.2013, per quanto rileva nel presente processo, ha annullato le disposizioni della predetta sentenza della Corte d’appello, impugnata dagli imputati, con riguardo a (OMISSIS), in relazione ai delitti di cui ai capi a2) e d4), e con riguardo a (OMISSIS), in relazione al delitto di cui al capo a4).

Nel capo a2) il (OMISSIS) e’ imputato della bancarotta documentale di (OMISSIS) per avere, al fine di assicurarsi l’ingiusto profitto derivante dalle distrazioni descritte nei capi di imputazione contestati al (OMISSIS) e di cagionare danno ai creditori, distrutto, sottratto, falsificato o comunque tenuto, in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, i libri e le scritture contabili, registrando in contabilita’ operazioni fittizie di acquisto e di cessione di crediti relativi a fatture infragruppo emesse per operazioni inesistenti, registrando versamenti di capitale inesistenti o comunque effettuati con conferimenti in natura e con la sopravvalutazione del valore degli stessi, ricorrendo a giroconti frenetici quanto incomprensibili tra le societa’ infragruppo, nonche’ a registrazioni che sono rimaste prive di riscontro, falsificando la data di acquisto e di cessione delle partecipazioni, ed anche recependo in contabilita’ i bilanci di altre societa’ con i relativi mendaci.

La Corte di cassazione ha osservato che i giudici di merito avevano automaticamente dedotto la sussistenza della bancarotta documentale di (OMISSIS) dalla natura delle operazioni consumate in ambiente (OMISSIS), senza spiegare perche’ debba ritenersi che la contabilita’ della fallita sia stata tenuta in maniera tale da impedire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari attraverso la mera registrazione dell’acquisizione (effettiva) del credito relativo alle suddette operazioni.

Pur essendo indiscutibile che la bancarotta di cui alla L.F., articolo 216, comma 2, inglobi in se’ ogni genere di falsita’, anche ideologica, i giudici di merito non avevano chiarito in che termini le annotazioni contabili relative all’acquisizione di crediti fossero idonee a compromettere la funzione assegnata ai libri contabili e alle scritture sociali.

Secondo la Corte di legittimita’, non poteva trarsi la prova della bancarotta documentale esclusivamente dalla bancarotta societaria da falso in bilancio, poiche’ e’ diverso l’oggetto dei due reati ed e’ necessario, per l’integrazione del delitto di bancarotta documentale, fornire la dimostrazione della effettiva impossibilita’, ancorche’ relativa, di ricostruire il profilo patrimoniale dell’impresa fallita e l’effettivo movimento degli affari.

Nel capo d4) il (OMISSIS) e’ accusato di avere cagionato il fallimento di (OMISSIS) spa con operazioni dolose, per aver dato per versato l’aumento di capitale sottoscritto, mettendo nelle condizioni i soci di acquistare pressoche’ a costo zero azioni in opzione e poi rivenderle al prezzo di mercato (che veniva drogato pubblicizzando iniziative economiche e finanziarie prive di sostanza), gestendo la societa’ (OMISSIS) con l’obiettivo di sostenere il titolo e di arricchire i soci che i titoli acquisivano in opzione ed ancora di emettere fatture per operazioni inesistenti per evidenziare, attraverso il computo di maggiori ricavi, una situazione economica patrimoniale tale da consentirle di quotarsi al Terzo Mercato, e comunque di operare al fine di gonfiare il valore di (OMISSIS) che era a sua volta cardine del bilancio di (OMISSIS).

La Corte di cassazione ha osservato che, riguardo al predetto capo di imputazione, la motivazione dei giudici di merito risultava sostanzialmente omessa, in quanto si era fatto riferimento alle analogie con la vicenda (OMISSIS), senza tener conto, ai fini dell’affermazione della responsabilita’ del (OMISSIS), della specificita’ dei fatti contestati, delle censure mosse con l’atto di appello ed in particolare dell’avvenuta assoluzione dell’imputato per le simmetriche accuse mossegli in relazione all’incidenza su (OMISSIS) dell’operazione che avrebbe causato il fallimento di (OMISSIS).

