cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 1 febbraio 2016, n. 1863

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che, unitamente all’avv. (OMISSIS), lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso, e dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo presso il fax n. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), per procura speciale in calce al controricorso, che dichiara di voler ricevere le comunicazioni relativa al processo presso la p.e.c. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1813/13 della Corte d’appello di Firenze emesso in data 20 settembre 2013 e depositato il 9 ottobre 2013, R.G. n. 193/13;

sentito il Pubblico Ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. Il Tribunale di Firenze, in data 30 gennaio 2013, ha respinto il ricorso di (OMISSIS) inteso ad ottenere, nei confronti dell’ex coniuge (OMISSIS), un assegno divorzile in relazione alle sperequate condizioni economiche e alla sua condizione di poverta’, tale da non consentirle neanche di raggiungere un livello minimo di sussistenza. Il Tribunale ha ritenuto che la domanda della (OMISSIS) e’ improponibile, ai sensi della Legge n. 898 del 1970, articolo 9, che non consente la proposizione di un giudizio inteso al riconoscimento di un assegno divorzile al di fuori del giudizio di divorzio.

2. La Corte di appello di Firenze con decreto n. 1813/13, depositato il 9 ottobre 2013, ha accolto il reclamo della (OMISSIS). Ha rilevato che, nella specie, la reclamante aveva proposto la domanda di assegno al giudice ceco (il Tribunale di Zlin) che aveva pronunciato sentenza di divorzio passata in giudicato il 19 dicembre 2009. La sua domanda non era stata ritenuta proponibile in quella sede prevedendo la legislazione ceca la possibilita’ della proposizione di un separato giudizio per le statuizioni di carattere economico. La Corte distrettuale fiorentina ha determinato in 300 euro mensili l’assegno divorzile, con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza ceca di divorzio e con rivalutazione ISTAT a decorrere da un anno dalla data del decreto.

3. Ricorre per cassazione (OMISSIS) affidandosi a due motivi di impugnazione.

4. Si difende con controricorso (OMISSIS) ed eccepisce, preliminarmente alla richiesta di rigetto, l’inammissibilita’ del ricorso.

Ritenuto che:

5. Le eccezioni di inammissibilita’ del ricorso sono infondate dato che le censure mosse dal ricorrente (OMISSIS) si sostanziano nella deduzione di specifiche violazioni connesse alla interpretazione recepita dalla Corte di appello che ha contestato anche in questo giudizio. Ne’ puo’ ritenersi che la specificita’ del caso in esame consenta comunque una automatica applicazione della giurisprudenza costante di questa Corte.

6. Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce la violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 5, e della Legge 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 9. Il ricorrente, dopo aver rilevato come sia pacifico che alla controversia debba applicarsi la legge italiana, ritiene preclusa la possibilita’ di richiedere in sede separata dal giudizio di divorzio la corresponsione di un assegno ai sensi della Legge n. 898 del 1970, articolo 5, dato che questa norma prevede la sola possibilita’ di una pronuncia attributiva dell’assegno con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Ritiene altresi’ inapplicabile la Legge n. 898 del 1970, articolo 9, in quanto non sussiste la condizione prevista in questo articolo per la successiva revisione delle disposizioni relative alla misura e alle modalita’ dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6, e cioe’ la sopravvenienza di giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione della Legge n. 218 del 1995, articolo 29 e articolo 30. Il ricorrente rileva che, anche in forza del diritto Europeo (articolo 21 del regolamento 2201/2003/CE) la sentenza di divorzio del Tribunale di Zlin e’ immediatamente e automaticamente riconosciuta nello Stato italiano e, quindi, produttiva dei relativi effetti. Da cio’ consegue secondo il ricorrente che detta pronuncia deve essere assimilata, quanto agli effetti, ad una qualsiasi sentenza emessa dall’autorita’ giudiziaria italiana e pertanto deve essere ritenuta soggetta alle medesime preclusioni processuali che impediscono l’accertamento del diritto all’assegno divorzile.

8. I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente stante la loro stretta connessione logico-giuridica.

9. La previsione, da parte dell’articolo 5, della legge sul divorzio, della contestuale pronuncia dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio e delle statuizioni relative all’affidamento dei figli e alle condizioni economiche del divorzio – come lo stesso ricorrente ha ricordato citando la sentenza di questa sezione della Corte di Cassazione n. 13556 del 30 luglio 2012 – non risponde a un principio costituzionale che imponga la regolamentazione contestuale dei diritti e dei doveri scaturenti da un determinato status tant’e’ che nel nostro ordinamento e’ prevista la sentenza non definitiva di divorzio, che statuisce sullo status, e rinvia al successivo corso del giudizio per l’adozione dei provvedimenti conseguenti.

