Consiglio di Stato, sezione adunanza plenaria, sentenza 23 febbraio 2018, n. 1. La presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario

La presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario.

Sentenza 23 febbraio 2018, n. 1
Data udienza 13 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Adunanza Plenaria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8 di A.P. del 2017, proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministero pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Ma. e Vi. Da. Gr., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione I, 20 aprile 2016, n. 849.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2017 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Gi. e l’avvocato Ma..

FATTO

1.- Il dr. OMISSIS- ha esposto, in un ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, di avere svolto, sin dal mese di ottobre del 1989, funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso la Procura della Repubblica di Paola ed, in tale qualità, «per oltre un decennio, a causa dei numerosi impegni di lavoro, resi ulteriormente gravosi dal rilevante carico di procedimenti penali assegnatogli, nonché dallo svolgimento delle funzioni di Procuratore della Repubblica nel lungo periodo di vacanza del posto, (…) è stato costretto a trattenersi quotidianamente presso gli uffici della Procura, spesso fino a tarda ora».

In particolare, da una relazione svolta dalla unità sanitaria locale, a seguito del sopralluogo effettuato presso l’edificio che ospita la Procura in data 30 ottobre 1995, sarebbe emerso «che i muri esterni erano costituiti da lastre piane in cemento-amianto, sostenute da profilati in alluminio» e che «le perforazioni presenti nelle lastre in cemento avevano determinato, con l’emissione di polvere, il rilascio di fibre di amianto».

Nonostante le autorità sanitarie avessero conseguentemente manifestato «la necessità che le lastre in cemento amianto venissero rimosse, sostituite, ovvero bonificate nel modo più idoneo, in quanto rappresentavano una grave fonte di inquinamento ambientale», i relativi lavori non sarebbero stati eseguiti se non tardivamente ed in maniera incompleta.

In data 4 dicembre 2001 il dr. -OMISSIS- ha presentato istanza di riconoscimento di dipendenza di infermità da causa di servizio, allegando le risultanze di un esame radiologico effettuato in data 19 luglio 2001, dal quale era emersa la «presenza di immagine di pus da riferire ad ulcera in fase florida» ed aggiungendo di essere stato sottoposto, in data 31 agosto 2001, ad un intervento chirurgico per l’asportazione di una formazione neoplastica, poi risultata essere un «carcinoma renale a cellule chiare ben differenziato (GI) con focali aspetti papillari con micro focolaio di infiltrazioni della capsula reale».

Il Comitato di Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, con provvedimento del 2 marzo 2005, ha dichiarato la dipendenza da causa di servizio delle infermità «malattia peptica ulcerosa duodenale» ed «esiti di nefrectomia parziale sinistra con resezione parziale della X^ costa per carcinoma sx a cellule chiare, ben differenziato (G1)» e ha riconosciuto al dr. -OMISSIS- «la misura massima prevista dalle vigenti disposizioni di legge ai fini della concessione dell’equo indennizzo», ascritto alla quarta categoria della tabella A e liquidato in misura pari ad € 49.567,07, somma poi materialmente corrisposta al ricorrente in virtù dei decreti di autorizzazione al pagamento emessi dal resistente Ministero in data 21 aprile 2005 e 16 maggio 2005.

1.1.- Per le ragioni sin qui riportate dr. -OMISSIS- ha chiesto al Tribunale amministrativo regionale la condanna del Ministero della giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute subito a seguito dell’esposizione all’amianto e quantificato nella somma di euro 150.000,00.

Da tale somma, nella prospettiva del ricorrente, non avrebbe dovuto essere detratto l’importo già percepito a titolo di equo indennizzo, che costituirebbe uno «strumento a contenuto patrimoniale di natura previdenziale», mentre il risarcimento sarebbe «finalizzato a ripristinare integralmente il danno subito, in tutte le sue qualificazioni».

2.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 20 aprile 2016, n. 849 ha accolto il ricorso, riconoscendo a favore del dr. -OMISSIS-, a titolo di risarcimento del danno, la somma complessiva di euro 85.180,00. In particolare, il primo giudice ha ritenuto che «come da costante orientamento della giurisprudenza, le prestazioni indennitarie riconosciute dalla legge in favore dei pubblici dipendenti affetti da patologie contratte per causa di servizio ovvero per le vittime del dovere concorrono con il diritto al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale dell’amministrazione in ordine al medesimo pregiudizio all’integrità psicofisica patita dal dipendente». L’importo di quelle prestazioni «non può cioè venire detratto da quanto spettante per il diverso titolo risarcitorio, dovendosi escludere che ricorra un’ipotesi di compensatio lucri cum damno». Si è affermato, infatti, che l’illecito mentre «costituisce fatto genetico e costitutivo della pretesa al risarcimento, rappresenta una mera occasione rispetto alla spettanza dell’indennità che sorge per il solo fatto che la lesione sia avvenuta nell’espletamento di un servizio di istituto del soggetto, indipendentemente dalla responsabilità civile dell’amministrazione datrice di lavoro e in misura autonoma dall’effettiva entità del pregiudizio subito dall’interessato, ciò che rileva è l’assenza della finalità compensativo-sostitutiva propria del risarcimento».