(OMISSIS) e’ stato condannato per il delitto di cui al capo a4), per aver concorso a cagionare mediante operazioni dolose il fallimento di (OMISSIS), avendo come obiettivo il sostegno del titolo nel Terzo Mercato e l’arricchimento dei soci; in qualita’ di direttore finanziario della societa’ aveva curato la sottoscrizione del secondo aumento di capitale del luglio 2000 e aveva concorso con (OMISSIS), (OMISSIS) (giudicati separatamente) ed il (OMISSIS) nella condotta di aggiotaggio manipolativo consistita nell’acquisto di azioni (OMISSIS) ad un prezzo dieci volte superiore a quello di mercato, con la garanzia da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) che gli sarebbe stata versata la differenza tra quanto pagato e l’importo delle azioni acquistate al prezzo di mercato; si era pertanto accordato con i predetti per la realizzazione del piano che prevedeva, oltre alla suddetta operazione di aggiotaggio, l’acquisizione di partecipazioni di controllo in societa’ decotte, il fittizio aumento di valore di dette partecipazioni, la creazione di fasulli finanziamenti soci in conto aumento di capitale, compensando il prezzo di acquisto di dette partecipazioni con il credito verso i soci per i due aumenti di capitale effettuati, cosi’ mettendo nelle condizioni i soci stessi di acquisire pressoche’ a costo zero azioni in opzione e poi rivenderle al prezzo di mercato.

La Corte di Cassazione ha premesso che i giudici di merito avevano fondato la responsabilita’ del (OMISSIS) sulla non contestata partecipazione del predetto all’illecita attivita’ di manipolazione del titolo di (OMISSIS) sul Terzo Mercato nella consapevolezza, in forza della sua qualifica di direttore finanziario della societa’, delle modalita’ con le quali era stato gonfiato il valore del patrimonio della medesima.

Ha osservato che l’operazione manipolativa, pero’, non aveva in alcun modo influito sul dissesto della societa’, avendo provocato solo un danno agli acquirenti delle azioni, essendo l’operazione dolosa che aveva cagionato il fallimento la complessiva gestione strumentale della societa’ al fine di drenare il risparmio privato.

La prova del coinvolgimento del (OMISSIS) nel progetto complessivo era stata tratta dalla partecipazione dello stesso alla fase conclusiva di realizzazione del progetto, ma non era stato sufficientemente chiarito nella sentenza di secondo grado a quale titolo – una volta assodato come quella concernente la collocazione dei titoli sia attivita’ estranea alla serie causale che ha portato al fallimento della societa’ – il (OMISSIS) dovrebbe rispondere dei comportamenti effettivamente integranti il reato commessi in precedenza da altri e senza la sua apparente collaborazione materiale, ovvero in assenza di un dimostrato pregresso accordo con gli stessi tale da poter essere interpretato secondo le regole del concorso morale rafforzativo. Peraltro, secondo la Corte di legittimita’, non basterebbe il riferimento alla consapevolezza della reale situazione patrimoniale della fallita, atteso che la stessa – in assenza della dimostrazione di un originario accordo con i protagonisti della vicenda – al piu’ risulterebbe indicativa di una sua eventuale connivenza.

Nel giudizio di rinvio la Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 10.2.2014, confermava la responsabilita’ del (OMISSIS) per i delitti di cui ai capi a2) e d4), rideterminando la pena nei suoi confronti, a causa del proscioglimento in relazione ad altri due capi di imputazione, in anni 6 e mesi 11 di reclusione. Confermava la condanna del (OMISSIS) per il delitto di cui al capo a4). Prendendo in esame la posizione del (OMISSIS), la Corte d’appello riteneva che le condotte che avevano cagionato il fallimento di (OMISSIS) – gli aumenti di capitali fittizi, le operazioni inesistenti, i finanziamenti fasulli -, seppur non direttamente riferibili al (OMISSIS), si collocavano quale corollario indispensabile alla condotta di aggiotaggio, la quale non poteva essere vista come un mero segmento nella piu’ complessa vicenda di (OMISSIS), in quanto era assolutamente indispensabile per consentire alla societa’ di porsi all’interno del circuito del Terzo Mercato.

La condotta di aggiotaggio, secondo la Corte di merito, aveva permesso alla societa’ (OMISSIS) di continuare ad operare, in spregio all’effettiva consistenza del proprio patrimonio, aggravando cosi’ il proprio stato di dissesto. Le operazioni di aggiotaggio compiute dal (OMISSIS) avevano comportato, inoltre, un aumento fittizio del capitale, il quale a sua volta aveva consentito alla societa’ di permanere nel mercato.

Pertanto, la condotta del (OMISSIS) aveva consentito alla societa’ di mantenersi in vita e di aumentare quindi in modo considerevole il proprio disavanzo.

In definitiva, secondo la Corte d’appello, il reato di aggiotaggio aveva avuto un’incidenza causale sul fallimento della societa’.

