Cassazione10Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 2 settembre 2015, n. 35820

La Corte osserva in fatto ed in diritto:

1. Con sentenza del 18 settembre 2013 la Corte di appello di Milano confermava quella pronunciata dal Tribunale della stessa sede, in composizione monocratica, con la quale C.G., all’esito di giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva ed unificati i reati ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., perché giudicato colpevole dei reati di cui all’art. 9, co. 2, 1. 1423/1956 perché, sottoposto a misura di prevenzione con obbligo di soggiorno, si allontanava dal Comune di Rho senza preventiva autorizzazione, e di cui all’art. 614 commi 1 e 4 c.p. perché si introduceva nottetempo in un locale condominiale di via Zuccari, 7; in Milano il 19 gennaio 2012. A sostegno della decisione la corte distrettuale, facendo proprie analoghe valutazioni del giudice di prima istanza, richiamava gli atti di P.G. che avevano accertato le condotte contestate all’imputato ed il provvedimento di prevenzione. La corte territoriale, inoltre, confutava le ragioni esposte dal prevenuto con l’atto di appello, volte a giustificare il comportamento dell’imputato con la sua buona fede e con la convinzione che le condotte tenute non violassero alcuna disposizione di legge. A tal proposito la difesa aveva invano sostenuto, per un verso, che l’imputato sarebbe stato ancora in tempo per comunicare il mutamento del luogo di residenza, a suo dire divenuto impraticabile per la presenza di pregiudicati conviventi e, per altro verso, che la sua presenza nel sottoscala condominiale eletto a domicilio di fortuna era stata sino a quel momento tollerata. Il giudice di appello rigettava infine le doglianze difensive relative al trattamento sanzionatorie rilevandone anche la genericità.
2. Avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione, il C., personalmente, sviluppando due motivi di impugnazione.
2.1 Denuncia il ricorrente col primo di essi violazione dell’art. 599 c.p.p. sul rilievo che la corte distrettuale avrebbe rigettato la richiesta del difensore di rinvio della trattazione della causa per la sua adesione all’astensione collettiva dalle udienze programmata dagli organismi rappresentativi della categoria e questo con l’argomento, errato in diritto, che il rinvio non fosse giustificato dalla celebrazione dell’appello nelle forme di cui all’art. 127 c.p.p., come previsto e disposto dall’art. 599 c.p.p..
Il mancato rinvio dell’udienza per le ragioni dette avrebbe cagionato, ad avviso del ricorrente, un grave vulnus ai diritti difensivi dell’imputato appellante, il quale aveva facoltà di essere presente in camera di consiglio con l’assistenza e la difesa dell’avvocato di fiducia. Trattasi, sempre ad avviso del ricorrente, di violazione rilevante ai sensi dell’art. 178, co. 1, lett. c) c.p.p. e pertanto di nullità assoluta rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 9 1. 1423/1956 sul rilievo che l’obbligo di soggiorno previsto dalla norma fa riferimento (art. 3 co. 3 1. 1423/1956) al comune di residenza ovvero di dimora abituale, luoghi questi immediatamente denunciati dall’interessato, agli operatori che gli notificavano il provvedimento, come impraticabili perché inesistenti e non disponibili. Di qui l’insussistenza di uno dei requisiti della norma incriminatrice perché erroneamente individuato il luogo ove l’imputato avrebbe dovuto obbligatoriamente soggiornare.
3. Il ricorso è fondato nella sua eccezione processuale, assorbente di ogni altra questione di merito.
Rammenta al riguardo il Collegio, con Cass. SS.UU., Sentenza n. 15232, 30/10/2014, rv. 263021, che in tema di dichiarazione di adesione del difensore alla iniziativa dell’astensione dalla partecipazione alle udienze legittimamente proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria, la mancata concessione da parte del giudice del rinvio della trattazione dell’udienza camerale in presenza di una dichiarazione effettuata o comunicata dal difensore nelle forme e nei termini previsti dall’art. 3, primo comma, del vigente codice di autoregolamentazione, determina una nullità per la mancata assistenza dell’imputato, ai sensi dell’art. 178, primo comma, lett. c), cod. proc. pen., che ha natura assoluta ove si tratti di udienza camerale a partecipazione necessaria del difensore, ovvero natura intermedia negli altri casi (in tal senso, successivamente, anche Sez. 1, 9.12.2014, n. 3113, rv. 261924). Nel caso di specie l’udienza per la discussione dell’appello proposto dall’imputato risulta essere stata fissata ai sensi dell’art. 599 c.p.p. e cioè nelle forme dell’udienza in camera di consiglio, in relazione alla quale la partecipazione delle parti e dei loro difensori al giudizio è solo eventuale (tra le tante: Cass., Sez. 1, 10.2.2003, 35687, rv. 226108).
La nullità denunciata è, pertanto, contrariamente a quanto difensivamente opinato, una ipotesi di nullità intermedia, rilevabile, come è noto, nei tempi e nei modi di cui all’art. 180 c.p.p., nel caso di specie comunque rispettati con la proposizione dell’eccezione in sede di impugnazione di legittimità.
La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo giudizio davanti ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

P.T.M.

La Corte, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

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