Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 17 gennaio 2018, n. 1929. Dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi. La semplice esistenza di una controversia giudiziaria tra il pubblico ufficiale ed il cittadino sanzionato non puo’ certo ingenerare una situazione di conflitto di interessi nell’espletamento dell’azione amministrativa

L’articolo 323 c.p. ha introdotto nell’ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi, con la conseguenza che l’inosservanza del dovere di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto integra il reato anche se manchi, per il procedimento ove l’agente e’ chiamato ad operare, una specifica disciplina dell’astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero piu’ ridotto di ipotesi o che sia priva di carattere cogente.
Cio’ posto, nella fattispecie concreta non vi è una situazione di “conflitto di interessi” del pubblico ufficiale, e cioe’ dell’agente di polizia municipale, nell’azione amministrativa svolta (che si e’ concretizzata nella elevazione di una serie di contravvenzioni amministrative per violazioni al codice delle strada), atteso che, per un verso, si trattava di un’azione necessitata e doverosa per il pubblico ufficiale dinanzi all’accertamento di una violazione di norme amministrative da parte della parte offesa e che, per altro verso, la semplice esistenza di una controversia giudiziaria tra il pubblico ufficiale ed il cittadino sanzionato non puo’ certo ingenerare una situazione di conflitto di interessi nell’espletamento dell’azione amministrativa (peraltro doverosa, come detto sopra), come tale implicante un obbligo di astensione da parte del pubblico ufficiale.

Sentenza 17 gennaio 2018, n. 1929
Data udienza 21 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/09/2016 della CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ROBERTO AMATORE;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. SPINACI SANTE che ha concluso per l’annullamento con rinvio.
Udito l’avvocato (OMISSIS) del foro di SALERNO in difesa della parte civile, si riporta alle conclusioni scritte che deposita unitamente a nota spese.
Udito il difensore del ricorrente avv. (OMISSIS) del foro di SALERNO che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Salerno, in riforma della pronuncia liberatoria emessa dal Tribunale di Salerno in data 9.6.2015 ed accogliendo l’appello proposto dalla Procura generale, ha condannato il predetto imputato per i reati di cui agli articoli 323 e 479 c.p..
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa a quattro motivi di doglianza.
1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo ed ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, violazione di legge sostanziale. Osserva la difesa che non e’ giuridicamente ipotizzabile il concorso tra il reato di abuso di ufficio e quello di falso, e cio’ in ragione, da un lato, della clausola di salvezza contenuto nell’incipit della norma dettata dall’articolo 323 c.p., e, dall’altro, dal fatto che la violazione di norme prevista dal predetto articolo 323 per la integrazione dell’elemento oggettivo del reato in esame non si puo’ concretizzare nella violazione di legge penale.
Si evidenzia inoltre la non specifica indicazione nella motivazione impugnata del tipo di concorso (materiale o formale) nel quale sarebbero avvinte le condotte contestate, tanto cio’ e’ vero che – nonostante la contraria indicazione evincibile nel capo di imputazione sembrerebbe contestato all’imputato un concorso formale, facendo riferimento la motivazione ad una unica condotta.
Diversamente ragionando, sarebbe evidente la violazione dell’articolo 81 c.p. giacche’ non sarebbero state indicate le condotte tra le quali contestare il concorso materiale nei termini della continuazione.
1.2 Con un secondo motivo si articola vizio di violazione di legge in riferimento all’articolo 323 c.p..
Si osserva che la omissione dall’obbligo di astenersi non sarebbe configurabile nel caso di specie giacche’ inconferente rispetto a tale obbligo era l’esistenza di una semplice controversia di carattere civilistico tra il pubblico ufficiale (un agente di polizia municipale), oggi imputato, e la persona offesa. Diversamente opinando – sostiene ancora la difesa dell’imputato occorrerebbe imporre un obbligo di astensione a carico di tutti i pubblici ufficiali nei confronti di soggetti privati cittadini con i quali i primi abbiano qualsiasi tipo di controversia, con la impossibilita’ anche di accertare reati ovvero di prevenirne la commissione da parte di agenti di polizia nell’esercizio delle loro funzioni.
Si evidenzia altresi’ che non sarebbe stato indicato, nella motivazione impugnata, l’ulteriore elemento costitutivo del reato contestato, e cioe’ il vantaggio patrimoniale nascente dalla condotta di abuso d’ufficio.
1.3 Con un terzo motivo si denunzia vizio argomentativo.
Osserva che l’accertamento della condotta di abuso di ufficio riposerebbe, dal punto di vista argomentativo, su un travisamento della prova giacche’ i verbali di accertamento di violazioni elevati a carico della persona offesa sarebbero soltanto 6, e non il numero di 15 indicato nella sentenza impugnata e comunque su un ragionamento illogico perche’ le contestazioni delle violazioni erano tutte effettive e legittime, tanto cio’ e’ vero che la odierna persona offesa non aveva neanche proposto formale opposizione.
1.4 Con un quarto motivo si denunzia ulteriore vizio di motivazione in riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di falso.
Si evidenzia che l’elevazione del verbale di infrazione del codice della strada collegato all’accertamento della mancata indicazione nella carta di circolazione del gancio di traino dell’autovettura riposava su un errore di fatto come tale scriminante, ai sensi dell’articolo 47 c.p., la condotta contestata, atteso che l’imputato aveva avuto, invero, contezza di tale errore dopo il rilievo del Comandante (OMISSIS) per il quale aveva provveduto repentinamente ad attivare la procedura in autotutela per l’annullamento della contravvenzione e/si era altresi’ prontamente scusato con la persona offesa per l’accaduto.
Si evidenzia altresi’ che erronea giuridicamente era anche la motivazione impugnata laddove aveva ritenuto che il ricorrente non potesse attivarsi per la verifica delle condotte della persona offesa – e, cio’ nel frangente nel corso del quale aveva elevato la contravvenzione predetta atteso che gli agenti di polizia municipale sono istituzionalmente deputati al controllo del territorio.

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