Passando alla posizione del (OMISSIS), in relazione al delitto di bancarotta documentale di (OMISSIS), il giudice del rinvio riteneva sussistente il predetto delitto, poiche’ il curatore del fallimento aveva verificato l’impossibilita’ di accertare il movimento degli affari. La stessa attivita’ del P.M., che aveva dovuto ricorrere ad una consulenza tecnica per la ricostruzione del patrimonio, dimostrava la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato. Il C.T., sentito in dibattimento, aveva rilevato come si potesse affermare che non era possibile la ricostruzione del patrimonio, anche se lo stesso era comunque pervenuto, per altro verso, alla indicazione del disavanzo.

Con riguardo al ruolo del (OMISSIS) nella causazione del fallimento della societa’ (OMISSIS).

La Corte d’appello, esaminando prima le ragioni per le quali il predetto imputato era stato assolto gia’ in primo grado dal fatto di bancarotta di cui al capo A1)-IV (distrazione di lire 3.800.000.000 cui ammonta l’acquisto da parte di (OMISSIS) di crediti che LUCE HOLDING aveva verso (OMISSIS)), osservava che l’assoluzione era stata motivata con il fatto che il credito di 3,8 miliardi di lire in effetti era solo fittizio, creato attraverso l’emissione di fatture inesistenti al solo fine di aumentare il capitale sociale e immettere le azioni (OMISSIS) sul Terzo Mercato. Questa assoluzione, quindi, non poteva spiegare i suoi effetti sull’imputazione di cui al capo d4), avente per oggetto le operazioni dolose che avevano cagionato il fallimento di (OMISSIS).

L’aumento fittizio di capitale, effettuato in (OMISSIS) con il concorso del (OMISSIS) attraverso un credito inesistente, aveva rappresentato un espediente idoneo a consentire che la suddetta societa’ continuasse la propria attivita’, presentandosi all’esterno con una solidita’ assolutamente fittizia. Secondo la Corte di merito, proprio la condotta di aumento di capitale legato all’operazione inesistente aveva permesso alla societa’ di continuare ad operare in spregio all’effettiva consistenza del proprio patrimonio, aggravando cosi’ il proprio stato di dissesto.

Avverso la sentenza del giudice di rinvio hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di (OMISSIS) e di (OMISSIS), chiedendone l’annullamento, la difesa del (OMISSIS), per erronea applicazione dei principi contenuti nella sentenza di annullamento con rinvio e per vizio di motivazione, e la difesa del (OMISSIS) per travisamento delle prove ed errata applicazione della L.F., articolo 216, comma 1, n. 2, e articolo 223, comma 2, n. 1, con riferimento al capo a2) dell’imputazione, nonche’ per vizio di motivazione, in relazione all’imputazione di cui al capo d4).

Il difensore del (OMISSIS) ha dedotto che, per quanto stabilito dalla Corte di cassazione, la mera condotta di aggiotaggio non aveva provocato la bancarotta di (OMISSIS) ed il rinvio del processo era stato disposto al fine di accertare se vi fosse la prova di un pregresso accordo del (OMISSIS) con coloro che avevano disposto i comportamenti effettivamente integranti i reati di bancarotta.

La Corte d’appello, invece, aveva ribadito che doveva essere ravvisato un nesso causale tra la condotta di aggiotaggio e il fallimento, avendo detta condotta consentito la prosecuzione dell’attivita’ della societa’ e cagionato l’aggravamento del dissesto.

In sostanza, discostandosi da quanto stabilito dalla Corte di legittimita’, la Corte d’appello aveva non solo ritenuto che la condotta di aggiotaggio avesse concorso a cagionare il fallimento, ma non aveva indicato quale contributo causale avrebbe dato il (OMISSIS), estraneo all’amministrazione della societa’, al complesso delle vicende – gli aumenti di capitali fittizi, le operazioni inesistenti, i finanziamenti fasulli – che avevano cagionato il fallimento.

La difesa del (OMISSIS), con riguardo al delitto di bancarotta documentale fraudolenta di cui al capo a2), ha dedotto, in primo luogo, il travisamento della prova, con riferimento alle dichiarazioni rese dal curatore del fallimento, dr.ssa (OMISSIS), in quanto la predetta – come risultava dalle dichiarazioni rese in dibattimento che venivano allegate al ricorso – aveva incontrato difficolta’ nella ricostruzione della situazione patrimoniale della societa’ per il fatto che i libri contabili erano stati sequestrati dalla Guardia di Finanza e non per l’omessa tenuta della contabilita’ da parte della societa’ o per la fittizieta’ delle voci apposte.