10. Per altro verso la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la richiesta di corresponsione dell’assegno periodico di divorzio di cui alla Legge n. 898 del 1970, articolo 5, si configura come domanda (connessa ma) autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio, e, pertanto, la parte che, nel corso del giudizio divorzile, non l’abbia ritualmente avanzata ben puo’ proporla successivamente, senza che, a cio’, sia di ostacolo la (ormai intervenuta) pronuncia di scioglimento del vincolo di coniugio, operando il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi (come appunto, quella di riconoscimento dell’assegno rispetto a quella di divorzio), che la parte ha facolta’ di introdurre, o meno, nello stesso giudizio (Cass. civ. sezione 1 n. 15064 del 9 ottobre 2003, n. 1032 del 2 febbraio 1998, n. 2725 del 27 marzo 1997, n. 8700 del 24 agosto 1990).

11. A fronte di questa riconosciuta autonomia della domanda di assegno la fattispecie in esame si caratterizza per la autonomia del giudizio sullo scioglimento del matrimonio da quello sulle condizioni economiche del divorzio vigente nell’ordinamento ceco in cui la sentenza sullo status e’ stata pronunciata. Questo dato di riferimento deve essere tenuto in considerazione nella controversia in esame proprio in relazione alla disposizione invocata dal ricorrente. Infatti l’articolo 5 della legge sul divorzio, nel prevedere che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi” delinea l’ambito di competenza del giudice del divorzio, e pertanto esclude la proponibilita’ di altre domande a contenuto patrimoniale conseguenti allo scioglimento del matrimonio dalla sede del giudizio di divorzio, ma non impone un necessario collegamento contestuale fra la pronuncia sullo status e quella sull’assegno divorzile. Tanto meno dunque questo collegamento puo’ essere imposto come preclusione processuale derivante dall’intervenuta pronuncia della sentenza di divorzio in un ordinamento straniero che prevede esplicitamente la possibilita’ di proporre la domanda di assegno in un giudizio separato da quello sullo scioglimento del matrimonio.

12. Il riferimento al regime di riconoscimento automatico derivante dal regolamento Europeo non rafforza ma indebolisce ulteriormente la tesi del ricorrente proprio perche’ tale riconoscimento comporta la ricezione nel nostro ordinamento del contenuto specifico di quella decisione che si e’ limitata ad accertare le condizioni per lo scioglimento del matrimonio e lo ha pronunciato lasciando aperta la possibilita’ di far valere le pretese economiche in un separato procedimento. Non puo’ di certo dunque attribuirsi alla sentenza ceca di divorzio il contenuto di un accertamento implicito sulla insussistenza delle condizioni per il riconoscimento di un assegno divorzile e neanche quello di un giudicato costituente una preclusione processuale alla proposizione di una successiva domanda di assegno divorzile basata sulle condizioni economiche degli ex coniugi anche se coincidenti con quelle esistenti al momento della pronuncia di divorzio. Ne’ puo’ ritenersi che la odierna controricorrente fosse tenuta a proporre la domanda di assegno nella Repubblica ceca perche’ tale interpretazione inciderebbe, limitandola illegittimamente, sulla competenza del giudice italiano e, nello stesso tempo, costringerebbe le parti di un giudizio di divorzio instaurato davanti al giudice ceco a rinunciare a una facolta’ che quell’ordinamento esplicitamente attribuisce.

13. La preclusione che il ricorrente configura e’ a ben vedere in contrasto con la stessa ratio della disposizione di cui all’articolo 5, della legge sul divorzio che e’, oltre a quella di delimitare la competenza del giudice del divorzio, quella di favorire la contestuale proposizione delle domande, autonome ma conseguenti al giudizio sullo status, che concernono i soggetti piu’ deboli e cioe’ i minori e il coniuge economicamente sfavorito dallo scioglimento del matrimonio. Sicuramente la ratio della disposizione invocata non e’ quella di precludere la proposizione di tali domande in un separato giudizio tanto piu’ se la sentenza che trova automatico riconoscimento in Italia e’ pronunciata in un ordinamento che prevede espressamente tale possibilita’.

14. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 2.200 euro, di cui 200 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’articolo 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.

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