Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 22 febbraio 2016, n. 3409

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6897-2015 proposto da:

(OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BRESCIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, (OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS) S.R.L. A SOCIO UNICO, (OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS) S.N.C., (OMISSIS) S.R.L.;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositato il 28/01/2015, n. 228/14 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/01/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, a sua volta delega l’avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria che ha concluso per l’inammissibilita’, in subordine rimessione alle SS.UU., in subordine nel merito inammissibilita’ o rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 28 gennaio 2015, la Corte d’appello di Brescia ha respinto i reclami riuniti, proposti dalla (OMISSIS) a r.l. e dalla societa’ avverso decreto del Tribunale di Cremona del 30 giugno 2014 (sebbene per errore diversamente indicato nel dispositivo), che non ha omologato il concordato preventivo della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione.

Ha ritenuto la corte territoriale che sussistevano atti di frode verso il ceto creditorio rilevanti ex articolo 173 L.F., perche’ i creditori non erano stati informati nel piano della reale situazione, essendo emersi dagli accertamenti del commissario giudiziale fatti potenzialmente idonei ad ingannare i predetti circa la reale consistenza del patrimonio della societa’, attesi pagamenti avvenuti in favore di banche successivi alla presentazione della domanda di concordato, con la conseguenza che il consenso del ceto creditorio e’ stato alterato.

Quanto alla doglianza esposta dalla reclamante (OMISSIS), relativa alla mancata concessione alla debitrice (OMISSIS) s.r.l. della possibilita’ di conoscere i fatti impedienti il giudizio positivo di omologazione, essa e’ stata reputata inammissibile, in quanto riferibile non alla predetta, ma alla societa’.

Avverso questo decreto propone ricorso la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, affidato a cinque motivi ed illustrato da memoria. Non svolgono difese gli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – La societa’ ricorrente ha proposto avverso il decreto impugnato cinque motivi di ricorso, che possono essere cosi’ riassunti:

1) violazione o falsa applicazione dell’articolo 81 c.p.c., o in subordine articoli 99 e 100 c.p.c. e articolo 182 c.p.c., comma 2, per avere la corte territoriale reputato proposto il reclamo dalla (OMISSIS) in proprio, mentre la medesima aveva speso la sua qualita’ di liquidatrice della societa’, in nome e per conto della quale aveva sempre agito;

2) omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perche’ in tal modo alla societa’ e’ stato impedito di dare ingresso alla propria censura;

3) nullita’ del procedimento con riguardo al medesimo equivoco, con violazione del diritto di difesa della ricorrente;

4) violazione o falsa applicazione degli articoli 173, 175 e 180 L.F., posto che il commissario giudiziale nella relazione L.F. ex articolo 172, regolarmente depositata e comunicata ai creditori, non ha mai discorso di atti in frode posti in essere dalla ricorrente, ma solo dell’incasso di titoli sui conti correnti sociali, destinati agli istituti di credito, in quanto riguardante lo “scarico degli effetti in portafoglio” presentati per lo sconto gia’ prima della domanda di concordato; nel parere ex articolo 180 L.F. ha espressamente escluso l’esistenza di operazioni fraudolente con riduzione del patrimonio a danno dei creditori; il piano concordatario indicava espressamente tali circostanze, dando per pacifico un obbligo restitutorio in capo alle banche; i creditori hanno espresso voto favorevole al concordato e all’udienza ex articolo 180 L.F. nessuno dei dissenzienti si e’ costituito, ne’ ha proposto opposizione. La corte territoriale ha, in realta’, omesso ogni verifica sulla effettiva esistenza di una condotta fraudolenta, mentre ha operato un inammissibile sindacato di fattibilita’ economica della proposta;

5) omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, non avendo il decreto impugnato esaminato le circostanze predette.

2. – I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente, ponendo tutti la medesima questione della ritenuta proposizione del reclamo da parte di (OMISSIS) in proprio, in luogo che in nome della societa’, e sono fondati.

Dall’esame degli atti processuali, consentita in ragione della natura del vizio denunziato, integrante censura ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, risulta che il reclamo fu proposto da (OMISSIS), “in qualita’ di liquidatore di (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione”.

Era dunque inequivoca la spendita della qualita’ e la proposizione del reclamo da parte della societa’, rappresentata dalla liquidatrice in carica (OMISSIS).

Tanto basta per ravvisare il vizio del procedimento, avendo l’errata qualificazione del soggetto effettivamente reclamante impedito alla corte del merito l’esame della censura di violazione del diritto di difesa, allorche’ la societa’ non fu posta in condizione di contrastare l’affermazione del giudice di prime cure circa pretesa esistenza di atti di frode.

3. – I rimanenti due motivi, da trattare congiuntamente per la loro intima connessione, sono fondati.

3.1. – Dispone l’articolo 173 L.F. che, dopo l’ammissione alla procedura di concordato, il commissario giudiziale riferisca immediatamente al tribunale di eventuali condotte fraudolente del debitore – la qualificazione unificante delle medesime (volte a sottovalutare l’attivo o sopravvalutare il passivo, secondo i fatti ivi elencati; al compimento di atti senza autorizzazione) sotto la nozione di “atti di frode” emerge dalla formula che chiude l’elenco e dall’ulteriore riferimento del comma 3 – e si apre il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato. La norma vi riconduce anche l’accertamento ex post con riguardo alla mancanza delle condizioni per l’ammissibilita’ del concordato.