3.- Il Ministero della giustizia ha proposto appello, fondato sull’unico motivo della ritenuta «violazione e falsa applicazione del principio dellacompensatio lucri cum damno, desumibile dall’art. 1223 c.c.». Secondo il Ministero «la necessità dello scomputo dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno di quanto corrisposto all’appellato proprio in ragione della riconosciuta dipendenza dal servizio della patologia contratta per effetto dell’esposizione all’amianto è imposta dall’esigenza di evitare l’ingiustificato arricchimento determinato dal porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della giustizia) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo».

3.1.- Si è costituito in giudizio il ricorrente in primo grado, chiedendo il rigetto dell’appello.

4.- La Quarta Sezione, con ordinanza 6 giugno 2017, n. 2719, ha ritenuto che, in materia, sia riscontrabile un contrasto interpretativo nell’ambito della giurisprudenza della Corte di cassazione.

Un primo orientamento tradizionale, cui si è uniformato il Tribunale amministrativo, ritiene che in questi casi possa operare il cumulo tra indennizzo e risarcimento, venendo in rilievo fonti diverse delle obbligazioni dovute e la condotta illecita è mera “occasione” e non “causa” dell’attribuzione dell’indennità.

Un secondo orientamento minoritario sostiene, invece, che in questi casi debba operare la compensatio lucri cum damno, in quanto ciò che rileva è che la condotta sia unica e, nella specie, il fatto illecito deve considerarsi “causa” dell’attribuzione dell’indennità.

La Sezione – «in considerazione del pregio delle argomentazioni poste a sostegno del più recente indirizzo, dell’esposto contrasto giurisprudenziale fra Sezioni della Corte di cassazione e della possibilità che tale contrasto possa svilupparsi anche in seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato» – ha ritenuto «opportuno deferire il presente ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 4, c.p.a., per la decisione del seguente punto di diritto (e conseguentemente per la eventuale definizione dell’intera controversia): “se sia possibile o meno sottrarre dal complessivo importo dovuto al danneggiato a titolo di risarcimento del danno gli emolumenti di carattere indennitario versati da assicuratori privati o sociali ovvero da enti pubblici, specie previdenziali”».

5.- Le parti hanno depositato memorie difensive nel presente giudizio.

In particolare, la parte appellata ha messo in rilievo come, in questo caso, non possa opera la regola della compensatio in quanto: i) sussiste una diversità di titoli delle obbligazioni, che hanno natura e presupposti diversi, che giustificherebbe il cumulo tra le somme pretese; ii) la disciplina degli indennizzi da corrispondere in presenza di infermità derivanti da cause di servizio ha puntualmente indicato i fattori che devono ridurre l’indennità da corrispondere e tra questi non è menzionata la somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno (art. 50 del d.p.r. 3 maggio 1957, n. 686); iii) nella specie viene in rilievo il risarcimento del danno non patrimoniale, in relazione al quale, da un lato, non sarebbe neanche astrattamente ipotizzabile «un rischio di arricchimento del danneggiato», non potendo il danno alla persona «essere riparato in base a criteri convenzionali» e pertanto il danneggiato non potrebbe «neanche ritrovarsi in una situazione più favorevole rispetto a quella generata dall’illecito»; dall’altro, «viene in rilievo un danno biologico (…) che assume una rilevanza particolare all’interno del danno non patrimoniale risarcibile»; dall’altro ancora, l’art. 1223 cod. civ. «fa riferimento alla “perdita” e al “mancato guadagno” subiti dal creditore», che identificherebbero concetti che «attengono al patrimonio del danneggiato (…) ma sono invece estranei al risarcimento del danno non patrimoniale, riguardo al quale non è concepibile una tale distinzione»; iv) nella fattispecie in esame, la responsabilità dovrebbe avere una funziona sanzionatoria per la presenza di una condotta dell’amministrazione che avrebbe posto in evidenza «gravi mancanze nella tutela dell’integrità del dipendente», con la conseguenza che la «relativa condanna ha un effetto di stimolo per il corretto adempimento dei doveri facenti capo all’amministrazione».

Infine, si è chiesto, anche qualora venisse vietato il cumulo, di affermare il principio di diritto ai soli giudizi proposti dopo la decisione della Plenaria «in conformità al principio di irretroattività dei mutamenti giurisprudenziali incidenti sul diritto vivente».

6.- La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio del 13 dicembre 2017.

DIRITTO

1.- La questione posta all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato attiene alla valenza del principio della cd. compensatio lucri cum damno (di seguito anche solo compensatio) nella fase di determinazione del danno cagionato dal datore di lavoro pubblico ad un proprio dipendente.

In particolare, si tratta di accertare se la somma spettante a titolo risarcitorio per lesione della salute conseguente alla esalazione di amianto nei luoghi di lavoro sia cumulabile con l’indennizzo percepito a seguito del riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio ovvero se tale indennizzo debba essere decurtato dal risarcimento del danno.

