In tema di uso della cosa comune, viola l’articolo 1102 c.c. l’apertura praticata da un condomino nella recinzione del cortile condominiale, senza il consenso degli altri condomini al fine di creare un accesso dallo spazio interno comune ad un immobile limitrofo di sua esclusiva proprieta’, determinando, tale utilizzazione illegittima della corte condominiale, la costituzione di una servitu’ di passaggio a favore del fondo estraneo alla comunione ed in pregiudizio della cosa comune.
L’azione con cui un condomino metta in comunicazione il cortile condominiale con una sua proprieta’ estranea alla comunione, determina uno stato di fatto corrispondente ad una servitu’ di passaggio sul cortile a favore di tale proprieta’ con la conseguenza che, come puo’ subire l’eliminazione della predetta sua posizione di vantaggio ove i condomini esercitino vittoriosamente l’actio negatoria servitutis, cosi’ puo’ consolidarla merce’ l’esercizio continuato della servitu’ per il periodo utile all’usucapione, senza in ogni caso poter porre in essere, per il divieto dell’articolo 1067 c.c., una situazione di aggravamento della servitu’ di fatto esercitata, sicche’ questa si configura come molestia del possesso dei comproprietari del cortile.

Ordinanza 12 febbraio 2018, n. 3345
Data udienza 20 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1396-2013 proposto da:

(OMISSIS), domiciliata in ROMA ex lege, P.ZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE rappresenta -la e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 586/2012 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 04/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS), partecipante al condominio di via (OMISSIS), agiva nei confronti di (OMISSIS), proprietaria di un fondo confinante con il fabbricato condominiale, per l’accertamento negativo (tra altre pretese non piu’ in questione) del diritto di lei a scaricare acque nere nella condotta fognaria condominiale e di accedere al cortile del medesimo condominio tramite un cancello aperto tra quest’ultimo e la ridetta proprieta’ individuale.

Nel resistere in giudizio la convenuta eccepiva l’acquisto della servitu’ di scarico fognario per usucapione e deduceva di aver sempre esercitato il passaggio dal proprio fondo al cortile condominiale. (Proponeva anche domande riconvenzionali sul cui rigetto non vi e’ piu’ questione in causa).

Le suddette domande della (OMISSIS), accolte in primo grado (insieme con altre), erano disattese dalla Corte d’appello dell’Aquila con sentenza n. 586 pubblicata il 4.5.2012. Riteneva la Corte distrettuale, limitatamente a quanto ancora rileva in questa sede di legittimita’, che la prova della maturazione del termine di usucapione della servitu’ di scarico fognario derivava dalla nuova produzione in appello, ammissibile ex articolo 345 c.p.c., comma 3, per la sua indispensabilita’, che dimostrava come l’allaccio della proprieta’ (OMISSIS) alla fognatura condominiale era avvenuto nel 1968 (e non nel 1996, allorche’ furono soltanto sostituite le vecchie tubazioni).

In merito al contestato passaggio, detta Corte osservava che non di una servitu’ di passo si trattava, ma del piu’ inteso uso del cortile comune, compatibile con la prescrizione dell’articolo 1102 c.c., giacche’ “il passaggio della (OMISSIS), attraverso il cancello pedonale dalla proprieta’ esclusiva sino al piazzale condominiale (ove la stessa e’ condomina), non intralcia(va) l’utilizzazione del cortile degli altri condomini” (v. pag. 12 sentenza impugnata).

La cassazione di quest’ultima sentenza e’ chiesta da (OMISSIS) sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso (OMISSIS).

Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., comma 1, introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, articolo 1-bis, comma 1, lettera f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo Decreto Legge n. 168 del 2016, articolo 1-bis, comma 2), la ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso espone la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Deduce parte ricorrente che nella sentenza impugnata e’ richiamata, a sostegno della decisione, giurisprudenza (Cass. n. 8830/03) che riferendosi al collegamento tra proprieta’ condominiale e proprieta’ esclusiva facente parte del medesimo fabbricato condominiale, non e’ pertinente alla fattispecie. Infatti, prosegue, il cancello di cui si discute mette in collegamento tra loro il cortile condominiale con altro immobile della (OMISSIS) che non e’ ricompreso nell’edificio condominiale. E richiama, pertanto, altra giurisprudenza di questa Corte sulla relativa questione.

1.1. – Il motivo e’ fondato.

Dalla sentenza impugnata si ricava che il contestato cancello pedonale mette in comunicazione tra loro una proprieta’ esclusiva della (OMISSIS) con il cortile del condominio cui quest’ultima partecipa (v. pag. 12 sentenza impugnata, nella parte sopra testualmente trascritta in narrativa). Dal che si ricava che tale collegamento avviene tra un’area condominiale ed una proprieta’ estranea al condominio stesso, da non confondersi con un’altra unita’ immobiliare appartenente alla stessa (OMISSIS), ma facente parte del condominio di via (OMISSIS).

Questo essendo l’accertamento di fatto operato dalla Corte di merito, si rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto che tale apertura sia legittima in quanto non pregiudica il pari godimento del cortile da parte degli altri condomini. Conclusione, questa, cui i giudici d’appello sono pervenuti richiamando in particolare (oltre ad altre sentenze del tutto non pertinenti al caso in esame) Cass. nn. 8591/99 e 42/00.

Entrambe dette sentenze, pero’, si riferiscono al diverso caso di modifiche apportate su di un muro o una recinzione comune che separavano un cortile condominiale deputato proprio all’utilita’ delle proprieta’ individuali.

In particolare, la prima delle due suddette sentenze, al di la’ di quanto riportato nella massima (non sufficientemente precisa), chiarisce in motivazione che “negli edifici soggetti al regime del condominio, ciascun partecipante ha il diritto di servirsi delle cose comuni a vantaggio del proprio piano o appartamento. Spesso il godimento si attua mediante l’imposizione sulla cosa comune di un vero e proprio peso a vantaggio della cosa propria: di uno di quei pesi che, al di fuori del condominio, darebbero luogo al sorgere di una servitu’ prediale (apertura di porte, finestre, luci, vedute sul cortile comune). Al singolo condomino non e’ consentito costituire sulla cosa comune una servitu’ a vantaggio della cosa propria, essendo richiesto per la costituzione della servitu’ il consenso (negoziale) di tutti i partecipanti (articolo 1059 c.c.). Peraltro, non si fa luogo a costituzione di servitu’ quando la destinazione della cosa comune e’ precisamente quella di fornire alle unita’ immobiliari in proprieta’ esclusiva, site nell’edificio, quella specifica utilita’, che formerebbe il contenuto di una servitu’ prediale. Per conseguenza, fino a che il partecipante, esercitando il suo diritto, rispetta la destinazione della cosa, di questa gode iure proprietatis. Non sussiste, infatti, imposizione di servitu’ sulla cosa comune, posto che il potere rientra tra quelli inerenti al diritto di condominio. Se invece il godimento del singolo partecipante si concreta in un peso sulla cosa comune, che la destinazione della cosa in se’ non consente, tale forma di godimento non puo’ essere giustificata con il diritto di condominio. In questo caso inevitabilmente si pone in essere una servitu’ e, per conseguenza, ogni atto di godimento di fatto assoggetta la cosa comune ad un peso, che le norme sul condominio non permettono”.

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