Consiglio di Stato, sezione adunanza plenaria, sentenza 23 febbraio 2018, n. 1. La presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario

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In definitiva, si tratta di accertare se i due rapporti giuridici che vengono in rilievo, mantenendo una loro autonomia e dunque una valenza “bilaterale”, abbiano ciascuno una propria causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali che consente il cumulo tra di esse ovvero se tali rapporti, anche in ragione della operatività del meccanismo della surrogazione (di cui occorre valutare l’eventuale derogabilità convenzionale), siano strettamente collegati con sussistenza di una sostanziale “unitaria” causa di giustificazione delle attribuzioni patrimoniali che impone l’operatività della compensatio tra di esse mediante l’applicazione del meccanismo della regolarità causale.

6.- La terza fattispecie è quella in cui è presente un’unica condotta responsabile, un solo soggetto obbligato e titoli differenti delle obbligazioni.

La vicenda concreta all’esame di questa Adunanza plenaria si inserisce in questo ambito.

Nella specie, la parte appellata: i) ha già ottenuto dal Ministero della Giustizia una somma a titolo di indennità per infermità dipendente da causa di servizio conseguente all’esposizione a fibre di amianto presenti nel luogo di lavoro; ii) ha chiesto con il presente giudizio la condanna dello stesso Ministero al risarcimento anche del danno alla salute subito per la medesima ragione senza detrazione della somma già corrisposta a titolo di indennità.

La soluzione della questione all’esame della Plenaria presuppone la previa individuazione dei titoli delle obbligazioni che vengono in rilievo e della loro natura, nonché dei soggetti del rapporto obbligatorio.

6.1.- Il primo titolo dell’obbligazione risarcitoria è regolato dall’art. 2087 cod. civ., applicabile anche in ambito pubblicistico, il quale prevede che «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

In relazione alla natura di tale obbligazione, è controversa la sua riconducibilità alla responsabilità contrattuale o extracontrattuale.

Il prevalente orientamento seguito dalla Corte di Cassazione, che questo Collegio condivide, ritiene che la responsabilità del datore di lavoro abbia natura contrattuale e rinvenga la propria fonte nel contratto di lavoro che, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., è integrato dalla norma di legge, sopra riportata, che prevede doveri di prestazione finalizzati ad assicurare la tutela della salute del lavoratore.

Sul piano strutturale, tale qualificazione dell’illecito implica, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., che: il lavoratore deve provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’inadempimento del datore di lavoro e i danni conseguenza; il datore di lavoro deve provare l’assenza di colpa e pertanto di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (da ultimo, Cass. civ., sez. lav., 15 giugno 2017, n. 14865).

L’accertamento di tale responsabilità, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellata, dà diritto, sussistendone i presupposti, anche al risarcimento del danno non patrimoniale e, in particolare, del cd. danno biologico.

A tale proposito, l’art. 2059 cod. civ. dispone che tale voce di danno «deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge».

La Corte di Cassazione, con orientamento oramai costante, ha chiarito che, ai fini del danno ingiusto, la “legge” può essere sia quella “costituzionale”, con tutela dei diritti fondamentali della persona, sia quella “ordinaria” che può stabilire la risarcibilità anche di posizioni soggettive non riconducibili all’area dei diritti della persona (Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972). Ai fini del danno conseguenza, viene in rilievo la cd. «sofferenza morale», che costituisce l’aspetto interiore del danno, e il cd. «danno esistenziale», che costituisce «l’impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana» e cioè l’incidenza dell’illecito nella sfera dinamico relazionale del soggetto, in quanto «i due autentici momenti essenziali della sofferenza dell’individuo» sono «il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana» (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7766).

Si tratta di un danno avente “natura unitaria”, il che sta «sta a significare che non v’è alcuna diversità nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dalla lesione di un dirittocostituzionalmente protetto» (Cass. n. 7766 del 2016, cit). Ne consegue che il danno biologico, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellata, non potrebbe ricevere un trattamento differenziato.

La Cassazione, a partire dalla citata sentenza n. 26972 del 2008, ha ritenuto che l’art. 2059 cod. civ., nonostante manchi una espressa norma di collegamento, sia applicabile anche in ambito contrattuale. In particolare, in assenza di una espressa previsione di legge che contempli tale danno, è necessario che il contenuto dell’obbligazione contrattuale, individuato anche alla luce della causa in concreto e dunque della ragione pratica dell’affare, sia costituito dal dovere di protezione di un diritto fondamentale della persona del creditore. Invero, l’art. 1174 cod. civ., prevedendo che la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve corrispondere a un interesse, «anche non patrimoniale», del creditore, sembra assegnare all’autonomia negoziale delle parti il potere di selezionare gli interessi tutelabili con conseguente applicabilità del meccanismo risarcitorio in esame anche a prescindere dall’esistenza di un diritto costituzionalmente protetto ovvero di una espressa previsione legislativa.

Nella fattispecie in esame, è comunque indubbio che viene in rilievo un diritto della persona costituzionalmente tutelato, in quanto l’art. 2087 cod. civ. pone a carico del datore di lavoro il dovere di proteggere proprio la sfera personale del lavoratore e in particolare il diritto all’integrità psico-fisica. La violazione di tale norma autorizza la corresponsione anche del danno non patrimoniale.

Sul piano funzionale, la norma in esame, anche in presenza di un danno non patrimoniale, impone che il risarcimento del danno, in attuazione delle regole della causalità giuridica, venga corrisposto con finalità esclusivamente compensative. Il legislatore non ha autorizzato, infatti, la previsione di forme di danni punitivi.

6.1.1.- Il titolo della seconda obbligazione è regolato dall’art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), il quale prevede(va) che «per le infermità riconosciute dipendenti da causa di servizio è a carico dell’amministrazione la spesa per la corresponsione di un equo indennizzo per la perdita dell’integrità fisica eventualmente subita dall’impiegato». Il decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686 (Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3) dispone(va) che l’indennità si determina secondo equità ed essa è «ridotta della metà se l’impiegato consegua anche la pensione privilegiata» e, inoltre, va dedotto «quanto eventualmente percepito dall’impiegato in virtù di assicurazione a carico dello Stato o di altra pubblica amministrazione». Per i dipendenti degli enti pubblici la relativa disciplina è contenuta nell’art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411 (Disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70).

Il procedimento per ottenere tale indennità è stato disciplinato, dapprima dal decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 349 e, successivamente, dal decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461.

Il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), non applicabile ratione temporis, ha abrogato, tra l’altro, l’istituto «dell’accertamento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio», ferma «la tutela derivante dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali». La norma continua prevedendo che la disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica: i) «nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico»; ii) «ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d’ufficio per eventi occorsi prima della predetta data».

In relazione alla natura di tale indennità questa Adunanza plenaria ha ritenuto che essa sia diversa dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno e deve essere considerata alla stessa stregua delle altre indennità corrisposte in costanza di rapporto di lavoro, per le seguenti ragioni.

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