Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 23 maggio 2016, n. 21186

La condotta di chi si limiti a rendere nota al pubblico l’esistenza di una sostanza stupefacente, veicolando un messaggio non persuasivo e privo dello scopo immediato di determinare all’uso di sostanze stupefacenti, integra l’illecito amministrativo di propaganda pubblicitaria di sostanze stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 84), e non il reato di istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 82)

La mera offerta in vendita di semi di pianta dalla quale siano ricavabili sostanze stupefacenti non è penalmente rilevante, configurandosi come atto preparatorio non punibile perchè non idoneo in modo inequivoco alla consumazione di un determinato reato, non potendosi dedurne l’effettiva destinazione dei semi

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I PENALE

SENTENZA 23 maggio 2016, n. 21186

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 21/04/2011 il G.U.P. del Tribunale di Urbino, procedendo con rito abbreviato, giudicava M.A. colpevole del reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 82, condannandolo alla pena di mesi otto di reclusione e 800,00 Euro di multa; i fatti delittuosi contestati si assumevano commessi a (OMISSIS) fino all'(OMISSIS).
2. Con sentenza emessa il 07/04/2014 la Corte di appello di Ancona, decidendo sull’impugnazione dell’imputato, riqualificato il fatto contestato ai sensi dell’art. 414 c.p., condannava il M. A. alla pena di mesi sei di reclusione.
3. Da entrambe le sentenze emergeva che l’imputato, quale legale rappresentante della società “Freedom Project s.r.l.”, pubblicizzando e ponendo in vendita semi di canapa indiana e altri oggetti funzionali alla sua coltivazione, istigava pubblicamente all’uso illecito di tale sostanza stupefacente.
Si accertava, in particolare, che tale attività illecita veniva svolta dalla società rappresentata dall’indagato quale affiliata del network denominato “(OMISSIS)”, che si occupava della commercializzazione di semi di canapa indiana e delle attrezzature necessarie alla coltivazione di tale sostanza stupefacente.
Lo svolgimento di tale attività costituiva un elemento probatorio incontroverso, venendo svolta sia telematicamente sia attraverso un punto vendita, ubicato a (OMISSIS), nel quale veniva esposto il materiale necessario alla coltivazione della canapa indiana, che veniva sequestrato nel corso delle indagini preliminari.
Nè poteva rilevare in senso favorevole all’imputato la circostanza che, nel caso in esame, la pubblicità fosse carente di indicazioni relative alle modalità con cui la sostanze stupefacente era estraibile dalle piante coltivate con l’attrezzatura venduta tramite la rete commerciale riconducibile al M.A., atteso che la mera coltivazione di canapa indiana è punita ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, con la conseguenza che l’attività finalizzata alla realizzazione di tali condotte non poteva non ritenersi illecita.
A fronte di tale incontroverso compendio probatorio, le sentenze di merito ritenevano di dovere inquadrare sotto ambiti differenti la condotta delittuosa del M.A., riconducendola il G.U.P. del Tribunale di Urbino all’ipotesi di reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 82, la Corte di appello di Ancona a quella di cui all’art. 414 c.p..
4. Avverso la sentenza di appello l’imputato, a mezzo del suo difensore, ricorreva per cassazione, deducendo vizio di motivazione, in relazione all’erroneo inquadramento della fattispecie contestata al M.A., ai sensi dell’art. 414 c.p., i cui presupposti applicativi erano stati valutati dalla Corte di appello di Ancona con un percorso argomentativo incongruo e manifestamente contraddittorio.
Si deduceva, innanzitutto, che la Corte territoriale aveva fatto erronea applicazione dei parametri ermeneutici prefigurati dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento alla fattispecie contestata, trascurando che non era stato compiuto alcun accertamento processuale sulla reale ed effettiva portata del comportamento illecito ascritto al M.A., che non poteva essere ricondotto nè all’ipotesi di reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 82, nè a quella di cui all’art. 414 c.p., (cfr. Sez. U, n. 47604 del 18/10/2012, Bargelli, Rv. 253550).
Si deduceva, inoltre, che la semplice messa in vendita di semi di canapa indiana non rappresentava, di per sè sola, una condotta penalmente rilevante, costituendo tale attività l’antefatto non punibile di un comportamento inidoneo a determinare la consumazione del reato contestato, così come riqualificato ai sensi dell’art. 414 c.p..
Ne discendeva che, nel caso di specie, l’attività di propaganda svolta dal M.A. andava ricondotta all’ipotesi al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 84, non rilevante penalmente e sanzionata amministrativamente.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Deve, innanzitutto, rilevarsi che la condotta materiale posta in essere dal M.A. è incontroversa, non essendo in discussione che l’imputato, quale rappresentante legale della società “Freedom Project s.r.l.”, affiliata del network denominato “(OMISSIS)”, pubblicizzava e poneva in vendita semi di canapa indiana e altri strumenti funzionali alla coltivazione di tale sostanza stupefacente, sia telematicamente sia attraverso un esercizio commerciale ubicato a (OMISSIS).
In questo contesto, allo scopo di inquadrare preliminarmente la condotta del M.A., è necessario richiamare la posizione ermeneutica delle Sezioni Unite, cui ci si riferiva diffusamente nel provvedimento in esame, da ultimo chiamate a intervenire per risolvere il seguente quesito: “Se integra il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti la pubblicizzazione e la messa in vendita di semi di piante idonee a produrre dette sostanze con la indicazione delle modalità di coltivazione e della resa”.