Proprio perche’ la documentazione contabile non era facilmente accessibile, erano stati nominati dal P.M. come consulenti tecnici il dr (OMISSIS) e il dr. (OMISSIS), i quali avevano svolto il compito loro affidato in stretto contatto con i marescialli della Guardia di Finanza Gumina e Folino.

Dalla dichiarazioni rese in dibattimento dai predetti consulenti era risultato che gli stessi non avevano incontrato alcuna difficolta’ nella ricostruzione del patrimonio delle societa’ fallite, e tra queste dell’ (OMISSIS), ma avevano formulato solo osservazioni critiche in ordine all’attendibilita’ delle scritture contabili.

In secondo luogo, la Corte d’appello, muovendo da un presupposto logicamente infondato, erroneamente aveva richiamato quella giurisprudenza secondo la quale sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio sia resa impossibile per il modo di tenuta delle scritture contabili, ma anche quando gli accertamenti siano stati ostacolati da difficolta’ superabili solo con particolare diligenza.

La ratio della norma contestata e’ quella di agevolare lo svolgimento della procedura concorsuale, sanzionando le manipolazioni delle scritture che impediscano o intralcino una facile ricostruzione del patrimonio del fallito, mentre nel caso di specie non vi era stato alcun impedimento al corretto svolgimento della procedura concorsuale, e quindi non si poteva ritenere integrata la bancarotta documentale per il solo fatto che alcune operazioni annotate fossero relative ad operazioni inesistenti, in quanto queste annotazioni non impedivano la ricostruzione in termini formali dell’andamento del patrimonio.

Per quanto riguarda l’imputazione di cui al capo d4), la Corte d’appello aveva individuato nel fittizio aumento di capitale in (OMISSIS) la causa del fallimento, in quanto aveva consentito alla predetta societa’ di continuare ad operare, aggravando cosi’ il proprio dissesto, ma non era stato dato conto, come richiesto dalla Corte di legittimita’, di tutte le ragioni storicamente determinanti il dissesto della societa’ (OMISSIS).

In particolare non si era tenuto conto delle dichiarazioni rese dal curatore del fallimento (OMISSIS) circa la mancata quotazione del titolo (OMISSIS) sul Terzo Mercato, confermate dai consulenti tecnici del P.M., dichiarazioni che smentivano quelle rese dal curatore del fallimento (OMISSIS).

Non essendo stata quotata (OMISSIS) sul Terzo Mercato, la Corte d’appello non poteva richiamare la motivazione utilizzata per (OMISSIS).

Inoltre, la Corte d’appello non aveva considerato che il passivo della (OMISSIS) era costituito esclusivamente dal credito dei dipendenti della societa’ e dall’I.N.P.S. e che successivamente all’aumento di capitale, avvenuto nel 1999, vi erano state numerose operazioni distrattive e dissipazione poste in essere dagli amministratori alle quali il (OMISSIS) non aveva partecipato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso presentato in favore di (OMISSIS) e’ fondato.

L’elemento caratterizzante della vicenda (OMISSIS), nella ricostruzione dei giudici di merito, e’ stato il drenaggio di risorse di operatori finanziari e risparmiatori mediante il collocamento nel Terzo Mercato di azioni della suddetta societa’, emesse a seguito di fittizi aumenti di capitale.

L’operazione si e’ svolta in due fasi distinte, anche se tra loro collegate, nel senso che la prima fase era il necessario presupposto per dar corso alla seconda.

Nella prima fase sono state acquisite partecipazioni in societa’ in stato di decozione, emesse fatture per operazioni inesistenti, esposti finanziamenti fasulli e falsificati in vari modi i bilanci della societa’ al fine di poter deliberare aumenti di capitale e quindi collocare azioni nel terzo mercato ad un prezzo superiore al valore effettivo.

Nella seconda fase e’ stata compiuta una gigantesca operazione di aggiotaggio al fine di vendere le azioni emesse a seguito dei fittizi aumenti di capitale ad un prezzo di gran lunga maggiore di quello effettivo, e comunque al fine di sostenere il titolo (OMISSIS) nel suo andamento sul terzo mercato.

