Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 17 gennaio 2018, n. 1929. Dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi. La semplice esistenza di una controversia giudiziaria tra il pubblico ufficiale ed il cittadino sanzionato non puo’ certo ingenerare una situazione di conflitto di interessi nell’espletamento dell’azione amministrativa

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CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso e’ fondato limitatamente alle censure sollevate nel secondo e terzo motivo di doglianza, come tali riferite alla contestazione dell’elemento oggettivo del reato di cui all’articolo 323 c.p..
Ante omnia, corre tuttavia l’obbligo di precisare come non sia applicabile al caso di specie il principio cristallizzato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite a tenore del quale, verbatim, “La previsione contenuta nell’articolo 6, par. 3, lettera d) della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU – che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne – implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non puo’ riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilita’ penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado” (Sez. U, Sentenza n. 27620 del 28/04/2016 Ud., dep. 06/07/2016, Dasgupta, Rv. 267487). Ed invero, il giudice di appello, nella fattispecie in esame, ha ribaltato la precedente sentenza assolutoria non gia’ attraverso una rivalutazione della prova dichiarativa gia’ scrutinata dal giudice di prima istanza, ma si e’, al contrario, limitato a fornire una diversa qualificazione e interpretazione giuridica dei fatti cosi’ come gia’ emersi pacificamente e incontrovertibilmente in primo grado, di talche’ deve ritenersi non necessaria la rinnovazione dell’assunzione della prova dichiarativa innanzi al giudice d’appello (cfr., in senso conforme, anche Sez. 5, Sentenza n. 42746 del 09/05/2017 Ud. dep. 19/09/2017, Rv. 271012).
2.1 Cio’ posto, e’ d’obbligo esaminare, in ordine di priorita’ logica, proprio il secondo e terzo motivo di censura che meritano positivo apprezzamento e dunque accoglimento.
Occorre concordare con la difesa del ricorrente laddove evidenzia la insussistenza gia’ dell’elemento oggettivo del contestato reato di abuso d’ufficio.
E cio’ per due ordine di motivi.
Non e’ possibile, in primo luogo, rintracciare nel caso di specie la violazione di un obbligo di astensione da parte del pubblico ufficiale imputato del reato sopra ricordato.
Sul punto, e’ gia’ stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui l’articolo 323 c.p. ha introdotto nell’ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi, con la conseguenza che l’inosservanza del dovere di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto integra il reato anche se manchi, per il procedimento ove l’agente e’ chiamato ad operare, una specifica disciplina dell’astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero piu’ ridotto di ipotesi o che sia priva di carattere cogente (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 14457 del 15/03/2013 Ud. (dep. 27/03/2013) Rv. 255324).
Cio’ posto, risulta evidente come nella fattispecie concreta oggi in esame non possa certo parlarsi di una situazione di “conflitto di interessi” del pubblico ufficiale, e cioe’ dell’agente di polizia municipale, nell’azione amministrativa svolta (che si e’ concretizzata nella elevazione di una serie di contravvenzioni amministrative per violazioni al codice delle strada), atteso che, per un verso, si trattava di un’azione necessitata e doverosa per il pubblico ufficiale dinanzi all’accertamento di una violazione di norme amministrative da parte della odierna parte offesa e che, per altro verso, la semplice esistenza di una controversia giudiziaria tra il pubblico ufficiale ed il cittadino sanzionato non puo’ certo ingenerare una situazione di conflitto di interessi nell’espletamento dell’azione amministrativa (peraltro doverosa, come detto sopra), come tale implicante un obbligo di astensione da parte del pubblico ufficiale.
Va aggiunto, in riferimento piu’ in particolare al terzo profilo di censura, che non e’ neanche rintracciabile una violazione di legge da parte dell’odierno imputato nella elevazione delle predette contravvenzioni, tanto cio’ e’ vero che i verbali di accertamento delle violazioni al codice della strada redatti dal vigile urbano non erano stati in alcun modo impugnati dal soggetto sanzionato e dunque le relative sanzione devono ritenersi legittimamente applicate.

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