In tale ambito, le Sezioni Unite fornivano una risposta articolata, che teneva conto delle circostanze di tempo e di luogo che connotavano l’attività di volta in volta considerata, affermando anzitutto il seguente principio di diritto: “L’offerta in vendita di semi di piante dalle quali è ricavabile una sostanza drogante, accompagnata da precise indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse, non integra il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 82”, (cfr. Sez. U, n. 47604 del 18/10/2012, Bargelli, Rv.
253550).
Nello stesso intervento chiarificatore, le Sezioni Unite affermavano due ulteriori principi di diritto, che rappresentano un corollario della posizione ermeneutica sopra citata, che appare indispensabile richiamare allo scopo di differenziale l’ipotesi di reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 82, dalle figure similari.
Si affermava, innanzitutto, che: “La condotta di chi si limiti a rendere nota al pubblico l’esistenza di una sostanza stupefacente, veicolando un messaggio non persuasivo e privo dello scopo immediato di determinare all’uso di sostanze stupefacenti, integra l’illecito amministrativo di propaganda pubblicitaria di sostanze stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 84), e non il reato di istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 82)” (cfr. Sez. U, n. 47604 del 18/10/2012, Bargelli, Rv.
253551).
Si affermava, inoltre, che: “La mera offerta in vendita di semi di pianta dalla quale siano ricavabili sostanze stupefacenti non è penalmente rilevante, configurandosi come atto preparatorio non punibile perchè non idoneo in modo inequivoco alla consumazione di un determinato reato, non potendosi dedurne l’effettiva destinazione dei semi” (cfr. Sez. U, n. 47604 del 18/10/2012, Bargelli, Rv.
253552).
In questa cornice ermeneutica, si tratta di verificare se, nel caso in esame, la condotta posta in essere dal ricorrente – sia telematicamente sia attraverso il suo esercizio commerciale urbinate – possa essere ritenuta penalmente rilevante e, in caso positivo, se tale comportamento possa essere ricondotto alla fattispecie di cui all’art. 414 c.p., quale istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti.
2. Ricostruita in questi termini la cornice ermeneutica nella quale inserire la condotta del M.A. questa Corte ritiene che il percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello di Ancona allo scopo di ricondurre la condotta del ricorrente nell’alveo applicativo dell’art. 414 c.p., sia esente da discrasie motivazionali censurabili in sede di legittimità.
Nel caso di specie, la Corte territoriale valutava correttamente l’idoneità dell’azione stimolatrice dell’imputato a indurre i potenziali acquirenti dei suoi prodotti, acquistando la merce posta in vendita presso il suo esercizio commerciale, a commettere il reato sanzionato al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, in termini tali da configurare una condotta apologetica, tenuto conto dei parametri ermeneutici affermati da questa Corte con riferimento alla fattispecie dell’art. 414 c.p., (cfr. Sez. 1, n. 26907 del 05/06/2001, Vencato, Rv. 219888).
Si consideri, innanzitutto, che, ai fini della sussunzione del fatto in esame nell’ipotesi delittuosa contestata, non rileva la circostanza che il comportamento in relazione al quale si verificava l’istigazione fosse privo di autonoma qualificazione penale, essendo sufficiente, per configurare il reato di cui all’art. 414 c.p., la mera indicazione degli elementi fattuali della condotta suggerita, certamente sussistente nel caso di specie, atteso il livello di determinatezza dell’azione stimolatrice esercitata (cfr. Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012, Testi, Rv. 253101).
Si consideri, inoltre, che i messaggi pubblicitari possedevano connotazioni informative di tale univocità da incentivare la coltivazione di canapa indiana tramite i semi messi in vendita dal ricorrente mediante la sua rete commerciale, fornendo tutte le indicazioni necessarie a realizzare una produzione efficiente di tale sostanza stupefacente. Infatti, la pubblicità era articolata in modo talmente specifico e puntuale da sollecitare gli acquirenti dei semi di cannabis indica a porre in essere comportamenti penalmente rilevanti, in quanto funzionali a dare vita a coltivazioni dalle quali era ragionevolmente prevedibile la realizzazione di un prodotto vegetale idoneo a produrre l’effetto stupefacente pubblicizzato dal ricorrente.
A tutto questo occorre aggiungere che, sul piano soggettivo, non è dubitabile la volontà del M.A. di stimolare i potenziali acquirenti dei suoi prodotti commerciali a porre in essere un’attività finalizzata alla coltivazione di canapa indiana, atteso che l’imputato non si limitava a vendere i semi indispensabili per intraprendere tale attività, ma forniva a una massa generalizzata di utenti indicazioni botaniche funzionali a consentire di concretizzare agevolmente siffatti obiettivi illeciti.
Ne discende conclusivamente che, nel caso in esame, la Corte territoriale riteneva correttamente che i messaggi pubblicitari utilizzati dal ricorrente non solo inducevano alla coltivazione di canapa indiana, ma erano proposti in modo tale da sollecitare – nei termini sanzionati penalmente dall’art. 414 c.p., – i potenziali acquirenti dei semi di cannabis indica a porre in essere un comportamento potenzialmente idoneo a determinare la lesione del bene giuridico protetto al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (cfr. Sez. U, n. 47604 del 18/10/2012, Bargelli, Rv. 253550).
3. Per queste ragioni processuali, il ricorso proposto nell’interesse di M.A. deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2016

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