Il (OMISSIS), che era il direttore finanziario della societa’ (OMISSIS) ed il responsabile dei titoli scambiati sul Terzo Mercato, aveva ammesso, secondo quanto risulta dalla sentenza di primo grado e non e’ stato contestato dalla difesa dell’imputato, di aver partecipato alla suddetta seconda fase, compiendo quindi interventi manipolativi sul titolo in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

In particolare i giudici di merito hanno accertato che vi era stato un accordo all’inizio del 2000 tra le persone suddette per acquisti di azioni (OMISSIS) ad un prezzo dieci volte superiore a quello di mercato con la garanzia, da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS), di versare all’acquirente (OMISSIS) la differenza tra il prezzo d’acquisto e quello effettivo, di tal che al (OMISSIS), che aveva acquistato cinque milioni di azioni al prezzo di 140 ciascuna, era stata restituita – tramite (OMISSIS) – la differenza rispetto al valore 14 per ogni azione.

Secondo la prima sentenza d’appello (che ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano), dalla oggettiva rilevanza causale dell’operazione alla quale aveva partecipato il (OMISSIS) (nella descritta seconda fase) e dal ruolo ricoperto dal predetto nella suddetta operazione di aggiotaggio si doveva desumere la partecipazione consapevole dello stesso alla complessiva operazione, e quindi anche a quella in cui era stato fittiziamente aumentato il capitale di (OMISSIS), al fine di vendere ad un valore gonfiato azioni della predetta societa’. Il (OMISSIS), pertanto, era stato condannato per aver cagionato, in concorso con altri, il fallimento della societa’ (OMISSIS) mediante operazioni dolose compiute nella prima fase (consistita fondamentalmente nei fittizi aumenti di capitale disposti dopo l’acquisto di societa’ decotte o inattive) e nella seconda fase (consistita nella descritta operazione di aggiotaggio). Con la sentenza in data 4.3.2013 della Corte di cassazione e’ stato rilevato, innanzi tutto, che la condotta di aggiotaggio, alla quale aveva partecipato il (OMISSIS) nella descritta seconda fase della complessiva operazione contestata, non aveva provocato il fallimento della societa’, ma soltanto un danno agli acquirenti delle azioni messe in vendita nel Terzo Mercato, i quali erano stati indotti ad acquistare le stesse ad un valore assai maggiore di quello effettivo. Paradossalmente, il compiuto aggiotaggio aveva fatto affluire maggiori risorse finanziarie alla societa’, piuttosto che depauperarla, e quindi non poteva essere annoverato tra le operazioni dolose che avevano cagionato il fallimento di (OMISSIS).

E stato poi puntualizzato nella menzionata sentenza di questa Corte che, alla stregua dell’operazione complessiva in contestazione, siccome ricostruita e descritta dai giudici di merito, erano state invece le operazioni compiute nella prima fase – gli acquisti di imprese decotte e le altre condotte dolose accertate, congiuntamente alle distrazioni degli assets originari – a cagionare il fallimento della suddetta societa’, ma nella motivazione della sentenza impugnata (che sostanzialmente riproponeva anche per questo aspetto gli argomenti della sentenza di primo grado) non era stato spiegato in che modo il (OMISSIS) – il quale, oltre a non essere stato un amministratore di diritto della societa’, neppure era stato considerato un amministratore di fatto della medesima – avrebbe partecipato alle operazioni compiute nella prima fase, ovvero si sarebbe preventivamente accordato con coloro che avevano compiuto quelle operazioni, assicurando che avrebbe curato la seconda fase, di tal che il suo comportamento si sarebbe potuto interpretare secondo le regole del concorso morale rafforzativo.

La condanna del (OMISSIS), quindi, e’ stata annullata con rinvio, affinche’ la Corte d’appello spiegasse in che modo il (OMISSIS) avrebbe partecipato alla prima fase della descritta operazione che aveva cagionato (insieme alle contestate distrazioni, ma non all’operazione di aggiotaggio della seconda fase) il fallimento Della societa’ (OMISSIS). La Corte d’appello, nel giudizio di rinvio, non e’ stata pero’ in grado di indicare in quali modi (OMISSIS) avrebbe partecipato alle operazioni dolose della prima fase, che avevano cagionato il fallimento di (OMISSIS), ovvero da quali elementi di fatto si sarebbe dovuto desumere che vi era stato un preventivo accordo del (OMISSIS) con gli autori delle operazioni della prima fase, accordo che avrebbe dovuto contemplare anche il collocamento, da parte dell’imputato, delle azioni emesse a seguito dell’aumento del capitale della suddetta societa’ effettuato nei modi sopra descritti.

In sostanza, il giudice del rinvio si e’ limitato a ribadire che la condotta di aggiotaggio, per la stretta connessione logica con le precedenti operazioni (aumenti di capitale fittizi, fatturazioni per operazioni inesistenti, finanziamenti fasulli), doveva essere stata necessariamente concepita fin dall’inizio, in quanto condotta assolutamente indispensabile per consentire alla societa’ (OMISSIS) di porsi all’interno del circuito del Terzo Mercato con una solidita’ meramente apparente e non effettiva.