2.- La soluzione di tale questione non può essere unitaria ma è strettamente correlata alla specificità delle fattispecie concrete.

Prima di esaminarle è opportuno trattare alcune questioni di carattere generale che definiscono il contesto sistematico comune in cui esse si inseriscono.

La prima questione attiene ai titoli delle obbligazioni (1173 cod. civ.) dai quali sorgono rapporti giuridici, che definiscono anche le cause giustificative degli spostamenti patrimoniali. Tali rapporti, anche in ragione, tra l’altro, dei soggetti coinvolti, possono avere natura semplice o complessa. In particolare, vi possono essere rapporti obbligatori con un solo soggetto responsabile e obbligato, eventualmente in forma complessa, ovvero più rapporti obbligatori collegati che possono, in ragioni di variabili dipendenti dal caso concreto, giustificare l’attribuzione di una o di più prestazioni patrimoniali.

La seconda questione attiene alla struttura della responsabilità civile e contrattuale e, in particolare, per quanto rileva in questa sede, alla cd. causalità giuridica nonché alla funzione della responsabilità stessa.

In relazione alla causalità giuridica, l’art. 1223 cod. civ., richiamato anche dall’art. 2056 cod. civ., dispone che «il risarcimento del danno per l’inadempimento per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta».

L’orientamento prevalente della Corte di Cassazione ritiene che le suddette disposizioni non pongano una vera e propria regola causale bensì prevedano criteri di determinazione del danno risarcibile in applicazione della teoria della causalità adeguata, che impone di considerare danni conseguenza risarcibili solo quelli riconducibili al fatto illecito secondo principi di regolarità causale che fanno applicazione del criterio dell’id quod plerunque accidit. In questa ottica, la giurisprudenza ritiene risarcibile anche il danno mediato o indiretto, purché sia prodotto da una sequela normale di eventi che traggono origine dal fatto originario (Cass. civ., sez. III, n. 29 febbraio 2016, 3893; id., sez. II, 24 aprile 2012, n. 6474; id., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15274; id., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12124; Cass. civ., sez. III, 17 settembre 2013, n. 21255, ritiene, invece, che anche la causalità giuridica deve essere considerata una causalità in senso tecnico, da accertare secondo la regola probatoria del “più probabile che non”).

In relazione alla funzione del risarcimento del danno, le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza 5 luglio 2017, n. 16601, hanno affermato, con riferimento alla responsabilità civile, che essa può perseguire plurime finalità che si pongono su piani differenti (Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601).

La finalità generale e prioritaria è compensativa: lo scopo è di reintegrare la sfera giuridica del danneggiato ponendolo, in attuazione del cd. principio di indifferenza, nella situazione in cui si sarebbe trovato senza il fatto illecito.

La finalità generale e secondaria è «preventiva (o deterrente o dissuasiva)»: lo scopo è anche quello di evitare la reiterazione del fatto illecito.

La finalità specifica ulteriore è «sanzionatoria-punitiva»: lo scopo è di “punire” il danneggiante mediante la condanna, nei soli casi in cui la legge lo consenta in coerenza con i limiti che la Costituzione pone nella conformazione delle regole di responsabilità (cfr. art. 25), a corrispondere una somma superiore a quella necessaria per eliminare i pregiudizi conseguenti al fatto illecito.

Gli aspetti esaminati propri della responsabilità civile valgono, con i necessari adattamenti, anche con riferimento alla responsabilità contrattuale.

La finalità generale e prioritaria è, infatti, anche in questo caso, compensativa.

La finalità specifica ulteriore sanzionatoria-punitiva è configurabile soltanto nei casi in cui vi sia una espressa previsione di legge: si pensi, a titolo esemplificativo, alla conversione del contratto di mutuo da oneroso a gratuito nel caso in cui le parti abbiamo previsto l’obbligo di corrispondere interessi usurari (art. 1815 cod. civ.). Il principio di parità delle parti del contratto, quale proiezione del principio costituzionale di eguaglianza, esclude anche che esse possano prevedere, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, rimedi risarcitori di natura punitiva. La stessa norma che contempla la clausola penale (art. 1382 cod. civ.) deve essere interpretata nel senso di attribuire ai contraenti un potere che ha una finalità esclusivamente risarcitoria come dimostra la previsione, attuativa del principio di buona fede oggettiva, del potere di riduzione d’ufficio da parte del giudice nel caso in cui l’ammontare della penale sia manifestamente eccessivo (art. 1384 cod. civ.).

3.- Le diverse fattispecie concrete, inserite nel descritto contesto generale, presentando, accanto a specifiche peculiarietà, taluni elementi comuni, possono essere collocate, per fini ordinatori, in tre diverse categorie, che si differenziano sul piano dei titoli delle obbligazioni e dei soggetti responsabili e obbligati, con implicazioni diverse in punto di causa giustificativa delle attribuzioni, nonché di causalità giuridica e funzione della responsabilità.

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