Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 7 febbraio 2018, n. 3015. La conservazione del tenore di vita matrimoniale, richiamato  a sostegno della richiesta di quantificazione dell’assegno in misura superiore a quella riconosciutale, non costituisce piu’ un parametro di riferimento utilizzabile

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Con il secondo, la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 Cost. e L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 6 poiche’ la revoca dell’assegnazione della casa coniugale (assegnata invece alla (OMISSIS) nel giudizio di separazione) potrebbe aggravare le sue condizioni di salute, in quanto affetta da crisi ansioso-depressiva a seguito dell’abbandono del marito.

Il motivo e’ inammissibile, a norma dell’articolo 360 bis c.p.c., n. 1, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione del principio – gia’ desumibile, in sede di divorzio, dalla L. n. 898 del 1970, articolo 6, comma 6, e, in sede di separazione, dai previgenti articoli 155 e, poi, 155 quater c.c. (introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54) ed ora 337 sexies c.c. (introdotto dal Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, articolo 55) – secondo cui il provvedimento di assegnazione della casa coniugale e’ subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori: tale ratio protettiva, che tutela l’interesse dei figli a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, non e’ configurabile in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso cui non sussiste alcuna esigenza di speciale protezione (Cass. n. 25010/2007 in ambito divorzile; Cass. 21334/2013 in sede di separazione).

Con il terzo motivo, e’ denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, articolo 5 e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, non avendo la sentenza impugnata considerato che l’integrazione dell’assegno era necessaria per consentire alla (OMISSIS) di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Il motivo e’ infondato.

Si deve premettere che sulla debenza dell’assegno divorzile e’ calato il giudicato, essendo la sentenza impugnata stata censurata soltanto dalla (OMISSIS), che ha chiesto l’aumento dell’assegno posto dal primo giudice a carico del (OMISSIS).

Il giudizio relativo al quantum debeatur, logicamente e giuridicamente successivo a quello positivo sull’an debeatur (Cass. n. 11504 del 2017), e’ stato compiuto dai giudici di merito con un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimita’, che ha fatto applicazione dei principali criteri di quantificazione dell’assegno indicati nel vigente testo della L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, (durata del matrimonio, condizioni reddituali delle parti, contributo dato da ciascuno alla conduzione familiare).

La Corte di merito ha confermato l’importo dell’assegno, che il primo giudice aveva determinato, tenendo conto della breve durata della convivenza matrimoniale (circa sei anni) e delle condizioni personali ed economiche della (OMISSIS), persona abilitata all’esercizio della professione forense e proprietaria di un terreno e di un appartamento da cui percepiva (all’epoca della separazione) un canone di locazione. La sentenza impugnata ha riferito delle libere scelte di vita della (OMISSIS) di rinunciare a una carriera promettente, di accettare un posto di lavoro part-time e poi di dimettersi dal lavoro all’eta’ di quarantasei anni, senza che vi fosse prova di alcuna costrizione al riguardo ne’ di tentativi di riprendere l’attivita’ lavorativa, come precisato dai giudici di merito con un apprezzamento di fatto non specificamente censurato. Il criterio del “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio personale di ciascun coniuge e di quello comune”, indicato nella L. del 1970, articolo 5, comma 6, ai fini della quantificazione (e non dell’attribuzione) dell’assegno, costituisce pur sempre oggetto di prova nel giudizio, seppure in via presuntiva, di cui e’ onerata la parte che richiede l’assegno.

La conservazione del tenore di vita matrimoniale, richiamato dalla ricorrente a sostegno della richiesta di quantificazione dell’assegno in misura superiore a quella riconosciutale, non costituisce piu’ un parametro di riferimento utilizzabile ne’ ai fini del giudizio sull’an debeatur ne’ di quello sul quantum debeatur, la cui determinazione e’ finalizzata a consentire all’ex coniuge il raggiungimento dell’indipendenza economica (Cass. nn. 11504, 15481, 23602, 20525, 25327 del 2017).

A giustificare l’attribuzione dell’assegno non e’, quindi, di per se’, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all’epoca del divorzio, ne’ il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l’assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, ma la mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilita’ di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa.

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