L’operazione di aggiotaggio, inoltre, aveva comportato un fittizio aumento del capitale della societa’ che, sempre secondo il giudice del rinvio, aveva consentito alla stessa societa’ di permanere nel mercato, sebbene fosse in stato di decozione dal 1998.

Pertanto, la condotta di aggiotaggio posta in essere dal (OMISSIS) aveva consentito ad (OMISSIS) di mantenersi in vita, nonostante lo stato di decozione, ed aveva avuto un’incidenza causale sul fallimento della societa’, aggravandone il disavanzo.

La Corte d’appello, dunque, contrariamente a quanto affermato nella sentenza di questa Corte, ha concluso – riproponendo la stessa tesi della sentenza annullata – che la condotta di aggiotaggio posta in essere dal (OMISSIS) doveva essere considerata una delle operazioni dolose che avevano determinato il fallimento, almeno in termini di aggravamento, della societa’ (OMISSIS).

Non e’ stata, peraltro, in grado di indicare – come gli era stato chiesto con la sentenza di questa Corte – in quali modi il (OMISSIS) avrebbe partecipato alle operazioni effettuate nella prima fase dagli amministratori della suddetta societa’, e neppure ha individuato elementi fattuali dai quali desumere un previo accordo del predetto imputato con gli amministratori della societa’ riguardante il compimento della complessiva operazione, ovvero, quanto meno, l’assicurazione preventiva che avrebbe curato, dopo i disposti aumenti del capitale, la collocazione delle azioni nel Terzo mercato ad un prezzo nettamente superiore al valore effettivo.

Poiche’ il giudice del rinvio non si e’ uniformato, nel valutare la posizione del (OMISSIS), ai principi contenuti nella sentenza pronunciata da questa Corte in data 4.3.2013, la sentenza impugnata deve essere annullata nella parte in cui ha confermato la condanna nei confronti del predetto imputato.

La Corte ritiene superfluo un ulteriore rinvio del processo al giudice di merito, con riguardo alla posizione del (OMISSIS), poiche’, non essendo stati reperiti elementi fattuali dimostrativi della partecipazione del predetto imputato alla descritta prima fase, non si rinvengono ulteriori elementi da approfondire.

Deve, invece, essere rigettato il ricorso di (OMISSIS) con riguardo alla bancarotta documentale di (OMISSIS) (capo a2) ed alla bancarotta della societa’ (OMISSIS) cagionata mediante operazioni dolose (capo d4).

Nella sentenza del Tribunale e nella prima sentenza della Corte d’appello, con riguardo alla bancarotta documentale di (OMISSIS), si era affrontato il tema concernente il predetto delitto premettendo un principio piu’ volte ribadito nella giurisprudenza di legittimita’, secondo il quale nella bancarotta documentale si deve tenere conto che la procedura concorsuale viene ostacolata non solo dall’esistenza di falsita’ materiali, ma anche e soprattutto da falsita’ ideologiche contenute nelle scritture contabili, e quindi, ai fini dell’integrazione del reato de quo hanno rilevanza sia le falsificazioni relative alla formazione delle scritture (falso materiale), sia quelle aventi ad oggetto il contenuto di esse (falso ideologico).

Nelle suddette sentenze, pero’, il tema specifico della bancarotta fraudolenta documentale non era stato adeguatamente approfondito, essendo stato trattato il predetto delitto unitamente alla bancarotta impropria attuata mediante la falsificazione dei bilanci (capo a3), ritenendo evidentemente che dalla dimostrazione della sussistenza di quest’ultima specie di bancarotta si potesse desumere anche la sussistenza della bancarotta documentale.