Esaurito il procedimento, si perviene al decreto di omologazione: “se non sono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarita’ della procedura e l’esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame” (articolo 180, comma 3).

Invece, se sono state proposte opposizioni, segue l’istruttoria ed infine il tribunale “se respinge il concordato, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui gli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore, con separata sentenza, emessa contestualmente al decreto” (articolo 180, comma 7).

Nonostante il tenore letterale di tali disposizioni, questa Corte ha gia’ affermato che il tribunale ha il potere di negare l’omologazione, anche in assenza di opposizioni, se rileva l’esistenza di circostanze che, quali gli atti in frode dei creditori ex articolo 173 L.F., avrebbero implicato la revoca dell’ammissione, competendo ad esso il controllo sulla regolarita’ della procedura, non limitata ai soli dati formali, posto che il menzionato controllo di legittimita’ si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilita’, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo (Cass. 4 giugno 2014, n. 12533, per questa parte non massimata; Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521).

Cio’ posto, occorre in questa sede ribadire il principio, secondo cui gli “atti di frode” vanno intesi, sul piano oggettivo, come le condotte volte ad “occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneita’ a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, e che non si identificano con quelle di cui agli articoli 64 e ss. L.F., inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza ed integrale rilevanza a fronte di una evidenziazione precedente del tutto inadeguata” (Cass. 29 luglio 2014, n. 17191, con riguardo all’esistenza di un credito di rilevante importo non dichiarato dalla societa’ debitrice nelle sue scritture contabili). Si intende, dunque, che gli atti di frode devono essere “accertati” dal commissario giudiziale: locuzione che e’ riferibile o al fatto successivamente scoperto, in quanto in precedenza ignoto ai creditori nella sua materialita’; o al fatto comunque non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed allegati (Cass. 18 aprile 2014, n. 9050). In entrambi i casi, si tratta di comportamenti del debitore che abbiano una valenza decettiva, onde pregiudicano il consenso informato dei creditori (Cass. 15 ottobre 2013, n. 23387; 5 agosto 2011, n. 17038). Sul piano soggettivo, il comportamento deve essere stato assunto con dolo, inteso come volontarieta’ del fatto (cosi’ ancora Cass. n. 23387/2013 e 17038/2011).

E’ stata, pertanto, disattesa l’assimilazione tra atti pregiudizievoli per i creditori e atti di frode come definiti ai fini della norma di cui all’articolo 173 L.F..

Ogni diversa estensione del controllo rischia di reintrodurre, invece, quel giudizio di meritevolezza, che la riforma ha deliberatamente escluso, restando al giudice il mero controllo della fattibilita’ della proposta concordataria e competendo, invece, esclusivamente ai creditori la valutazione afferente la probabilita’ di successo economico del piano ed i rischi inerenti (Cass. 25 settembre 2013, n. 21901; conf. n. 11014 del 2013, n. 13083 del 2013; sez. un., n. 1521 del 2013).

In definitiva, gli atti di frode rilevanti ai fini della disciplina in discorso presuppongono: a) l’esistenza di un dato di fatto occultato afferente il patrimonio del debitore tale da alterare la percezione dei creditori, risultando una divergenza tra la situazione patrimoniale dell’impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale; b) il carattere doloso di detta divergenza, quale volontarieta’ del fatto. Al di fuori di tali elementi, la fattispecie che legittima il diniego di omologazione non viene integrata.

3.2. – Nel caso di specie, il decreto impugnato riferisce che la relazione del commissario giudiziale ex articolo 172 L.F., indicava, nel paragrafo sui “crediti in portafoglio”, che alcuni titoli erano stati incassati, con devoluzione alle banche creditrici.

I creditori, esaminata la proposta e la relazione predetta, manifestavano consenso ampiamente maggioritario al concordato.

Quindi, con decreto del 29 aprile 2014 il tribunale ha preso atto dell’approvazione del concordato ai sensi dell’articolo 177 L.F.; nel suo parere ex articolo 180 L.F., il commissario giudiziale, rilevata l’assenza di operazioni fraudolente, ha parlato solo dello “scarico di effetti in portafoglio”, ossia di titoli presentati prima della domanda di concordato, onde esprimeva parere favorevole. All’udienza, fissata in camera di consiglio, nessuna opposizione all’omologazione e’ stata proposta dai creditori e nessun creditore dissenziente si e’ costituito.

Il provvedimento impugnato, a conferma di quello del tribunale, ha ciononostante rifiutato l’omologazione del concordato, qualificando come atti di frode l’incasso di titoli scontati presso istituti bancari, scaduti dopo la presentazione della domanda di concordato e pagati dai terzi debitori.

In tal modo, il decreto impugnato si e’ discostato dai principi esposti, onde l’annullamento si impone.

4. – In definitiva, il ricorso va accolto ed il decreto impugnato cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, perche’ riesamini la controversia alla stregua dei principi richiamati; alla corte del merito si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia innanzi alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, per nuovo esame ed, altresi’, per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.

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