La Corte di cassazione, pur confermando il principio che la fattispecie della bancarotta documentale prevista dall’articolo216 della legge fallimentare (riguardante la condotta di falsificazione, in tutto io in parte, con lo scopo di procurare a se’ ad altri un ingiusto profitto, delle scritture contabili o la tenuta delle stesse in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari) ingloba in se’ ogni ipotesi di falsita’, anche ideologica, in quanto preordinata a tutelare l’agevole svolgimento delle operazioni della curatela e ad impedire ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari, ha rilevato che i giudici di merito non avevano chiarito le ragioni per le quali le annotazioni sui libri e sulle altre scritture contabili tenuti dalla societa’ (OMISSIS) avrebbero compromesso la funzione assegnata, nell’ottica concorsuale, alle predette scritture, mettendo inoltre in evidenza che la dimostrazione di aver cagionato il dissesto della societa’ commettendo il delitto di bancarotta impropria mediante la falsificazione dei bilanci della societa’ non integrava per cio’ solo anche il delitto di bancarotta documentale, essendo diversa la funzione del bilancio della societa’ da quella delle scritture contabili e dovendosi pertanto dimostrare, per ritenere realizzata anche la bancarotta documentale, l’impossibilita’, ancorche’ relativa, di ricostruire il profilo patrimoniale dell’impresa fallita attraverso i libri e le scritture contabili della societa’.

Il giudice del rinvio ha indicato, tenendo conto delle parti della sentenza di primo grado divenute definitive, le ragioni per le quali attraverso i libri e le scritture contabili di (OMISSIS) – causa la falsita’ ideologica delle annotazioni sugli stessi in funzione degli indicati obiettivi illeciti che si volevano raggiungere mediante i fittizi aumenti di capitale ed il collocamento nel Terzo Mercato di azioni della societa’ – fosse stato impossibile conoscere il reale profilo patrimoniale della societa’ (in quanto il valore dei beni e delle partecipazioni e’ risultato ben minore di quello fatto figurare nelle scritture della societa’) e l’effettivo movimento degli affari.

Quali fonti di prova della impossibilita’ di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari ha indicato – oltre alla ricostruzione della vicenda (OMISSIS) – specificamente la testimonianza del curatore del fallimento della societa’ (OMISSIS) e del consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero per esaminare la contabilita’ della predetta societa’ e ricostruire il movimento degli affari; dalle predette testimonianze era risultato, infatti, che, seppure formalmente la societa’ aveva tenuto i libri e le scritture contabili, le annotazioni contenute negli stessi non erano assolutamente attendibili.

Gli argomenti contenuti nei motivi di ricorso riguardano aspetti non essenziali riferibili solo alla prima parte delle operazioni svolte dal curatore del fallimento (il quale aveva incontrato difficolta’ nel reperire tutta la documentazione della societa’, in quanto sequestrata dalla Guardia di Finanza) o sostengono in modo assertivo che, nonostante la riconosciuta falsita’ ideologica di alcune annotazioni, sarebbe stato possibile ricostruire il patrimonio e l’andamento degli affari; ma non contestano che tutte le operazioni attraverso le quali e’ stato aumentato il capitale sociale sono potute avvenire solo attraverso l’iscrizione negli atti e nelle scritture sociali di valori fittizi, vale a dire ideologicamente falsi, nell’ambito di una dolosa operazione finalizzata al raggiungimento dell’illecito scopo perseguito (emissione di azioni ad un valore assai maggiore di quello effettivo).

Che le scritture contabili fossero assolutamente inattendibili, perche’ contenenti annotazioni ideologicamente false, lo ammette anche la difesa nei motivi di ricorso, riportando le dichiarazioni del consulente del P.M. (pag. 10 dei motivi di ricorso).

La difesa ha sostenuto che la suddetta inattendibilita’ aveva rilievo solo per il delitto di bancarotta fraudolenta realizzata mediante il falso in bilancio, ma da quanto accertato dai giudici di merito, l’inattendibilita’ riguardava invece il complesso delle operazioni annotate nelle scritture contabili di (OMISSIS) – ed e’ rilevante che la societa’ fosse una holding, priva di attivita’ produttive, per caratterizzare il genere di annotazioni che gli amministratori della stessa fossero tenuti a compiere nei libri e nelle scritture contabili – e quindi logicamente e’ stato ritenuto che la falsita’ ideologica delle annotazioni riportate nei libri e nelle scritture contabili, proprio in ragione della complessiva inattendibilita’ delle stesse, non ha consentito di ricostruire, in termini reali, il profilo patrimoniale della societa’ e l’effettivo andamento degli affari.

Con riguardo all’imputazione di cui al capo d4), relativa al fallimento della (OMISSIS) cagionato dalla descritta operazione dolosa di aumento fittizio del capitale della societa’ (operazione alla quale non si contesta che abbia partecipato il (OMISSIS)), la Corte di cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado per carenza di motivazione, osservando che i giudici d’appello si erano limitati ad evidenziare le analogie della suddetta operazione con la vicenda della societa’ (OMISSIS) (dichiarata fallita in data 20.12.2000), senza tenere conto che nei motivi di appello in favore del (OMISSIS) si era messo in rilievo che il predetto, per la simmetrica accusa mossagli in relazione all’incidenza sul fallimento di (OMISSIS) dell’operazione che avrebbe causato il fallimento (OMISSIS), era stato assolto.

Il giudice del rinvio ha preso in esame il suddetto rilievo della Corte di cassazione, relativo all’assoluzione del (OMISSIS) dal capo A1-IV dell’imputazione, mettendo in evidenza che il Tribunale di Milano era pervenuto alla menzionata decisione assolutoria, relativa ad una condotta distrattiva riguardante un credito di 3,8 miliardi di lire, poiche’ detto credito di (OMISSIS) era risultato fittizio, e quindi non poteva ritenersi sussistente la distrazione del relativo importo.

Ha quindi ritenuto che la suddetta assoluzione da una condotta distrattiva, intervenuta per la insussistenza del credito oggetto della distrazione, non potesse spiegare alcun effetto sull’operazione di fittizio aumento di capitale attraverso un credito inesistente, contestata al capo d4) al (OMISSIS), la quale aveva invece contribuito a cagionare il fallimento della societa’ (OMISSIS).

Come risulta dalla sentenza di primo grado, la societa’ (OMISSIS) era sorta nel 1969 e si era sviluppata attraverso la produzione di alta tecnologia di circuiti per industrie di computers che avveniva nei due stabilimenti della societa’, uno sito a (OMISSIS) e l’altro a (OMISSIS); la (OMISSIS) era stata gestita per trent’anni dall’imprenditore piemontese (OMISSIS), il quale negli ultimi anni novanta era andato incontro a gravi difficolta’ nella gestione della societa’, al punto che, a causa di queste difficolta’, il bilancio al 31.12.1998 aveva chiuso con una perdita molto significativa che aveva quasi completamente eroso il capitale della societa’; nell’ottobre 1999 la (OMISSIS) era stata acquistata da (OMISSIS), nonostante non si fosse provveduto alla copertura della suddetta perdita e l’operazione fittizia di ricapitalizzazione realizzata dall’imputato, attraverso un credito inesistente, aveva consentito, secondo il giudice di rinvio, alla societa’ di continuare ad operare in spregio all’effettiva consistenza del proprio patrimonio, aggravando cosi’ il proprio dissesto.

Nei motivi di ricorso si e’ sostenuto che il giudice del rinvio non aveva tenuto conto che, successivamente all’aumento del capitale sociale della (OMISSIS) ad opera dell’imputato, vi erano state operazioni distrattive e dissipatorie poste in essere dagli amministratori della societa’, alle quali il (OMISSIS) non aveva partecipato.

Sul punto, pero’, nella motivazione della sentenza impugnata si afferma che causa dell’aggravamento del dissesto e’ stata la dolosa operazione compiuta dall’imputato che ha consentito alla societa’ di continuare ad operare, nonostante lo stato di decozione, e la suddetta affermazione rispetta i principi piu’ volte ribadito dalla Corte di legittimita’, secondo i quali, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, non interrompono il nesso di causalita’ tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare ne’ la preesistenza alla condotta di una causa in se’ efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’articolo 41 c.p., ne’ il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’ aggravamento di un dissesto gia’ in atto (V. Sez. 5 sentenza n.8413 del 16.10.2013, Rv.259051); peraltro neppure il ricorrente ha sostenuto che causa esclusiva del fallimento della societa’ (OMISSIS) siano state le asserite operazioni distrattive e dissipatorie ad opera di coloro che, dopo il fittizio aumento di capitale del 1999, avevano amministrato la societa’.

Non puo’, infine, essere verificata in questa sede di legittimita’ l’affermazione di fatto del ricorrente secondo la quale il titolo (OMISSIS) non sarebbe stato quotato sul Terzo Mercato, essendo la contraria affermazione dei giudici di merito adeguatamente motivata, poiche’ basata, oltre che sulla deposizione del curatore del fallimento della (OMISSIS), anche sulla indicata documentazione dalla quale risulta una delibera della societa’ in data 5.2.2001 per la quotazione della stessa nel Terzo Mercato.

Pertanto, essendo infondati i motivi di ricorso presentati dalla difesa del (OMISSIS), il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del predetto al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione alla parte civile (OMISSIS) delle spese sotenute nel presente giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) per non aver commesso il fatto.

Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali, nonche’ a rimborsare alla parte civile (OMISSIS) spa in persona del curatore le spese sostenute per questo grado di giudizio che liquida in euro 3.450,00, oltre accessori di legge.

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